Al Tondo Gioeni strani incontri notturni, quarta parte


 
 
 
Luigi Costantino

Qualcosa stava cambiando, questa sera giunto al solito posto ebbi come la sensazione che l’aura magica che saturava il luogo, quasi tangibile sino alla precedente notte, si stesse rarefacendo.
Non vidi nessuno ma allo stesso tempo era come se una presenza fosse percepibile. Scrutai in lungo ed in largo, ma l’unica cosa che riuscì a notare era un oggetto che dalla distanza alla quale mi trovavo non era perfettamente distinguibile. Deciso a verificare cosa fosse mi avvicinai.
No, non può essere, pensai fra me e me;  Vicino al pilastro dell’ultimo arco, per terra, faceva bella mostra di se una lucerna. Non era particolarmente voluminosa, diciamo circa venticinque centimetri, dei quali i due terzi li costituiva il corpo ovale; un beccuccio conico arcuato con ornamenti floreali ed un manico traforato a mezzaluna la completavano, una testa di leone ornava il coperchio superiore. La base era formata da un ordine sovrapposto rastremato di tre elementi circolari. Sul corpo erano visibili, anche se anneriti, dei decori geometrici. Come nella più canonica tradizione fiabesca, quell’oggetto senza ombra di dubbio poteva essere collegato alla fantastica figura del genio.
Chi di noi, seppur da bambino non ha mai sperato di potersi sostituire ad Aladino anche solo per un istante, magari il tempo di relazionarsi con il genio ed ottenere qualcosa? Quello che era accaduto nelle precedenti sere, tuttavia, non mi poneva in una condizione di particolare scetticismo, in fin dei conti chi mi impediva di provare? Ero solo, nessuno quindi mi avrebbe potuto schernire per quello che mi stavo accingendo a fare. Raccolto l’oggetto iniziai a sfregare energicamente la lampada, così come tradizione impone. Nulla, riprovai con più energia, ma l’unico risultato fu quello di ottenere la pulizia della parte laterale della lampada in ottone.
In effetti un po’ deluso, in cuor mio nonostante l’età ci avevo creduto o ancor meglio sperato, mi chinai per riporre la lampada dove l’avevo rinvenuta. Non ebbi neanche il tempo di ritirare la mano che dietro di me avvertì qualcosa.
In men che non si dica fui avvolto da nastri sottili di luce che mutavano nella forma, nell’intensità e nel colore, tutto lo spettro a noi visibile era rappresentato in quella danza vorticosa. Uno strano vento caldo iniziò a soffiare ed allo stesso tempo la miriade di raggi luminosi iniziò a concentrarsi, formando una sfera davanti a me, sembrava di essere al centro di un’aurora boreale. Ad un tratto, cessato il vento, iniziò a materializzarsi una figura, comunque evanescente. Un Jinn, della più tradizionale mitologia araba, o meglio un ‘’Genio’’, era proprio li a non più di dieci metri.
Non riuscivo a muovermi ne a proferir parola, ma intuì che si poteva comunicare con quell’entità attraverso una percezione extrasensoriale.
Era come fossimo dotati l’un l’altro di una sorta di transponder in grado di lanciare ed al contempo ricevere dei segnali codificati su una stessa comprensibile lunghezza d’onda. Iniziai ad interpretare un qualcosa che mi giungeva come un iperbole comunicativo. Percepì questa figura retorica, intuendo il perché avesse intenzione di enfatizzare ciò che mi doveva dire. Mi parve di assistere al monologo pronunciato da Roy Batty, l’androide del film di fantascienza Blade Runner, cambiavano sicuramente i luoghi e le circostanze oltre alla conclusione del soliloquio, ma il messaggio lanciato coincideva esattamente.

