Adozioni: Asa Onlus, la cultura dell'accoglienza

Adozioni: Asa Onlus, la cultura dell'accoglienza

di Katya Maugeri

CATANIA – Si parla tanto di accoglienza, della capacità di tendere la mano e aiutare chi vive in una condizione di precarietà e sofferenza, in una società che va veloce e teme di soffermarsi su tematiche importanti pian piano prendono forma e diventano progetti. Traguardi ma ancora vissuti come dei tabù. Il legame tra genitori e figlio da sempre identificato sulla base del vincolo di sangue ha spostato lo sguardo anche a un’altra possibilità: l’adozione. E quella internazionale, oggi, è un tabù superato.

Ed ecco che in questo deserto di umanità, le adozioni danno grande lezioni di solidarietà.

A Catania, la Asa onlus, l’associazione solidarietà adozioni, uno dei 62 enti italiani autorizzati dalla Presidenza del consiglio dei ministri per l’adozione internazionale è ormai una realtà consolidata grazie alla passione, alla determinazione della presidente, Marina Virgillito, che ci ha raccontato le sfumature di un percorso che dona il bene più prezioso.

Le coppie che scelgono di adottare un bambino quale percorso devono seguire?

«La coppia che desidera adottare, dichiara la propria disponibilità al Tribunale per i minorenni competente per territorio. A seguire viene avviato un percorso con i servizi sociali, che realizzano una relazione per il tribunale sulla condizione psico-sociale dei futuri genitori e sulle risorse su cui far leva nel percorso di accoglienza dei bambini. Hanno luogo degli incontri con i giudici onorari esperti della materia, ovvero psicologi, pediatri, pedagogisti e assistenti sociali.  Alla fine di questo primo step viene decretata, in camera di consiglio, l’idoneità della coppia ad adottare all’estero. Dopo alcuni incontri informativi, dopo il conferimento d’incarico e la conseguente scelta del Paese straniero la coppia può incontrare il minore. Tutte le fasi dell’iter adottivo ed anche del post-adozione, tanto per il bambino quanto per la coppia, sono seguite da un team di professionisti, psicologi e pedagogisti, al fine di garantire incontri per l’accompagnamento familiare alla genitorialità e per la costruzione dei legami familiari».

Dietro l’iter delle adozioni si celano storie dolorose, in che modo si cerca di arginare i traumi dei bambini?

«La nostra associazione, grazie alla presenza di un team di esperti psicologi, assistenti sociali e pedagogisti accompagnano la coppia e il bambino in tutte le fasi dell’iter adottivo. Sicuramente è fondamentale il lavoro di preparazione all’adozione, sin da quando il minore si trova nel paese di origine. Da non sottovalutare la capacità empatica dei genitori: occorre necessariamente aspettare i tempi del bambino. Ogni bambino ha una sua storia, non ci sono delle regole, occorre semplicemente aspettare e rispettare i suoi tempi. Ecco che risulta fondamentale il ruolo degli adulti: l’Associazione si dedica alla formazione delle coppie che si avvicinano al progetto adottivo, tramite incontri e laboratori tematici, momenti di approfondimento dei temi dell’accompagnamento familiare alla genitorialità e della costruzione dei legami familiari. Infine, il post adozione è un momento fondamentale per comprendere la capacità di adattamento dei bambini al nuovo contesto sociale, scolastico e familiare».

La vostra associazione fondata nel 1998 cosa garantisce al territorio?

«L’associazione è molto attenta alla promozione sul territorio di un’intensa e continua attività di sensibilizzazione sui diritti dei minori, delle donne e dei nuclei familiari in condizione di disagio e a rischio di esclusione sociale. I progetti che portiamo avanti, con il Sostegno a Vicinanza, sono mirati a garantire assistenza alle famiglie e ai minori che si trovano in situazioni di disagio ed emarginazione nel nostro territorio.

Recentemente con “Adotta un banco”, grazie ai contributi ricevuti attraverso la vendita del libro “Cosa farò da grande? Il futuro visto con gli occhi dei nostri figli”, realizzato con i disegni dei bambini della grande famiglia ASA e donato al Santo Padre, abbiamo avviato il programma di Sostegno a Vicinanza adottando il futuro di una studentessa di un Liceo artistico, donandole dei libri di testo e sostenendola così nella formazione e nell’istruzione. Grazie ai proventi della vendita del calendario della nostra Associazione, con il progetto “Adotta una famiglia” abbiamo aiutato, a Catania, un giovane mamma in difficoltà e con “Adotta un raggio di sole”, a Taranto, abbiamo adottato la storia dei bambini ospedalizzati nei reparti di Oncoematologia, Pediatria, Microcitemia e Ortopedia degli ospedali della città e presso i domicili dei bambini affetti da gravi patologie».

Quanto pregiudizio e disinformazione ruotano intorno al tema delle adozioni?

«Tanti pregiudizi e tanta disinformazione, purtroppo la cultura dell’accoglienza è un concetto ancora quasi utopico. Basta sfogliare i quotidiani nazionali per rendersi conto di quanta superficialità ci sia quando si parla di adozioni, di minori e genitori. Molto spesso l’aggettivo “adottivo” configura accanto alla parola “figlio” o “genitore”: così si corre il rischio di una stigmatizzazione, oltre che di una cattiva informazione. La figura del genitore adottivo è considerata diversa e distinta da quella del genitore biologico di un bambino, bisognerebbe accorciare la distanza, anche semantica, interposta tra genitore adottivo/genitore biologico: entrambi hanno come punto massimo l’assunzione di uno stesso, preciso ruolo, quello della genitorialità».

La vostra associazione è inoltre impegnata nel perseguimento di finalità di solidarietà sociale, con particolare riferimento alla tutela dell’infanzia e della famiglia…

«Negli anni l’associazione ha organizzato convegni e seminari di studio con oggetto la tutela minorile e la prevenzione del disagio sociale. Grazie a progetti di Sostegno a Distanza ha avviato molteplici percorsi di solidarietà, come ad esempio “SOS bambine di strada Kinshasa“. L’obiettivo generale del progetto è la realizzazione di condizioni di protezione a favore delle bambine in situazione di prostituzione, a rischio di violenza e in difficoltà che vivono per le strade di Kinshasa, nella Repubblica del Congo. Sono previsti 45 posti letto per i ricoveri di urgenza e 6 mesi di degenza per le ragazze, durante i quali si provvederà al reinserimento nelle comunità e nelle  famiglie o la loro ricollocazione in case famiglie e strutture protette. Le ragazze e le bambine presenti saranno sostenute nel loro percorso riabilitativo da professionisti che assicureranno assistenza legale e psicologica. Inoltre, al fine di avviare adeguati percorsi di autodeterminazione, si provvederà ad una prima scolarizzazione elementare insegnando a leggere e a scrivere alle giovani ospiti. Inoltre, l’aggiornamento professionale è uno dei cardini attorno al quale deve ruotare l’attività svolta nel settore delicatissimo dell’accompagnamento familiare. Vista la crisi strutturale che sta attraversando il “sistema famiglia” ritengo che sia vitale approfondire le competenze degli operatori che lavorano in questo ambito. È di fondamentale intessere una rete stabile di relazioni con tutte le realtà, pubbliche e private, per elaborare, affinare e potenziare costantemente le metodologie operative da metter e in atto e promuovere un costante e proficuo scambio di valorizzazione delle competenze».

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