Post elezioni: l’onestà, la Sicilia e la Questione morale


 
Concetto Ferrarotto

C’è un’opinione pubblica sorpresa dai risultati delle elezioni regionali in Sicilia, dopo una campagna elettorale tutta incentrata sul tema della “presentabilità” o meno dei candidati.
Ora, con la serenità di una competizione conclusa ormai da giorni, chiediamoci cosa c’è di vero nel luogo comune di un’isola “irredimibile” dove i corrotti sarebbero sempre preferiti a chiunque altro. Con un distinguo immediato e inevitabile: il presidente eletto Musumeci è persona fin qui di indiscussa onestà, una qualità che non può essere trascurata nell’analisi del voto. E vanta capacità amministrative per un Ente regionale in stato di abbandono da anni. Ma proviamo a sintetizzare: avevamo sul tappeto due offerte. Da una parte due coalizioni considerate espressione del “sistema”, accusate di includere personaggi equivoci. Dall’altra due partiti, M5S ed MdP, che si proponevano come anti-sistema sotto la bandiera dell’onestà o dell’antimafia.
Alla fine i risultati elettorali non hanno premiato la seconda offerta. MdP si è fermata ad un modesto 5,2% di voti, un solo candidato eletto, mentre il movimento stellato con il suo 26,7% di consensi ha drenato voti soltanto a quella coalizione di “sistema” che non aveva presentato un progetto coeso. Non è riuscito a fare muro contro l’avanzata del centro destra riorganizzato, nonostante gli impresentabili.
Bisogna concentrarsi su quel 26%, il consenso reale al partito di Di Maio e compagni è dato dai voti di lista ottenuti dai deputati: questa è la “linea del Piave” dell’alternativa al sistema. Aggiungiamo che a dispetto di una propaganda tutta incentrata sul territorio e su un utilizzo pervasivo dei social networks, il movimento non ha smosso un solo punto percentuale degli astenuti che anzi sono aumentati.
Quindi, una Sicilia insensibile al richiamo all’onestà oppure un’offerta politica non adeguata? Probabilmente un po’ l’uno, un po’ l’altro. La questione richiede un approccio più complesso del semplicismo moralistico e intanto bisognerebbe intendersi sul significato di onestà, ci si passi l’esempio: se una donna illibata pretenda di restar tale anche dopo il matrimonio, è disonesta col marito e con l’idea stessa di matrimonio. Fuor di metafora, proporsi come guida politica del territorio ma rifiutando per principio ogni dialogo con qualunque altro soggetto politico, non funziona: magari si esalta l’adesione dei fedelissimi ma pure preoccupa gli altri.
Ora, non possiamo nemmeno essere negazionisti, la questione morale nell’isola ha una portata molto più acuta e radicata che nel resto del Paese, tuttavia è il momento di interrogarsi se può avere ancora un senso un antagonismo che si muova sempre e soltanto sulla cifra del moralismo o della denuncia. Esiste una larga parte della popolazione che è francamente onesta, a dimostrarlo sta quel 53% di astenuti che certo non ha seguito proposte clientelari o di scambio, proprio perché non si è mossa. E c’è tanta gente che vota per i partiti di “sistema” avendo seguito soltanto la propria opinione, giusta o sbagliata che sia. Sarebbero forse anche contenti di abbandonare quei partiti tradizionali che ogni santo giorno danno prova di non volere, non sapere autoriformarsi ma non sono disponibili al salto nel buio.
Il punto è che la maggioranza onesta dei siciliani si indigna ma vuole anche un progetto di governo, richiede concretezza e soluzioni. Molti sono anche purtroppo disillusi ma la comunicazione rabbiosa di onestà ottiene l’effetto emotivo opposto, incupisce ancor di più chi è convinto che tanto nulla possa cambiare sul serio.
La vera questione morale è piuttosto la paura del cambiamento. Una paura che non può essere vinta da chi ripete continuamente come un mantra che tutto è marcio. Oppure da chi insieme all’antimafia propone un programma economico di estrema sinistra , contrario al sentire e agli interessi della maggioranza: mettere insieme le due cose non convincerà mai le migliaia di onesti lavoratori e imprenditori che non hanno mai ceduto alla corruzione ma non desiderano affatto accrescere l’incidenza dello Stato nell’economia. Un diverso progetto riformista veicolerebbe con migliore efficacia le pressanti istanze di giustizia sociale.
La Linea del Piave può essere superata se si accetta l’idea che da una parte esistono gruppi di interesse ancora legittimamente rappresentati dai partiti tradizionali e dall’altra che una quota di opportunisti, di ladri, di mendicanti di favori e di mafiosi esisterà sempre e comunque in ogni società. La questione è ridurne la portata, con azioni positive e non soltanto di denuncia. Un progetto politico ben più ampio del semplice richiamo alla legalità formale.
C’è un compito grave di maturità cui è chiamato il popolo siciliano ed è quello di venir fuori dalla lotta di posizione, tutta verbale, tra onesti e disonesti: perché nelle trincee si rischia di restare per decenni e di morirvi di fame. E in un certo senso, nonostante il disfattismo dilagante, siamo forse già pronti. Abbiamo attraversato le varie fasi della presa di consapevolezza, dalla prima eroica antimafia alla lotta per la moralità e l’onestà nella politica. E’ un percorso compiuto che va superato per consegnare il testimone ad un momento più evoluto che guardi a soluzioni sostanziali. La società civile può e deve assumere un nuovo ruolo che non sia più di solo antagonismo o estraneità alla “casta” ma di ritorno al fare “politico” del vivere sociale. La società può e deve ricominciare a camminare a prescindere dalla politica istituzionale, non è possibile attendere e non è vero che tutto dipenda da quale colazione stia al governo oppure no. Nei suoi migliori momenti storici il Paese ha fatto da sé.
La società civile, in tutte le sue componenti e prima fra tutte la sua borghesia che può disporre di mezzi e di competenze, dovrebbe intanto liberarsi dalle proprie incrostazioni di appartenenza e ricominciare a creare: imprese, cultura, idee e progetti, provocando e richiedendo le risposte della politica. Di più, deve ritornare a infiltrarsi nella politica. Una grande lobby che dichiari guerra per abbattere la trincea dell’immobilismo.

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