Egli era sconcertato per quello che era stato fatto, mai nessuno aveva osato tanto. Intuendo lo sgomento e lo stato di angoscia che pervadeva la mia persona, per ciò che mi aveva manifestato, non indugiò oltre. “Sono Ephἕmeros, il genio dell’illusione, posso, se vorrai, intervenire affinché la realtà muti secondo il tuo pensiero. Ti avverto che nulla potrà far ritornare le cose come prima, ciò è impossibile, ma almeno una transitoria illusione, anche se effimera, renderà tangibile il tuo desiderio”. Non esitai e pronto a qualunque cosa potesse accadere lo esortai a rinnovare in me i vecchi ricordi. Lo stato di telepatia che fino a quel momento ci aveva permesso di comunicare svanì e iniziai a vedere lo spazio che si incurvava intorno a me. Una luce cangiante che virava nello spettro del colore rosso mi avvolgeva ed una sottile linea azzurra si avvicinava a grande velocità. Era come se fossi stato risucchiato all’interno di un buco nero.
I luoghi, i colori e tutto ciò che una volta era per noi un sito familiare iniziò a prendere forma e dimensione, come d’incanto mi ritrovai davanti il ‘’Ponte’’, oggi per noi ancora un recente ricordo; per i più giovani forse soltanto un’immagine che potranno rivedere sui media. La percezione era reale, in effetti era come se fossi tornato indietro nel tempo.
Le macchine lo percorrevano, qualcuna arrancando, il traffico scorreva sulla circonvallazione.
Non esitai un attimo e subito mi recai sotto di esso in quell’ansa che per decenni aveva ospitato un simbolo catanese, l’oasi di ristoro che ci aveva permesso nelle torride giornate di godere di un seltz e limone: Il mitico ‘’ciospo’’ dei fratelli Di Mauro.
Come al solito, gli avventori lo circondavano, e con piacere mi avvicinai al consunto piano in marmo sul quale dal 1953, anno dell’apertura dell’attività, erano stati poggiati milioni di bicchieri.
Quel ‘’monumento’’ era li ancor prima della realizzazione della circonvallazione stessa e della costruzione del ponte progettato dall’Ing. Calogero Benedetti nel 1964.
Una stele o una targa dovrebbe oggi essere posta sul luogo a memoria di chi per più volte ci aveva permesso di non rivivere la condanna di Tantalo che secondo Omero fu costretto da Zeus al patimento eterno della sete per aver rubato l’ambrosia agli dei. Chiesi al Signor Pippo, mentre suo fratello era intento a servire altri clienti, un misto amaro, la bibita da me preferita.
Una sapiente miscela di sciroppi che solo loro sapevano preparare: arancia, bitter e qualcos’altro, non ricordo, e limone spremuto. Il ‘’misto amaro’’ nelle condizioni più imbarazzanti, magari dopo aver affrontato un pranzo luculliano, con aggiunta di bicarbonato, era anche un miracoloso digestivo. Egli iniziò con il lavaggio del bicchiere utilizzando anche il mezzo limone, provvedendo con questo a tergere il bordo e subito dopo si apprestò a mescolare quanto necessario. Colmò in ultimo il bicchiere con il seltz porgendomelo con il suo solito sorriso sulle labbra, mentre rimestava la bibita con un lungo cucchiaino. Il rito quasi alchemico della preparazione era compiuto. Mentre mi accingevo ad afferrare il bicchiere, dall’esterno qualcosa provocò l’immediata sparizione di tutto. Il suono ripetuto dell’allarme della sveglia, mi riportò in me.
Ero profondamente amareggiato, era l’alba tutto era svanito, ricordavo perfettamente quanto accaduto mentre Morfeo era guardiano dei miei sogni.
Seduto sul bordo del letto, ritornato alla realtà, ricordai il perché avessi utilizzato la sveglia: ero rientrato a ora tarda e non volevo rischiare di non poter essere presente al grande evento, dovevo essere uno dei primi a giungere sul posto, oggi è prevista l’inaugurazione della fontana del Tondo Gioieni.

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