Amanti del litigio


Salvo Reitano

Siamo un popolo di litigiosi. Litiganti cronici. È un antico costume che ci portiamo dietro da tempo immemorabile. Dal solco che tracciò i primi confini di Roma e forse anche prima. Gli italiani litigano: per la squadra del cuore, per le bollette delle utenze, per i mezzi di trasporto sempre in ritardo, per l’acqua, per le dighe a secco, per la spazzatura, per gli inceneritori, per il mare inquinato e le montagne che franano, per le strade ridotte a una gruviera a Milano come a Catania, per la politica che non c’è, per i sindacati ormai ridotti all’impotenza, per la scuola che non funziona, per le banche che vanno salvate anche se qualche povero disgraziato ci rimette la pelle, per la sanità che invece di curarti ti ammazza e per la giustizia che non esiste perché la legge, inutile prenderci in giro, non è uguale per tutti. Diceva qualche tempo fa una mio amico avvocato:”La legge e la giustizia sono parenti talmente lontani che spesso nemmeno si parlano”. E litigano.
Litigano tutti nel Paese dei “balocchi”. Sono litigi collettivi, qualche volta educati, pieni di salamelecchi – soprattutto televisivi – con abbondante zuccherino qualunquistico.
Se hai una qualche piccola ideuzza aspetta, non ti mancherà l’occasione per nuovi scontri interattivi, sui social o in Tv fa lo stesso. Litigare fa testo e pesa, assai più del semplice discutere.
Così non si discute più, ovviamente. Nessuno dice la sua aspettando curioso e attento che l’interlocutore risponda o controbatta. Il litigio è cosa tra sordi. Il primo strilla secondo un certo costume demagogico, il secondo abbaia altre chiose di nuova e più articolata demagogia. Alla fine della puntata il moderatore di turno chiude la disputa assicurando spettatrici e spettatori: si potrebbe continuare all’infinito, cari amici, ma i tempi della televisione impongono delle regole e comunque siamo certi che non abbiamo mancato di fornire abbastanza materiale per i vostri ragionamenti; la prossima sfida litigiosa giovedì alla stessa ora; grazie per l’attenzione e arrivederci.
Si fermasse tutto ai talk show televisivi e alle dispute sui social media sarebbe una fortuna. Invece, no, ci mettiamo reciprocamente al tappeto a furia di litigi.
Ricordo di aver letto, alcuni decenni fa, una riflessione di Guido Piovene. Diceva, non senza una punta di rassegnazione: “Da noi c’è questa propensione per lo scempio personale. Forse è una vera epidemia. Gli italiani si ritengono buoni perché, nel momento del bisogno, quando ti vedono prostrato, sono tutti lì ad offrirti un piatto di minestra. Ma naturalmente, prima, debbono abbatterti”.
Conquistato il litigio continuo e globale, non sappiamo più con chi prendercela. Sono scomparsi i grandi personaggi, i miti di intere generazioni, che spingevano la gente in piazza pro o contro. I frantumi di tutte le ideologie li puoi raccattare su marciapiedi come cocci di bottiglia che un ubriaco ha lasciato a perenne ricordo dopo una notte di bevute.
E allora cosa resta se non il minimo conflitto municipale, una biopsia inferocita sui cumuli di spazzatura, la luce che va via al primo accenno di lampi e tuoni, i cani randagi da catturare o proteggere, gli stalli blu per il parcheggio dell’auto sempre più cari, le corsie degli ospedali gremite, le liste d’attesa che se non paghi puoi morire, il festival di Sanremo che più fa gossip più diventa argomento?
In attesa che qualche nuovo pensatore ricicli antiche ideologie che nella nostra voluta ignoranza prenderemo subito per buone, bisogna trovare il modo di passare il tempo. E così ci attacchiamo al litigio spicciolo, la conflittualità casereccia, la contesa in pantofole.
Al vertice si varano congressi, incontri, summit: sull’economia globale, sugli armamenti nucleari, sui fascisti e i comunisti di ritorno, sulla rivoluzione che mai fu, sul vino in lattina, sul mezzo secolo di un certo film, e via elencando. Alla base si strepita in maniera non meno agguerrita al bar o nel salotto di casa. È  un modo come un altro per tenerci allenati, aspettando che novelli Che Guevara, Kennedy, Krusciov, Gandhi, Mandela, Madre Teresa o Madonne Pellegrine suscitino le grandi commozioni popolari.
La buona randellata ideologica, a destra come a sinistra, non deve mai mancare, qualunque sia il tema da dibattere e sul quale trovare sempre nuove forme di litigio. Siamo un popolo con la sciabola in mano. Pronti a sfidarci a  duello, fosse anche per un nulla.
Qualsiasi individuo pur di non dar ragione al parente prossimo o al conoscente di ultima data, studia di notte al fine di inventarsi curiosi motivi di diaspora magari solo telefonica. A un amico che rispondendo al cellulare al classico “come va?”, con un sincero e schietto “benissimo, alla grande!!! Va che è una meraviglia”, dall’altra parte si sente gracchiare una voce allibita che replica: “Benissimo? Ma che dici? Ma dove vivi? Qui va tutto a rotoli e tu vuoi farmi credere che va bene?”. E giù una serie irripetibile di insulti prima di riattaccare.
Un gran circo, non c’è che dire. Scimmie e pagliacci, mangiafuoco e contorsionisti entrano di corsa, chi tira un secchio d’acqua e chi ti sottrae il portafogli, i calci non si contano, i salti mortali sulla pista sollevano polveroni di segatura, i giocolieri restano in equilibrio sul filo, i trapezisti volano come funamboli da una parte all’altra del grande tendone con prese, giravolte, lanci e acrobazie.
Così appare la nostra immagine a qualche curioso straniero innamorato di un’Italia dai neuroni impazziti.
Ogni tanto, anzi sempre più spesso, qualcuno muore per strada per mano di qualche criminale, per una pallottola vagante, per la fame e gli stenti perché a 50 anni ha perso il lavoro. Ogni tanto viene giù una valanga e si porta con se uomini e cose. Oppure deraglia un treno e si crepa sotto le lamiere contorte.  Ma forse questi sono solo eccessi, “piccoli” incidenti, imprevisti che non devono turbare la giostra di Arlecchino e Pulcinella, impegnati, in questa tristissima campagna elettorale, a darsele di santa ragione per motivi di opportunità e di teatro.

Send a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *