La vita non la insegnano a scuola

 | Salvo Reitano |

Ci sono fotografie che si fanno con gli occhi. La macchina fotografica sono le pupille. Hanno grandangolare e teleobiettivo. La marca è la migliore in assoluto. Si scatta, s’imprime tutto nella memoria custodita nel buio della riservatezza e quando si è a casa, soli, quieti e disposti si sviluppano le immagini inquadrate per una sola ragione: avevano un significato ed era impossibile privarcene.
Stamane mentre provo a mettere in fila le parole per questo appuntamento domenicale, sto sviluppando le fotografie mentali che ho ripreso d’avanti a una scuola elementare mentre ero in fila con l’auto che procedeva lenta nel caos festoso del primo giorno. Su un particolare l’obiettivo degli occhi si è fermato: le mani dei genitori che stringevano forte quelle dei figli, un momento prima di lasciare la presa e consegnarli al mondo di fuori.
Mi sono accorto che a quel fotogramma mancava una didascalia. L’ho trovata per caso e forse non solo per quello. Un post sul profilo di Gabriella Magistro, un’amica carissima e colta, che scrive: “Primo giorno di scuola, primo assoluto per la mia più piccola. Maestre, nuove e della materna, radunate a chiocciola per portare i bimbi verso una nuova avventura. Commozione negli occhi di tutti: mamme, papà, insegnanti, assistenti. Che l’umanità di oggi accompagni i nostri figli ogni giorno”. Che dire? Semplicemente Sublime!!  Così mi viene da ragionarci su, con i ricordi di figlio e l’esperienza di padre. 
Un bambino di quasi sei anni va a scuola per la prima volta. Al momento del suono della prima campanella non è più intelligente e vivace degli altri, non è più stupido e nemmeno più discolo. È, per sintetizzare, in quella fase della vita in cui tutto può ancora accadere, in cui tutto è possibile. Può prepararsi a diventare un genio o un cialtrone, un’astronauta o il peggiore dei delinquenti, un grande sportivo o un pericoloso terrorista. Quando lo guardiamo negli occhi, questo cucciolo d’uomo, che non sembra nascondere segreti e invece racchiude chissà quali inafferrabili interrogativi, un brivido freddo ci attraversa la schiena.
Ci assale la paura, soprattutto a noi genitori, lasciando la presa di quelle manine d’avanti all’aula del primo dei tanti primi giorni di scuola che seguiranno, che qualsiasi cosa egli veda o ascolti, qualsiasi “legge” o “verità” sfugga a noi e ai maestri, possa influire per sempre sulla sua crescita e sul suo futuro. Ogni parola, ogni gesto, un semplice richiamo possono spingerlo in anticipo sul sentiero dove il destino è segnato.
Vorremmo che l’orizzonte delle sue possibilità restasse quanto più ampio possibile per giocarci a lungo ignaro di giocare con la sua sorte. Ci piacerebbe vederlo indugiare, aspettare, soffermarsi fino a quando non gli si presenta d’avanti l’unica strada che è solo la sua, o l’intreccio di tante possibilità dove rimanere a lungo felicemente imbrigliati fino al momento di una scelta consapevole.
E mentre queste cose, tra scuola e giochi, si preparano sopra il suo capo, ascolta avidamente le voci del mondo che lo circonda.
Da qualche tempo, già prima del primo giorno di scuola, il regno delle parole e dei suoni non hanno mistero per lui. Non di rado quando lo spirito della farsa ha il sopravvento, si diverte ad imitare le voci altrui: le cadenze dialettali di un compagno di giochi, l’accento altezzoso e strascicato di un parente, la voce distratta e stanca della mamma o quella sempre soprappensiero del papà e le mille voci straniere che orecchie attente colgono passeggiando per le vie della città.
Non ce ne rendiamo conto ma lui sa meglio di noi e degli insegnanti che troverà nel suo cammino scolastico che tra le parole e le cose c’è un baratro e che non basta possedere le parole per tenere strette tra le mani le cose della vita.
Questa distanza, però, sembra non preoccuparlo, almeno per il momento. Dietro ogni parola c’è un essere vivente, un oggetto, una persona, un’anfratto nascosto della realtà. Tutte portano una notizia.
Quando si chiude nella sua stanzetta e si avventura in lunghi monologhi è come se il mondo intero fosse racchiuso in quelle mura e lì si diverte a recitare la commedia quotidiana della vita, con l’ansia e la gioia di ogni bambino. Talvolta  però i rapporti gli sfuggono: non sa come dividere il bene dal male, quale incomprensibile legame di odio e amore stringe in un nodo scorsoio gli esseri umani. Si chiede perché il cagnolino del vicino è finito straziato sotto le ruote di un’auto guidata da un uomo distratto; perché Dio, del quale ha sentito parlare come unico, onnipotente e antecedente alle cose terrene e celesti, tollera la morte, la violenza e gli orrori.
