Agosto, cultura mia non ti conosco

| Salvo Reitano |

Manca poco ormai. La bella estate volge al termine. Cominciano a svuotarsi gli stabilimenti balneari. Chiusi gli ombrelloni resteranno vuote le sdraio dove orde di bagnati hanno preso il sole in compagnia dell’immancabile smartphone che ormai ha sostituito libri, giornali e riviste.
“Ferragosto, più fumo che arrosto, più cartacce che inchiostro”, scriveva in uno dei suoi epigrammi, quasi mezzo secolo fa, Giovanni Arpino.
In spregio alle cosiddette vacanze intelligenti, sotto l’ombrellone un nuovo proverbio ne scandisce il tempo: agosto, cultura mia non ti conosco e che gli acculturati invernali sembrano disporre come alibi. Spariscono dai quotidiani, tranne rari casi, le pagine destinati agli argomenti librari, artistici e musicali. Di riviste dedicate alla cultura nemmeno a parlarne. Se chiedi all’edicolante trasecola e cade dalle nuvole. Eppure si moltiplicano fino all’inflazione i premi letterari che distribuiscono assegni, sempre meno consistenti vista la crisi, sogni e patacche. Non c’è comune d’Italia che nel cartellone delle manifestazioni agostane non preveda la presentazione del libro tale del tal dei tali. Stampato in cento copie e vendute dieci, tra familiari e affini. Un successo!!! Si, perché tutti scrivono, soprattutto poesie, e tutti hanno la smania della pubblicazione. Diceva Benedetto Croce: ““Fino a diciotto anni tutti scrivono poesie; dopo, possono continuare a farlo solo due categorie di persone: i poeti e i cretini”. Lo  ripeteva spesso, nei suoi concerti, Fabrizio De Andrè ed è valido anche oggi. Soprattutto per i cretini.
Comunque sia, in agosto la cultura, quelle con la C maiuscola va in vacanza. E’ un tipico caso italiano. Una sorta di “resa” alla ressa ombrellonistica. Come se qualche pagina di un buon libro o un articolo di giornale, anche online, impedissero di godere di un buon bagno. 
Gli editori e i direttori fanno spallucce e a meno che non si tratti di raccontare tragedie puntano sulla futilità dei titoli. La cosiddetta “intellighenzia” si mette in letargo. Cede il passo a Facebook, a Twitter, a Instagram e alle chat di Messanger e WhatsApp, all’anguria e al gelato più che alla riflessione.
Ma la cultura, nella sua interezza, non è anche un servizio? Il dibattere determinati argomenti, suggeriti dalla cronaca, tra edizioni e riedizioni di libri e pamphlet  non è sia un “servizio” sia una necessaria presenza critica? Anche per queste ragioni le nostre rubriche culturali non vanno in vacanza. Perché ci siamo resi conto che hanno ragione quei lettori, pochi o tanti non importa, che pretendono un numero di pagine estive dedicate alla cultura, perlomeno alla pari con quelle delle altre stagioni. Proprio perché, solleone e pigrizia permettendo, lo spazio “leggibile” può godere nei mesi estivi un’attenzione più scrupolosa tra una chat su WhatsApp e una foto su Instagram. E non c’è da stupirsi se l’editoria raggiunge in estate l’apice delle sue colpe o, se vogliamo essere teneri e non infierire, della sua sbadataggine.
Riduce tutto al minimo, recide i fili portanti del suo produrre, si eclissa in ossequio alla sbornia vacanziera. Qualcosa si potrebbe fare. Per esempio: inventare per agosto un “Libro per l’estate”, destinato ai ragazzi. Un libro vivo, costruito sulle curiosità e le avventure che l’annata trascorsa ha fornito. Potrebbe essere un antidoto efficace ai tanti social che per le nuove generazioni, e non solo, se non sono un viatico verso l’ignoranza poco ci manca.
Eppure è la stessa editoria che fa a gara a chi sforma più libri natalizi destinati ai giovanissimi, scritti e comprati dagli adulti e manipolati attraverso attente operazioni di marketing e costose pubblicità.
Da decenni mi chiedo, senza trovare riposta: perché gli inventori delle cosiddette “vacanze intelligenti” si ostinano a ritenere dei perfetti imbecilli i vacanzieri d’agosto. Non sono riuscito a spiegarmi perché le “ferie augustae” debbano essere un fucina di sciocchezzai. Ma tant’è. E’ l’esigenza di una moda perversa e rincitrullente.
Come suggerisce un titolo sempre attuale di Cesare Pavese, non dimentichiamoci de “La bella estate”. Non dimentichiamoci che “sapere”, in qualsiasi modo si giri il discorso, equivale pur sempre a “essere. L’uomo “ludens” non scorda l’uomo “faber”. Anche tra smartphone e tablet di ultima generazione, fresche e dolcissime angurie e un invitante gelato con panna.

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