PALERMO. Un altro processo per Calogero Mannino, l’ennesimo. Ma a giudizio – con l’accusa di falso, per le visite «proibite» in carcere a Totò Cuffaro – vanno anche altri politici siciliani, da Mirello Crisafulli a Pino Firrarello, da Pippo Gianni a Cataldo Salerno, da Pippo Scalia a Sebastiano Sanzarello e Nunzio Cappadona. Ventotto in tutto gli imputati, appartenenti a vari partiti ed ex partiti, rinviati a giudizio dal Gup di Roma Livio Sabatini, che ha accolto la richiesta del pm Barbara Zuin.
Secondo quando scrive il Giornale di Sicilia in edicola oggi, andranno a giudizio l’ex ministro Calogero Mannino, gli ex senatori Vladimiro Crisafulli e Pino Firrarello, gli ex deputati Renato Farina e Pippo Scalia, l’ex sottosegretario Antonio Buonfiglio. E ancora: Pippo Gianni, Cataldo Salerno, Sebastiano Sanzarello, Nunzio Cappadona, Anna Bonfrisco, Filippo Maria Antonio Bucalo, Giuseppe Castania, Maria Giuseppa Castiglione, Stefano Ciccardini, Salvatore Cuffaro (cugino omonimo dell’ex governatore), Giuseppe Di Carlo, Francesco Di Chiara, Alessandro di Paolo, Davide Durante, Cosimo Izzo, Gaetano Mancuso, Antonio Marino, Salvatore Rinaldi, Giuseppe Ruvolo, Antonina Saitta, Calogero Gian Maria Sparma, Attilio Tripodi.
La scorsa settimana erano state archiviate le posizioni di altri cinque politici siciliani: Simona Vicari, Antonello Antinoro, Nino Dina, Saverio Romano e Salvo Fleres. Secondo le conclusioni del pm Zuin tutti si sarebbero prodigati per permettere all’ex governatore di mettere in piedi “un collaudato sistema di comunicazioni attraverso il quale Cuffaro ha impartito direttive o comunque fornito indicazioni per lo svolgimento di una molteplicità di non meglio specificati affari che lo vedono coinvolto”.
Cuffaro in questa inchiesta non è stato indagato. L’ex governatore, a parlare con i suoi fedelissimi che andavano a trovarlo in carcere, non ha commesso alcun reato. A differenza dei parlamentari che, avendo diritto ad entrare nelle carceri, si sono portati dietro “amici” di Cuffaro spacciandoli come loro collaboratori, consentendo loro di accedere all’interno di Rebibbia e ad avere colloqui “privati” (al riparo da intercettazioni) con l’ex governatore della Sicilia.
Indagato dalla Procura di Palermo nell’ambito di un’inchiesta sulla realizzazione di alcuni termovalorizzatori in Sicilia (poi finita in archivio), per Totò Cuffaro i pm Nino Di Matteo e Sergio De Montis avevano disposto la videointercettazione dei colloqui in carcere tranne, come prevede la legge, quelli con i suoi legali e con i parlamentari.
Ma dalle intercettazioni effettuate sulle utenze dei familiari dell’ex presidente della Regione siciliana, gli investigatori della Guardia di Finanza hanno avuto contezza che con quei colloqui al riparo dalle microspie “è stato consentito a Cuffaro di continuare ad occuparsi di proprie attività, questioni ed interessi nonostante le preclusioni connesse al suo stato detentivo“.
Dal Giornale di Sicilia