Totò Riina non rinnega se stesso

|Katya Maugeri|

Nel giorno del venticinquesimo anniversario dalla strage di via D’Amelio, il tribunale di Sorveglianza di Bologna ha rigettato la richiesta di differimento pena o, in subordine, di detenzione domiciliare, avanzata dai legali di Totò Riina. Il capo dei capi resterà detenuto al 41 bis nel reparto riservato ai carcerati dell’ospedale di Parma. “Non potrebbe ricevere cure e assistenza migliori in altro reparto ospedaliero – affermano i giudici – ossia dove ha chiesto di fruire della detenzione domiciliare. Una stanza dotata di tutti i presidi medici e assistenziali necessari alla cura di una persona anziana malata. Il suo diritto alla salute, quindi, è tutelato.  Per Luca Cianfaroni, legale di Riina si tratta di un’ordinanza “ampiamente ricorribile, e come tale sarà oggetto di ricorso”.
Quello che sicuramente sconvolge, atterrisce e avrà certamente contribuito alla scelta definitiva è stato il video registrato il 27 febbraio durante il colloquio di Riina con la moglie, Antonietta Bagarella, durante il quale il boss di Cosa nostra dichiara: “Io non mi pento. A me non mi piegheranno. Io non voglio chiedere niente a nessuno. Mi posso fare anche 3.000 anni, no 30 anni”, sono queste le frasi riportate nell’ordinanza di rigetto dell’istanza, e inoltre una chiara affermazione dei coniugi Riina in cui si evince che “i collaboratori di giustizia vengono pagati per dire il falso”.

Una decisione che arriva nel giorno in cui i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Palermo e Trapani effettuano un sequestro beni riconducibili a Riina, alla moglie e ai figli Salvatore, Giuseppe, Maria Concetta e Lucia, quest’ultima nelle scorse settimane aveva polemizzato al comune di Corleone la mancata concessione del bonus bebè ritenendosi vittima dello Stato italiano tanto da voler rinunciare persino alla propria cittadinanza si tratta di società. Un sequestro per 1,5 milioni: 38 rapporti bancari e terreni a Palermo e Trapani e di ville, l’inchiesta è scattata per i redditi dichiarati da Riina e dai congiunti, che hanno fatto ipotizzare l’utilizzo di risorse finanziarie illecite. Infatti è emersa una costante disponibilità di contanti della famiglia, in particolar modo della moglie che, nonostante i sequestri di beni subiti e a fronte dell’assenza di redditi, ha emesso dal 2007 al 2013 assegni per oltre 42mila euro a favore dei congiunti detenuti. Sono stati individuati, inoltre, beni in provincia di Lecce e Brindisi intestati ad Antonino Ciavarello, genero di Riina. E il tribunale di Palermo ha sottoposto ad amministrazione giudiziaria per sei mesi l’azienda agricola dell’ente Santuario Maria Santissima del Rosario di Corleone, per un terreno gestito dai Riina. Un sequestro che comprende, inoltre, la villa a Mazara del Vallo, Riina avrebbe trascorso la latitanza nei periodi estivi. Dopo la cattura nel gennaio del 1993, la villa con un finto contratto di locazione, venne ceduta al fratello Gaetano, al quale venne confiscata nel 1984 con provvedimento del giudice Alberto Giacomelli di Trapani. Ucciso dai corleonesi il 14 settembre 1988, per l’omicidio, il capo dei capi, è stato condannato all’ergastolo.

Giorni davvero turbolenti in cui abbiamo assistito a un continuo oltraggio alla memoria con gli atti vandalici alla statua Giovanni Falcone allo Zen di Palermo, a un cartellone con una immagine del magistrato posizionato davanti i cancelli della scuola Alcide De Gasperi e alla stele del Giudice Rosario Livatino ad Agrigento.
Gesti vigliacchi che mettono in luce una Sicilia che ha ancora tanto da imparare, ma le risposte – fortunatamente – da coloro che credono a una Terra migliore non tardano ad arrivare. E l’inaugurazione del murales alla Cala in ricordo dei giudici Falcone e Borsellino, promosso dall’Anm è un importante messaggio di coraggio, di lotta e di speranza per quei siciliani che continuano a camminare seguendo le idee e l’esempio di uomini che non si sono mai arresi.


 

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