La finta sete

 | Salvo Reitano |

Attraverso in auto la Piana di Catania afflitta da un caldo torrido. Il solleone cucina al forno. Nemmeno una cicala a far da sottofondo, nascoste anche loro.
Sto raggiungendo una casa colonica al centro di un grande giardino di arance che il mio amico Gino si ostina a coltivare nonostante i morsi della crisi. Mi anticipo con il pensiero il fresco che gusterò sotto le volte e nel perimetro di quei muri antichi di pietra e calce.
Ci sto pensando mentre guido e gira un vento africano da tutti i finestrini abbassati. La radio gracchia notizie: tornerà impetuosa un’altra ondata di calore e sarà la quinta, quella più lunga. Di pioggia nemmeno a parlarne. Prendo atto così della siccità strisciante. Mi sento prosciugato anch’io nel bianco della camicia che trapela afa.
Se il giorno infiamma, durante la notte si bordeggia nel letto a finestre spalancate sul tepore stagnante, la lingua fuori come un cane San Bernardo a Nairobi, la pelle attenta a catturare ogni refolo.
Cosa fare, allora, se non dedicarsi alla sopportazione di ciò che l’uomo da che abita questo lembo di universo chiamato Terra ha sempre sopportato con decenza: la calura di luglio senza nemmeno uno spruzzo d’acqua così come i lunghi giorni di pioggia e lo stridere gelato dei giorni della merla?
Cosa fare? Il coro dei media su carta, in tv e sullo schermo sempre attivo dello smartphone, anziché dedicarsi a proposte e strategie su come tesaurizzare le acque e non depauperare le falde, disquisisce sul peggio. 
È un coro: vedrete signori, siamo alla vigilia della grande sete e con essa anche della grande fame, periranno le mandrie, appassiranno le lattughe, seccheranno i frutteti e dell’uva resteranno solo acini raggrinziti e neri. La voce che gracchia alla radio informa che gia “il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano ha deciso di spegnere tutte le fontane, sia quelle esterne ubicate in Piazza San Pietro, sia quelle interne dislocate nei Giardini ”.
La parola d’ordine è risparmio. A poco serve il precisare degli esperti: certo di siccità possiamo parlare ma, se davvero vogliamo essere onesti siamo tutt’altro che in una situazione da Sahel, quella desolata fascia di sabbie stanziali ai bordi del Sahara. Sicuramente in Italia la temperatura massima è più alta della media e le piogge inferiori anche del 50% rispetto agli ultimi decenni. E’ pure caduta meno neve così da rendere l’inverno prodigo di acque da disgelo. E’ successo, succederà ancora, per questo gli allarmismi ci sembrano francamente esagerati.
A farla breve, ci troviamo con la fiasca intaccata, già mezzo bevuta. Non a fiasca vuota e nemmeno destinati a non riempirla di nuovo. Col raziocinio e il buonsenso ce la possiamo fare.
Chiaro? Per nulla. Questa cosa ai media non piace. Dicono altro perché la paura da sete e le fontane a secco tirano alla grande. Vanno portati a livello dei gironi danteschi dell’Inferno. Bisogna pubblicare foto e video della terra riarsa e piena di crepe, gli alberi ingialliti, le bestie boccheggianti. C’è pure il pretino di turno che dal sagrato invoca preghiere. Una sorta di danza della pioggia in chiave cattolica. Non che i giornali credano alle preghiere, ma l’abito talare fa sempre il suo effettaccio al sommo di un servizio: gente siamo al baratro, al calamitoso, all’apocalittico, solo Dio ci può salvare.
Davanti ai giochi di prestigio di certa stampa provo difficoltà a comprendere chi si dedica all’approssimazione, alterando i fatti e contribuisce a ingiallire il verde che c’è nel cuore di ognuno di noi alitando il fiato caldo della deformazione e dell’enfasi.
E’ la stessa stampa che procura siccità e relativa sete negli anfratti interiori di chi insiste a leggerla invece di cestinarla dopo il primo rigo. Tutto è stato sovvertito: obiettività,  termini di ogni questione, gioco delle parti, meriti e colpe, interviste e dichiarazioni, perfino le cifre e la logica. La vera sete, se ci fosse, sarebbe quella di una qualche verità verbalizzata con civile coraggio e non con intendimenti di parte. 
Alcuni anni fa, sprofondato sul divano di casa, mi è capitato di seguire un documentario realizzato da una delle più prestigiose e autorevoli testate di divulgazione scientifica. Raccontava del lungo periodo di siccità patito dal Sahel, in Etiopia e in Alto Volta. Oltre centomila morti di fame, villaggi messi a fuoco da un sole incandescente, donne e uomini stremati, bambini fortemente denutriti, bestiame in putrefazione. L’ho fissato così bene nella memoria quel servizio che solo la demenza può portarselo via. Una sorta di tacca nel cervello per ricordarmi sempre cos’è una tragedia autentica che ha a che fare con il caldo e la sete. Un termometro per misurare qualcosa che scotti davvero.
Amici lettori, ci è toccato di vivere in un Paese dove tutto è finto: la scuola, la giustizia, la sanità, il lavoro, la politica, la rivoluzione, le indagini, le analisi, i propositi. Finta anche questa sete che ci propinano a mezzo stampa.
Perdessi davvero la memoria non saprei più se faccia caldo o freddo e arriverei a credere, notizia dopo notizia, aria fritta dopo aria fritta che, neutralizzato Renzi, l’Anticiclone  Nord-Africano sottoscriverà un patto di legislatura con Forza Italia, Berlusconi farà piovere sulle attese del popolo e sarà un gran bel rinfrescarci dopo aver patito tanta finta sete.

 

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