Cos'è la Destra

CATANIA – Alcuni anni fa, due accreditati intellettuali francesi ,Dominique Venner e Alain De Benoist, diedero vita ad un aspro ma interessante dibattito sul significato, nell’accezione idealpolitica., e sulla valenza del termine “Destra” . Quando la parola “Destra” perde i contorni della categoria concettuale o esce dall’ingabbiamento della dicotomia assiale “destra-sinistra” ci apre un mondo per lo più sconosciuto e inesplorato. Cosa può definirsi di destra in una società omologata e uniformata che ha azzerato le differenze sostanziali e concettuali tra le due parti, tanto che è difficile individuare una demarcazione netta tra reazione di destra e reazione di sinistra davanti  ad un qualsiasi fatto? Dei pericoli e degli effetti di questa omologazione aveva ben profetizzato Pasolini, quando indicò nel superamento della dicotomia ideologica e concettuale “destra-sinistra” il passaggio dalle rovine che consumismo e nuovi poteri stavano causando. E se per lo storico israeliano, Zeev Sternhell il fascismo nasce da una reazione del socialismo, agli stessi fascisti (Rauti e Freda, tanto per citarne qualcuno) essere definiti “di destra” non piaceva affatto. Perché la destra ha la caratteristica di essere ora legittimista o plebiscitaria, ora liberale o tradizionalista, ora faccendiera o populista, ora nostalgica o futurista, ora europeista o localista, ora conservatrice o reazionaria, ora golpista o del “torcicollo”. I pruriti antisistemici , così come il movimento di idee della “destra”, non sempre passano attraverso il rifiuto della “Tabula Rasa” (quella che nega la nozione di natura umana) e la riscoperta del termine “radice”, anzi , spesso, un certo parassitismo ideologico e una ingombrante insufficienza teorica hanno caratterizzato certi partiti che del termine “destra” hanno fatto carne di porco. Tra questi, quelli influenzati dal dogma del berlusconismo, o che attraverso le grazie di questo dogma hanno governato, i quali non sono riusciti a sganciarsi dalle tavole sacre del liberismo e dalle trame soffocanti della ideologia della quantità (quella della logica di mercato, tanto cara a Berlusconi). I risultati sono sotto gli occhi di tutti: un’implosione che certifica un insuccesso ideologico, concettuale, e soprattutto, governativo, se si pensa che per molti anni questa “destra” pasticciona, ibrida, postribolare, innaturale, ha avuto le Presidenze, i Consigli, e le Camere, senza realizzare quella rivoluzione etica e istituzionale paventata, già, nella primavera del 1993. Nessuna produzione di idee, vuoto programmatico, incapacità di incidere positivamente nella realtà, così come sono questi partiti, che del “berlusconismo” ne fecero “vangelo”, appesantiti dal loro materialismo, dalla loro sudditanza al “Pensiero Unico”, che li avvicina molto alla “sinistra radical chic” e governativa, nel pieno rispetto del risultato di una omologazione piatta a totale detrimento delle sovranità e del benessere del popolo. C’è un’altra “destra” però (anche se provo disagio all’uso di tale termine), ed è quella che si ispira a valori indefettibili, che non ama valorizzare l’uomo dei diritti astratti ma l’uomo concreto, che ripudia l’astrazione e genera idee, che si riconosce nel rifiuto dell’Europa della finanza e dei poteri forti, che combatte per una difesa del localismo, che non disdegna un sano nazionalismo che rifiuta l’Europa delle banche e lotta per la difesa del localismo, che riscopre un sano nazionalismo e la richiesta del diritto inalienabile alla sicurezza e alla difesa del proprio popolo, che rifiuta l’economia come destino e l’ astrazione intellettuale come valore di rifermento, che vuole fare uscire dall’immobilismo politico e dallo snaturamento ideologico quella destra anestetizzata per lunghi anni dal “berlusconismo”, un modello , quest’ultimo, che giurò fedeltà eterna all’ideologia liberale e al Grand Guignol. E parlo di CasaPound, che ha ripreso, per certi versi, quel movimento di idee e “dialogico” che sul finire degli anni ’70 caratterizzò la destra giovanile nel tentativo di autosdoganarsi, proponendosi con una strategia metapolitica tesa all’abbandono dei nostalgismi e capace di penetrare la società con proposte che andassero al di là dello slogan e del “motto”. Il riferimento è ai campi Hobbit. Attraverso questi campi il confronto con l’altro mondo si tentò di realizzarlo attraverso un afflato comunitario nuovo, musica alternativa e e fumetti, libri e dibattiti, attività a quel tempo inconsuete per l’ambiente di destra. Il “braccio a molla” lasciava il posto al dibattito sull’anticonsumismo e sull’ecologismo; il simbolismo nostalgico e paramilitare lasciava il proscenio al libero confronto delle idee; al partito si preferiva il significato di comunità, intesa come “gruppo umano vivente in comune e unito dalla medesima origine, dai medesimi sentimenti, dalla medesima aspirazione fondamentale”. Il rifiuto della macchina-uomo imposto dal sistema, senza storia né passato, si concretizzava attraverso una visione e una regola di vita che tendeva ad allargarsi fino a diventare dimensione politica. Essere “di destra” o “a destra”: un tormento che ha contrassegnato la vita di un’area che oggi grazie a CasaPound può ritrovare il suo vero destino di lotta, di idee, di programmi, ma , soprattutto, di comunità, che quella creatura ibrida e untuosa nata dal parto cesareo della tangentopoli del 1992, e affermatasi a Fiuggi due anni dopo, cercò di divorare per ingordigia di potere e denaro.

Giovanni Coppola, CasaPounf

 

 
 
 
 

 

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