All'altezza delle proprie Speranze. Le difficili scelte dei laureandi e neolaureati catanesi


| Saro Faraci |

Giugno, mese di esami. Quelli di licenza per chi si appresta a concludere la scuola media. Di maturità per gli studenti dei licei e degli istituti tecnici. Ma anche esami di profitto per tantissimi universitari (45.000 tra immatricolati ed iscritti quelli di Catania), tra timori e preoccupazioni, per proseguire più speditamente, materia dopo materia, o per avvicinarsi all’imminente traguardo della laurea. Dopo la sessione di maggio, per molti studenti dell’Università di Catania è vicinissimo l’appuntamento con l’ultima prova cioè la discussione della tesi, la cerimonia di consegna della pergamena e la consueta foto con toga, tocco e corona d’alloro; per moltissimi tale evento cadrà fra la fine di questo mese e il successivo di luglio. Lo stress connesso all’ansia da prestazione, che ha colpito a suo tempo intere generazioni di studenti oggi valenti professionisti ma oramai lontani dagli ambienti universitari, non risparmia nemmeno i giovanissimi di oggi che, a parte la fisiologica “fifa” per ogni esame, si trovano anche ad affrontare molte incertezze sul proprio futuro. Più si avvicina la laurea, più si addensano le nubi.

Poco prima o subito dopo la laurea triennale cominciano per molti giovani i classici “dilemmi”: proseguire negli studi (così si orienta il 67,8% dei laureati triennali di Catania, in base ai dati Almalaurea al 2016) oppure fermarsi al primo titolo universitario conseguito (per il 22% dei laureati catanesi); rimanere a Catania o andare altrove, specialmente a Milano, Torino o qualche altra città del Centro-Nord sede di prestigiose Università; scegliere un indirizzo di studi generalista o specialistico; optare per un master (solo il 6,3% dei laureati catanesi) oppure per una laurea magistrale (per il 61,5% dei laureati); candidarsi ad una prima esperienza nel mondo del lavoro (possibilmente a tempo pieno per l’83,8%) o postergare tale momento alla conclusione dell’intero percorso di studi; provare a conciliare studio e lavoro (lo stage è indicato come opportunità dal 21,3% dei laureati triennali, mentre il part-time per il 47,7%) oppure concentrarsi unicamente nello studio “matto e disperatissimo”; maturare un’esperienza all’estero anche a costo di ritardare il completamento degli studi oppure velocizzare a tutti i costi il percorso universitario.

I “dilemmi” dei neolaureati e dei laureati sono tanti e si intrecciano con tutte le altre normalissime questioni di vita ordinaria dei giovani di oggi: gli affetti, le amicizie, la famiglia, la vita sociale e lavorativa (per chi ha appena cominciato), il desiderio di indipendenza e di autonomia (per il 56,6% dei laureati catanesi), il budget a disposizione e, non ultima, la questione del grande richiamo della terra di Sicilia. Una volta che si lascia per spostarsi altrove, la nostra terra comincia ad esercitare subito un seducente ed irresistibile fascino che, come il canto delle Sirene nell’Odissea, riavvicina a sé tutti coloro che sulla carta di identità hanno registrato come luogo di nascita un comune della Sicilia.

Dipanare il bandolo della matassa non è facile, quando si intersecano così tante opzioni. Tranne per chi ha le idee chiare fin dall’inizio, per la maggior parte di neolaureati e laureandi della triennale le scelte post-lauream sono sempre difficili e complicate. Il senso di confusione è amplificato dalle continue fluttuazioni del mondo del lavoro, dall’incertezza delle prospettive occupazionali in Sicilia (anche se il lavoro nella nostra terra non manca del tutto) e dal continuo cambiamento cui è soggetto il mondo delle professioni. C’è pure un eccesso di offerta formativa che porta molti Atenei, soprattutto del Nord, a farsi concorrenza pur di accaparrarsi i giovani meridionali. A ciò si aggiunge la fragilità delle famiglie in momenti delicati come questi: molti genitori si limitano, in tali circostanze, ad un supporto affettivo verso i propri figli e non fanno mancare aiuti finanziari e logistici, ma abdicano spesso in favore di altri soggetti il loro ruolo naturale di educatori, indispensabili nell’orientamento e nel mentoring durante la crescita dei loro ragazzi. Così sovente le decisioni su cosa fare dopo la laurea i giovani le assumono nella cerchia dei colleghi di corso, discutendo fra gli amici coetanei, consultando qualche docente più disponibile e soprattutto facendo incetta di informazioni su Internet e sui social, a rischio di complicare ulteriormente il quadro di insieme.

In che modo ritrovare il filo d’Arianna per non perdersi in un dedalo di informazioni e di opzioni? Di recente se n’è parlato al corso di laurea in Economia Aziendale, sia nella circostanza del Graduation Day, la giornata delle proclamazioni dei neolaureati (cui si riferisce l’immagine di copertina), sia in occasione del primo Career and Family Day, dove ai giovani è stata data la possibilità di incontrare esperti, imprenditori e i rappresentanti di sedici aziende e farsi un’idea più chiara sulle prime occasioni lavorative ed opportunità professionali che si presentano loro dopo la laurea triennale.

