Allenarsi alla resilienza

Allenarsi alla resilienza

Giorgia Landolfo
Giornalista e insegnante Kundalini Yoga come insegnato da Yogi Bhajan

Lo yoga mi ha insegnato che ce la possiamo fare, sempre”. Con queste parole mi ha accolto Maria, la proprietaria di un agriturismo meraviglioso sui Nebrodi quando, chiedendomi di cosa mi occupavo nella vita, abbiamo cominciato a parlare di Kundalini Yoga. Una donna semplice, piena di vita, capace di preparare manicaretti super e gestire una struttura splendida, che aveva iniziato a praticare yoga per caso in una delle province più sperdute della Sicilia e non aveva mai più smesso. Ho recuperato queste parole nel cassetto dei ricordi più belli quando qualche giorno fa quando con Datta Kaur, abbiamo scelto insieme il tema del workshop che guideremo insieme a Catania, il 21 settembre, da Scenario Pubblico. Sarà un appuntamento dedicato all’Astrologia e al Kundalini Yoga, dal titolo “Nettuno: il potere della resilienza”.  Poco dopo ho preso il mio vecchio vocabolario e ho cercato il significato letterale della parola:

/re·si·lièn·za/

sostantivo femminile

Capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.

E ho assaporato, ancora una volta, la potenza delle parole di Maria, la profonda verità emersa proprio quando meno me l’aspettavo. Un insegnamento piovuto dal cielo sul quale poi, con grande gratitudine, ho continuato a meditare, immersa nello scenario incantevole delle cascate del Catafurco. 

E mi sono chiesta: quante volte un evento, una situazione, una relazione, ci hanno fatto sentire letteralmente a pezzi? Quante volte è capitato di sentirci spezzati in due, col cuore spaccato e i pensieri in frantumi?

Ogni trauma, dolore, delusione lascia dentro di noi e sul nostro corpo una traccia. E urto dopo urto, se non riusciamo a smaltire la botta e ad osservare l’opportunità di crescita che si nasconde dietro, costruiamo su noi stessi una sorta di armatura fisica e psicologica, una vera e propria corazza che ci allontana da ciò che siamo davvero.

Piuttosto che fluire con ciò che accade, perché diciamocelo pure a volte ciò che accade è troppo duro da attraversare e digerire, ci irrigidiamo per proteggerci.

Eppure con il Kundalini Yoga ho imparato che ognuno di noi possiede dentro di sé tutto ciò che gli serve per superare qualsiasi ostacoloBella teoria penserete voi, una di quelle frasi fatte che poi mica funzionano.

Tutta pratica, vi dico io. Non è uno di quei concetti che si impara a vivere una volta per sempre, però sul tappetino io ho imparato che la fatica ha un ritorno in termini di resistenza nella vita reale.

“Più fatica fai sul tappetino e meno ne fai nella vita” diceva Yogi Bhajan, e io lo ripeto spesso ai miei allievi, soprattutto a chi, durante le prime lezioni si stupisce di quanto possa essere faticoso e sfidante il Kundalini Yoga. In molti credono che arrivando a lezione, magicamente ci si ritrovi completamente rilassati.

Niente di più sbagliato e forviante. Ricordo perfettamente come stavo dopo le mie prime lezioni di Kundalini Yoga. Sentivo dentro un grande senso di pace che non sapevo spiegare, ma contemporaneamente mi sentivo quasi arrabbiata, molto tesa, a volte tremavo, altre avevo un gran bisogno di distendermi ad occhi chiusi per ore. Premesso che ogni organismo ha reazioni completamente personali, vi racconto come mi sono sentita dopo i miei primi passi da yogini per smontare uno dei tanti pregiudizi che aleggia nella testa di chi non ha mai praticato. Il relax arriva, intendiamoci, ma c’è un bel lavoro da fare prima e in quell’ora e mezza di lezione molto spesso lo yoga ci mette davanti a tutti i nostri limiti, le nostre paure, le nostre debolezze per poi farci sentire più forti, potenti e capaci di resistere alle difficoltà.

E quando si medita poi “si combatte con i coccodrilli che abbiamo nella testa, e non sono di plastica, sono veri” così come mi disse anni fa uno dei miei formatori, Karta Singh. E dopo aver domato i coccodrilli feroci vi assicuro che si diventa progressivamente più resilienti. E si riesce anche a sostenere gli altri, a tenerli per mano durante le tempeste più furiose.

Ci si può quindi allenare alla resilienza, deponendo l’armatura. E lo si può fare soprattutto con la meditazione. Perché meditare non è entrare in estasi, ma lavorare sulla mente e ridurre l’impatto delle risposte automatiche della mente stessa. Meno reattività quindi e più spazio alla vita vera, alla connessione con la parte più vera di noi.

Nulla di misterioso o dogmatico: la meditazione fa lavorare il lobo frontale, genera maggiore chiarezza, riduce i blocchi inconsci e subconsci e ci rende più resistenti a qualsiasi forma di stress.

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