Archeologia, Fassa Bortolo e la farsa di Bertoldo


 
 
Riceviamo e pubblichiamo.

Giulio Cesare dalla Croce descrive Bertoldo come un  rozzo villano dotato, però, di rara arguzia, tanto da riuscire a gabbare  re Alboino di Verona, città ad un centinaio di chilometri da Treviso. Il novello  Bertoldo non è un rozzo villano, ma un imprenditore di fama internazionale che ha a sua disposizione  numerosi organi d’informazione, ambientalisti autorevoli e esperti funzionari pubblici in quiescenza.

Avendo ormai esaurito tutte le materie prime vicino casa, necessarie per produrre rinomati prodotti per l’edilizia, il quasi omonimo di Bertoldo, decide di sbarcare in Terronia,  confidando nella  benevolenza degli indigeni verso coloro che regalano specchietti colorati. Esiste in effetti un posto ideale, al centro della Trinacria, un’intera montagna che non aspetta altro che essere “pianificata”:  si chiama, nomen omen, Monte Scalpello, nel territorio di Agira.

Ci sarebbe qualche  vincolo idrogeologico, archeologico e paesaggistico, ma il  Mecenate-Filantropo, promettendo un investimento di 25 milioni e l’assunzione di 100 operai, confida nella elasticità di chi deve autorizzare. Arriva persino a promettere il recupero  dei  “pochi cocci senza valore” che la Sovrintendenza ritiene, invece, eccezionali testimonianze  di un   passato ancora tutto da esplorare .

Non riuscendo per le vie burocratiche ad ottenere ciò che gli serve, il Nostro decide di affidarsi ai mass media importanti e a giornalisti di chiara fama per sostenere la tesi, per niente originale,  che i siciliani sono gli artefici del proprio sottosviluppo. Come il furbo Bertoldo, riesce a gabbare, così, anche le Istituzioni locali che si dimostrano pronte a tagliare il ramo sul quale vivono, avallando il ricorso che professionisti rinomati presenteranno alla Regione.

E la farsa continua…
Giuseppe Lo Porto
P.s. Nel dialetto parlato all’ombra dell’Etna è molto frequente l’assimilazione regressiva: “farsa” si pronuncia “fassa”.  Ancora nomen omen?
 

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