Così si convince che esistono segreti nascosti. In qualche luogo, da qualche parte, magari in un libro, nei pensieri di mamma e papà, forse nella scuola, della quale nell’ultima estate ha sentito parlare sempre più spesso. Si, forse è proprio a scuola che stanno nascoste le chiavi della realtà che non possiede ancora. Forse.
Così un mattina di settembre, con il sole già alto, tenendo stretta la dei genitori si reca a scuola per la prima volta. Si è preparato per bene. Ha voluto lo zainetto con il personaggio preferito o con i colori e lo scudetto della squadra del cuore. Ci ha messo dentro quaderni, penne e matite colorate facendo attenzione a non sfigurare con gli altri bambini.  Percorre radioso le strade e gli dispiace non poco che nessuna delle persone che incontra – la portiera, il fornaio, l’operatore ecologico, i passanti che si affrettano sul marciapiede – si renda conto che per lui quello non è un giorno qualsiasi, ma un giorno speciale, l’inizio di un’avventura, come ha scritto la mia amica Gabriella.
Con gli altri bambini ha giocato felice nel cortile della scuola e il suo volto si è fatto rosso di eccitazione e di gioia. L’aula era colorata e accogliente con festoni e scritte di benvenuto. Sono stati i giorni venire che hanno deluso le sue aspettative.
Dalla scuola pretendeva di imparare a conoscere tutti quei rapporti tra le cose che ancora gli sfuggivano: i giochi e i capricci del tempo che scorre, il significato profondo tra il bene e il male, la vita e la morte. Sono passati gli anni e si sono succeduti i primi giorni di scuola e niente di tutto questo gli è stato minimamente accennato. Qualcosa, invece, l’ha ferito sin da subito. Le parole con cui maneggiava gli oggetti della realtà, le parole che si divertiva  a far giocare arditamente tra loro sono state spezzate, frantumate, divise in lettere. Il piccolo uomo conosce il gatto, il pesce, il cane, il leone, la bicicletta, il quaderno. Ma non riesce a capire il significato di questi suoni tronchi, di queste sigle inanimate: “g” come gatto, “p” come pesce, “c” come cane, “l” come leone, “b” come bicicletta, “q” come quaderno.
Il mondo che prima della scuola gli si apriva così chiaro e luminoso si è frantumato, ed egli si aggira spaesato tra questi suoni tronchi e queste rovine senza capire cosa sia accaduto. “Credevo che la scuola fosse bella”, dirà un giorno tornando a casa stanco e deluso con le lacrime che gli rigano il volto.
Poi, però, un piccolo miracolo. I frantumi si sono, piano piano, ricomposti e un po’ alla volta le lettere hanno preso a disegnare parole intere nelle quali ritrovare gli oggetti di un tempo. Ma la ferita è rimasta, ha lasciato il segno. Dopo averle viste così divise è meno certo di loro, come se il rapporto che intrattengono con la realtà fosse ad un tratto divenuto vago, pieno di dubbi, per certi tratti inquietante. Però gli è servito. È bastato poco per comprendere cosa sia divisione, separazione, distacco.
Forse il piccolo cucciolo d’uomo ha capito che la strada per conoscere i rapporti tra le cose è così lunga e impervia che nessuno ha mai potuto percorrerla fino in fondo nemmeno dopo aver conseguito tre lauree.
Allora, per concludere: mandiamo i nostri figli a scuola che è sempre, nonostante tutto, una valida istituzione, incitiamoli ad apprendere e quando parliamo con loro pesiamo le nostre parole, rendiamole sempre più leggere e trasparenti, in modo che nessuna di esse suoni come un precetto, una richiesta, un obbligo. Cerchiamo di scoprire quali sono i desideri nascosti e le speranze inconsce alle quali affidare i loro sogni.
La vita, quella vera, è fatta di sofferenza, di gioia, di coraggio, di altruismo e fantasia e queste cose, soprattutto la fantasia, non le insegnano a scuola.
Sviluppo ancora. L’ultima foto è in controluce. Sto percorrendo la strada a ritroso dopo aver completato le mie faccende giornaliere. Sono di nuovo d’avanti alla scuola. Stessa confusione gioiosa. La mamma e il papà sono di nuovo con il loro bambino. Gli stringono forte la mano sulla via del ritorno a casa. È questa la foto che farò ingrandire.

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