Pensare oggi al dopo è fondamentale. Non c’è alternativa al futuro, verrebbe da dire. Anche se il futuro non ha certezze, ma solo speranze e ai giovani è richiesto di essere sempre all’altezza delle proprie speranze, prima ancora che delle proprie aspettative. Qualche consiglio?

Il primo è di provare a capire qual è l’ambito di attività professionale e lavorativa che piace più di altri. In prima battuta, provare nella vita a fare ciò che piace rappresenta una giusta motivazione sia per scegliere un ulteriore percorso di studi post-lauream sia per candidarsi a qualche posizione lavorativa richiesta da aziende ed istituzioni. Purtroppo, nelle aspettative di lavoro – come si evince dalla grafica sottostante ricavata dai dati dell’ultimo questionario Almalaurea sui laureati catanesi – la rispondenza ad interessi culturali pesa per il 42,9% e l’utilità sociale del lavoro per il 45%. Per coloro che abbandonano Catania subito dopo la triennale scegliere la nuova sede universitaria in base all’appeal della città ospitante (al primo posto è preferita Milano) piuttosto che in funzione del blasone dell’Università non è sempre la scelta ottimale, se prima non si è tratteggiato il tipo di lavoro che piacerebbe fare dopo la conclusione degli studi. Ovviamente, a parte i casi in cui si prosegue lo studio in una sede diversa perchè quella di provenienza non offre l’indirizzo specialistico ricercato e le situazioni in cui il desiderio di indipendenza e di autonomia è prevalente su ogni altro obiettivo, ha senso studiare fuori dalla Sicilia soltanto se si vuol trovare in altri contesti, più recettivi sul versante occupazionale, opportunità lavorative che magari la nostra terra non è sempre in grado di offrire. I dati Almalaurea evidenziano però molte contraddizioni anche su questo versante. Provare dunque ad avere le idee chiare sul proprio futuro lavorativo è una buona mossa. Si dice, ma non è retorico, che spesso è nel presente che si scrivono le pagine più belle del domani, cioè del futuro.

Il secondo consiglio è di dare la giusta importanza al cosiddetto “work life balance”, al bilanciamento delle aspettative di lavoro e di carriera con gli obiettivi di vita personale, familiare, affettiva e sociale. Quando al tema non si è prestata particolare attenzione fin dall’inizio, dopo la partenza scatta nei giovani la “saudade”, la nostalgia della terra madre, e la Sicilia comincia in modo subdolo ad esercitare quell’irresistibile richiamo verso casa che spesso ha interrotto carriere di studio o di lavoro molto promettenti fuori dall’isola. Provare a capire come realizzare il bilanciamento “work life” è fondamentale anche per allargare o restringere lo spettro di decisioni da assumere. Quando gli obiettivi di vita familiare e affettiva sono irrinunciabili, è bene subito pensare come contemperarli con quelli di studio e lavoro fuori dalla Sicilia. Altrimenti, ma non si tratta di una scelta di ordine inferiore, si può decidere di rimanere nella nostra terra e ritagliarsi nel nostro contesto gli spazi di crescita professionale cui si ambisce. Ancora una volta i dati Almalaurea registrano qualche contraddizione. Mentre molti lasciano l’isola, il 72,6% dei laureati catanesi dopo la triennale si aspetta di trovare un lavoro addirittura nella propria provincia di residenza. La Sicilia è terra di frontiera da sempre e, sulle orme di Italo Calvino, lo scrittore Leonardo Sciascia diceva che i Siciliani si dividono in due categorie, quelli “di scoglio” e quelli di “mare aperto”. Si conferma pertanto la regola!

Il terzo ed ultimo consiglio è quello di maturare il giusto atteggiamento sia verso lo studio post-lauream che nei confronti del futuro lavoro. Se prevale la “logica del risultato”, qualunque sia la professione che si svolgerà e dunque qualunque sia il percorso di studio prescelto, ci sarà una motivazione in più a raggiungere un obiettivo, a portare a termine un compito, a terminare con successo una determinata attività. Se, invece, è prevalente soltanto la “logica del mero adempimento”, qualsiasi cosa si farà nella vita, che si tratti di studio o lavoro, verrà svolta solo perchè s’ha da fare, senza pathos e senza alcun coinvolgimento emotivo e passionale. Su questo terreno, è ben noto, Scuola ed Università nel nostro Paese devono fare un balzo in avanti, per migliorare l’atteggiamento degli studenti ma anche quello dei loro docenti. I dati Almalaurea riportati nella grafica sottostante identificano nei giovani catanesi aspettative e prospettive di lavoro spesso assai contraddittorie: si ricercano occasioni di professionalità e per rinforzare le competenze acquisite, si vogliono autonomia e indipendenza, ma le possibilità di carriera e di guadagno e la stabilità del posto di lavoro fanno gola ancora a moltissimi.

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