Sul "Caso Marco" il silenzio della casta politica


 

CATANIA – La storia dell’Istituto musicale  “Bellini” è la storia di un buco di 14 milioni di euro, di 23 arrestati, di reati che vanno dal peculato alla ricettazione, dal riciclaggio alla associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio. E’ una storia sbagliata, in una città abbracciata dall’errore, che pare avere eletto a modelli lo scandalo e la furberia, e non si adonta più, non si indigna più, non si ribella più. In questa storia vi sono coinvolti la mamma della “ consigliera” comunale Erika Marco,, il padre, la sorella e lo zio: un nucleo famigliare intero. Fin quando ho ricoperto la carica di responsabile provinciale di CasaPound ho rimarcato, con manifestazioni sotto Palazzo degli Elefanti, con striscioni e con comunicati stampa, la necessità morale per la città delle dimissioni di Erika Marco, la quale, anche se non risulta tra gli indagati ( ma vorrei ricordare che la stessa Erika Marco ha ricoperto il ruolo di legale  rappresentante dal 2007 al 2009 della San Felice srl, società che risulta indagata per fatti accaduti successivamente a queste date; e, inoltre, Erika Marco e la sorella Roberta sono state dipendenti nel 2015 di quel Nicoloso, indagato di rilievo nell’inchiesta),  per una questione di etica politica, di responsabilità e di coscienza, ha l’obbligo di lasciare il Consiglio Comunale. Passaggio questo che in altre città, in qualsiasi altro posto del mondo sarebbe avvenuto nel giro di un tic. Ma questa è Catania, una città che ha perso i contorni e la sostanza della vera politica, anestetizzata e resa informe, insensibile a qualsiasi scandalo che la riguarda, appecoronata ai soliti soloni e ai soliti potenti. Noi di CasaPound siamo stati gli unici a scendere in piazza e a chiedere a gran voce le sue dimissioni, siamo stati gli unici ad invitare la gente a trovare la strada dell’indignazione, della rabbia, del disgusto. Perché in questa città, anni ed anni di mala politica hanno normalizzato la corruzione, hanno abituato i cittadini allo scandalo, e li hanno svuotati di qualsiasi forza reattiva, di qualsiasi indignazione. Il cittadino comune avverte lo scandalo come una normalità, un male necessario, una regola del gioco. Noi a tutto questo ci siamo opposti, e siamo stati soli in strada, a parlare alla gente e dalla gente ricevere approvazioni. Non ho accettato e non accetto il silenzio della politica, un silenzio che pare sconfinare nella protezione della Marco; il silenzio della società civile, sempre pronta ad indignarsi per qualsiasi cosa tranne per le cose serie; il silenzio degli intellettuali che hanno il dovere di formare una coscienza critica e libera, perché ,è regola non scritta, che “chi sa ha il dovere di agire”. Non ho accettato il silenzio del Sindaco di questa città, il quale a parte la dichiarazione oncologica rilasciata in conferenza stampa, immediatamente dopo gli arresti, non ha dato segnali di nulla. Non ho accettato il silenzio dell’opposizione, che in una dinamica normale avrebbe dovuto infuocare il dibattito chiedendo le dimissioni di una consigliera della maggioranza che vota da maggioranza. Perché nessuno dei colleghi della Marco, caro direttore, ha sentito il dovere morale di chiederle le dimissioni? Perché? Per amicizia? Per mutuo soccorso? Per tattica politica? Mi manca un tassello, non riesco a capire perché in questa città non debba mai albergare la normalità, perché il grottesco deve necessariamente copulare con il tragico in modo da generare il drammatico. Qui il Leviatano, inteso come mostro che divora le coscienze critiche , nato dall’accordo tra tutte le componenti socio-politiche-economiche della città, ha radici profonde. Storie come queste, sono i veleni che allontanano le persone dall’impegno politico e sociale, che rendono insensibili e disinteressati i nostri figli, che alimentano quella rassegnazione e quel fatalismo che hanno deturpato l’anima della nostra nazione. Aspettiamo Godot.

Giovanni Coppola, ex rappresentante provinciale di CasaPound e  fondatore del Circolo Hobbit

 

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