Regionali, Domenico Seminerio: "Questa volta voto per..."


 
 
 
Domenico Seminerio

CALTAGIRONE – Andrò a votare. Anche questa volta. Perché esercitare il diritto di voto mantiene in vita la democrazia, quella sostanziale. Se non si vota si lascia più spazio a quelli che fanno del voto un mercimonio, una merce di scambio, da svendere anche per un pacco di pasta o una bottiglia d’olio. E’ avvenuto nel passato, si dice. Avviene anche adesso, si continua a dire, anche se pasta e olio sono stati sostituiti da altre cose. Concrete, ma anche astratte. Promesse, innanzitutto: di una casa, di un posto di lavoro, di una pratica mandata a buon fine, di un diritto finalmente riconosciuto. La promessa non provata e non provabile, anche, di garantire a sé e agli altri una certa libertà in merito al rispetto di leggi, regolamenti, obblighi di varia natura. Di mantenere quel complesso di comportamenti mafiogeni attuati nella quotidianità e che stanno diventando consustanziali al carattere della nostra gente. L’elettore si accontenta di avere da parte del prescelto, come implicita garanzia, l’atteggiamento, lo sguardo, la storia personale e persino l’aneddotica familiare. Incomprensibili le scelte degli elettori, ora come prima.

Ad esempio di questa incomprensibilità, un aneddoto personale. Negli anni ’70, quando ancora militavo nel Partito Socialista non ancora craxizzato, incontrai in una città del nord un compagno vecchio stampo, tipo Pertini per intenderci, con cui ebbi modo di scambiare qualche battuta sulle appena concluse elezioni nazionali. Il discorso, non so come, cadde sulle trecentomila preferenze ottenute da Salvo Lima nel suo collegio elettorale. Il dabbenuomo mi pose, con qualche titubanza, la seguente questione: “ma i trecentomila che hanno votato per Lima, non lo conoscevano? Non sapevano chi era e che faceva e con chi era colluso? Sono trecentomila imbecilli o trecentomila complici?”.

Abbozzai una risposta che si sforzava d’essere sensata e misi insieme una certa paccottiglia giustificativa comprendente lo stato di bisogno, la forza dell’ideologia, i convincimenti religiosi, la voglia di riscatto delle plebi meridionali che vedevano nella politica clientelare il solo sbocco d’una personale situazione di stallo. E cose così. Mi guardò con simpatia, ma anche con compatimento, e non aggiunse altro. Sono passati da allora quarant’anni. Ci sono state infinite altre votazioni per tutte le cariche elettive, dai consigli comunali in su. Ho visto altri come Lima, col dovuto rispetto per chi ha pagato con la vita il peso dei propri errori, ottenere un subisso di voti. E ogni volta m’è risuonata in mente la domanda: imbecilli o complici? Da qualche tempo comincio a propendere per la seconda risposta. Anche perché il previsto livello di astensionismo, che quest’anno dovrebbe superare addirittura il 50%, consentirà a una piccola minoranza di decidere per tutti. Basterà far confluire poche centinaia di voti su un nominativo piuttosto che su un altro per ottenere l’elezione della persona adatta al raggiungimento dei propri fini clientelari. Diciamocelo chiaramente: una persona ligia alle leggi e al dovere, che pretende il rispetto di tutte le regole, che porta stampato in faccia il piglio della serietà e del rigore, che nella sua vita non ha mai fornito esempi di deroga o di lassismo, che non ha mai fatto né accettato una raccomandazione, orbene, un tipo così lo votano in pochi, non lo scelgono manco quelli che a parole si ergono a paladini d’onestà e saggezza. Meglio il tipo accomodante, che ti strizza l’occhio dai manifesti attaccati senza rispetto anche su statue e venerandi monumenti, che a labbra socchiuse sembra suggerirti aggiustamenti e possibili intese, che nell’espressione ridanciana e nella rozzezza dell’eloquio si fa percepire come uno di noi, come uno aperto ai vantaggi reciproci. Il film Qualunquemente si gira ogni giorno nelle strade. I partiti si adeguano.

