Quali turismi per la Sicilia? Oggi pomeriggio ad Economia Aziendale il secondo seminario su “made in Sicily”


|Saro Faraci|

Una vera e propria industria del turismo forse in Sicilia non ci sarà mai. Una di quelle capaci di attirare grossi investimenti immobiliari, di generare straordinari flussi occupazionali, di portare nella nostra terra milioni e milioni di visitatori all’anno per grandi attrazioni tematiche. Ancora è troppo “arrunzata” la Sicilia per fare un salto di qualità del genere, soprattutto quando il sistema viario e in generale quello infrastrutturale sono ancora approssimativi e certe bruttezze, come l’indecoroso spettacolo della spazzatura per le strade, non si riescono a cancellare del tutto. Colpa delle istituzioni, forse. Colpa pure dei Siciliani, probabilmente. Ma la Sicilia è esageratamente ospitale nell’habitus comportamentale dei suoi residenti, è maledettamente bella, è straordinariamente accogliente al punto da “accupare” lo straniero, cioè a riempirlo di attenzioni e premure fino quasi a soffocarlo, è amichevole e socievole nel comportamento della sua gente, un poco “camurriusa”, ma sicuramente affidabile quando ci sono di mezzo sentimenti ed emozioni e del visitatore ci si prende cura.

Ecco, bisognerebbe ripartire forse dal quadro appena rappresentato per pensare ad una Sicilia diversamente turistica per i prossimi anni. Una Sicilia in cui il turismo, a differenza dell’industria delle vacanze in altri luoghi del Paese, è innanzitutto un “turismo di radice” alimentato dai flussi di ritorno degli emigrati, dai siciliani d’animo, di origine, di provenienza, di discendenza che magari, vivendo fuori dall’isola, la Sicilia non l’hanno mai conosciuta. E se la Sicilia, come diceva Leonardo Sciascia, è la metafora del mondo, non si può concludere il cammino terreno senza esser stati almeno una volta nell’isola della Trinacria. “Turismo di radice” che richiama le radici profonde della terra, la risorsa materiale di cui la nostra isola è abbondante, e che trova nell’agricoltura un altro settore importante, non alternativo, ma complementare al mondo della ricettività, soprattutto quella extra-alberghiera. “Turismo di radice” che evoca pure il radicamento nei valori e nelle tradizioni di cui i visitatori sono affamati quando arrivano in Sicilia. Perché, a dispetto di una vecchia ed inutile réclame istituzionale della Regione Siciliana, l’isola non è soltanto mare, sole e monumenti, dato che di tali risorse sono dotati anche paesi concorrenti nel bacino mediterraneo; ma la Sicilia è soprattutto tradizioni, folklore, lo spirito caleidoscopico della sua gente, la convivialità del mangiare insieme, la contemplazione di luoghi remoti e spesso difficili da raggiungere; la Sicilia è insomma una sinestesia vivente in cui le emozioni prendono forme e colori; i luoghi fisici liberano odori dell’anima ed emanano suoni altrimenti impercettibili alle nostre orecchie.

Per questi motivi la Sicilia forse non avrà mai una vera industria del turismo. Se guardiamo i numeri, sono ancora impietosi. A dispetto della crescita degli arrivi e delle presenze, il turismo sembra l’eterna incompiuta dell’economia siciliana. E’ il settore che cresce di più rispetto agli altri (+4% nell’ultimo anno), che dà il maggior contributo alla nuova occupazione e alla crescita delle imprese (+8%), che registra una percentuale di imprese giovanili (21,1%) e femminili (29,1%) addirittura superiore alle medie nazionali, ma ancora è sottorappresentato in una economia regionale dominata in ordine di importanza dal commercio, dall’agricoltura, dall’edilizia e dall’industria manifatturiera. Con un numero di imprese oscillanti fra 24 e 26.000 unità, a seconda delle rilevazioni statistiche, vale appena il 6,74% dell’intera popolazione attiva aziendale dell’isola. Un numero decisamente basso rispetto al potenziale e alla vocazione turistiche della Sicilia. Un numero che forse rimarrà tale.

Dunque, la svolta non potrà che venire dal rilancio della fisionomia di radice del turismo isolano, dal rafforzamento della cultura dell’accoglienza, dalla riscoperta, anche in modalità 2.0 o 3.0, dell’accoglienza dove pure i social media hanno un loro ruolo importante nella narrazione, nello storytelling, nella capacità di raccontare. “Parrari” è l’attività preferita dai Siciliani. Oscilla tra il “ciciulari”, cioè il parlare sottovoce e spesso in maniera un po’ pettegola, e il “vuciari”, cioè la parlata ad alta voce per catturare l’attenzione altrui. Se questo potenziale immateriale fosse convertito in una pluralità di nuovi format comunicativi, la Sicilia avrebbe la leadership anche nei social media. E il “pititto”, cioè il desiderio di visitarla, sarebbe ancora più forte in tutti quelli che non l’hanno mai conosciuta.

Questo pomeriggio, a partire dalle 16.00, nell’Aula Magna di Palazzo delle Scienze al Dipartimento di Economia e Impresa di Catania (corso Italia 55), il turismo, il mondo degli eventi e quello dell’ospitalità saranno al centro del secondo dei seminari sul “made in Sicily” organizzati dal corso di laurea in Economia Aziendale e dalla Camera di Commercio di Catania. Preceduti da un intervento introduttivo del prof. Marco Platania, docente di Economia del Turismo all’Università di Catania, racconteranno le loro case histories nuovi protagonisti di una Sicilia “diversamente turistica”: Alessia Di Raimondo per Sicilia Convention Bureau, Melino Ficili per il Parco Culturale Ecclesiale di Acireale, Aurelio Trubia per Matrimoni di Sicilia, Barbara Mirabella per Expo, Corrado Di Filippa per Siculamente e Matilde Cifali con Giorgio Vanadia per Ceramiche De Simone.

 

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