Calcolano la loro campagna elettorale solo sul 50% che andrà a votare, disinteressandosi del rimanente, di quelli che non vogliono votare. Che non vogliono perdere tempo e fatica per informarsi, per conoscere, per guardare in faccia i candidati dell’area politica che sentono più vicina. Nella morte dei partiti sopravvive una vaga appartenenza d’area, un qualche rimasuglio d’ideologia a cui si resta attaccati come cozze sugli scogli, acriticamente, col rimpianto del bel tempo che fu, con le bandiere che sventolavano al vento, gli slogan gridati come giaculatorie, gli inni strombazzati dai palchi dei comizi eretti su ogni pubblica piazza. Invece d’adeguarsi ai tempi nuovi e alle nuove forme di comunicazione e di partecipazione, non si va a votare. Non si sceglie. Si preferisce che scelgano e finiscano con l’avere il sopravvento quelli che hanno interessi da difendere o promesse da far mantenere, ergendosi, ed essendo in qualche caso, come signori del voto, padroni di quel pacchetto di preferenze capace di determinare il successo o la ripulsa, seguendo schemi e prassi consolidata, ahimè!, nel tempo. E così la metà degli elettori diventa la massa informe degli ignavi, di quelli che per viltà oppongono il rifiuto e permettono, però, con la loro semplice assenza, il trionfo degli altri. Ignavi. Come quelli di Dante, tali che “ misericordia e giustizia li sdegna”. Il bello è che gli astensionisti se ne vantano pure, come se il non voto fosse indice di nobiltà d’animo, segno d’intemerata virtù, vistoso e sonoro sbandieramento e stamburamento d’onestà e incorruttibilità, etichetta di superiorità intellettuale. E invece sono ignavi. Che restano fuori dall’inferno e dal paradiso, schifati da chi conosce veramente il bene e il male. Voterò quindi. Verificherò se le mie iniziali simpatie hanno fondamento, se i programmi portati avanti dai candidati mi soddisfano. Ho poche cose da chiedere.

Che si facciano finalmente in Sicilia gli inceneritori e si liberino le strade dalla spazzatura. Fateci caso: nelle regioni dove imperano mafia, ndrangheta, camorra, sacra corona unita, non ci sono inceneritori. Manco uno. Nella sola Emilia Romagna ce ne sono sei. La malavita organizzata li aborrisce e impedisce che si facciano, per aver tutto l’agio di speculare su appalti, discariche abusive, costi astronomici per le finanze pubbliche. Quindi, per dirla con Monsieur de la Palisse, quei politici che si oppongono agli inceneritori si pongono “oggettivamente” dalla parte della delinquenza organizzata comunque nomata. Un’altra richiesta è quella di fare il ponte sullo Stretto di Messina. Se ne parla da sempre, si promette da sempre, si osteggia da sempre. Il ponte rischia di portare anche in Sicilia merci e persone in tempi dimezzati, con mezzi che seguono le innovazioni tecniche, come i treni veloci. A parte le non sempre pretestuose osservazione portate avanti dai no-ponte, una cosa appare anch’essa evidente: mafia e camorra non vogliono il ponte. Rischia di rimescolare i loro traffici, il controllo delle merci, l’affare dei decrepiti traghetti, il mancato sviluppo delle ferrovie, il conseguente adeguamento della rete stradale, l’uscita da quell’autarchia semifeudale che genera immobilismo e con l’immobilismo il controllo stretto del territorio e il controllo occhiuto delle merci in entrata e in uscita. Quindi, lapalissianamente anche stavolta, se non va bene per i mafiosi “deve” andar bene per chi mafioso non lo è. Voglio anche la garanzia dell’ordinaria amministrazione. Siamo abituati da sempre a interventi straordinari, molto più costosi, in assenza di quelli ordinari. Ci sono amministrazioni e interventi straordinari ovunque, in tutti i comparti, dalle strade alle ferrovie, dai teatri ai musei, dalla gestione della spazzatura alle opere pubbliche immobilizzate sul nulla, dagli infiniti enti regionali commissariati a convenienza ai parchi naturalistici e archeologici. Farò quindi la fatica di sentire i candidati alla presidenza e a un seggio parlamentare, di leggere i programmi, non gli slogan elettoralistici, di recarmi al seggio, di restare in fila per il tempo necessario, di chiudermi nella cabina con tutti i miei dubbi e le mie perplessità, con la consapevolezza di poter sbagliare, di stare sbagliando, ma vivaddio con la soddisfazione di aver portato il mio mattoncino per la costruzione della casa comune, di aver dato il mio piccolo contributo affinché la democrazia continui ad esistere.

Checché se ne dica, il sistema democratico, al di là delle generose, ma sterili e troppo spesso pericolose utopie, che nel ‘900 hanno portato ai più immani disastri dell’umanità, è il migliore possibile. Naturalmente non posso e non voglio rivelare per chi voterò.

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  1. Un bell’esempio di approccio lucido e dalla schiena dritta. Fuori dal coro, e questo è il guaio: perché un assordante coro di popolo, che dicesse le stesse cose con la stessa chiarezza, potrebbe forse essere la via di salvezza per questa povera e magnifica terra infestata da troppi figli snaturati che la stanno distruggendo.

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