Attentato sui Nebrodi, dalla commissione nazionale antimafia le prime verità di Antoci su quella notte in cui sarebbe dovuto morire

Attentato sui Nebrodi, dalla commissione nazionale antimafia le prime verità di Antoci su quella notte in cui sarebbe dovuto morire

di Saro Faraci (prima parte)

L’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci è stato ascoltato in Commissione nazionale antimafia lo scorso 29 luglio. In precedenza, il 21 luglio, in audizione era stato sentito Claudio Fava, il presidente della Commissione regionale antimafia. Le posizioni fra l’ex presidente del Parco dei Nebrodi e il deputato regionale rimangono assai distanti e i contorni della vicenda dell’attentato del 18 maggio 2016, archiviata per ben due volta dalla magistratura, si presentano ancora nebulosi. Un dato è certo. Quella notte, furono sparati alcuni colpi contro la macchina in cui c’erano Antoci e gli uomini della scorta. Quale fu il movente?

Stampa e magistratura

Dell’attentato si sono occupati inquirenti e magistratura, anche la stampa ha condotto diverse indagini. Scettici alcuni giornalisti sulle dinamiche dell’attentato; secondo Gaetano Pecoraro, giornalista della trasmissione televisiva Le Iene che ha dedicato ben due puntate alla vicenda (la prima il 20 febbraio scorso, la seconda il 27 febbraio, con una replica al quotidiano Repubblica il 14 marzo), invece, non c’è alcun dubbio che l’attentato ad Antoci avesse una matrice mafiosa e che la verità sia stata mistificata attraverso una colossale operazione di “mascariamento” finalizzata ad indebolire Giuseppe Antoci e a minimizzare l’episodio criminoso.

La commissione regionale antimafia

Di parere diverso è la commissione regionale antimafia. Nella corposa relazione , esitata nell’ottobre del 2019, si legge testualmente nella parte finale: “A giudizio di questa Commissione restano attuali le tre ipotesi formulate in premessa: un attentato mafioso fallito, un atto puramente dimostrativo, una simulazione. Ipotesi che vedono tutte il dottor Antoci vittima (bersaglio della mafia nelle prime due; strumento inconsapevole di una messa in scena nella terza). Alla luce del lavoro svolto da questa Commissione corre l’obbligo di evidenziare che, delle tre ipotesi formulate, il fallito attentato mafioso con intenzioni stragiste appare la meno plausibile. L’auspicio è che su questa vicenda si torni ad indagare (con mezzi certamente ben diversi da quelli di cui dispone questa Commissione) per un debito di verità che va onorato. Qualunque sia la verità”. Secondo la commissione regionale antimafia, l’elenco delle stranezze in quell’attentato è lungo, come abbiamo avuto modo di riportare nell’intervista con l’onorevole Nicola D’Agostino. Secondo la magistratura messinese, nell’archiviazione bis della vicenda, “la conclusione raggiunta dalla Commissione (ossia che l’ipotesi dell’attentato mafioso sia la meno plausibile) appare preconcetta e comunque non supportata da alcun dato probatorio”.

Audizione del dottor Giuseppe Antoci, già Presidente del Parco dei Nebrodi.

Antoci, come detto, è stato ascoltato il 29 luglio. Questo il resoconto breve della commissione nazionale antimafia presieduta dall’on. Nicola Morra:

«Il Presidente dà il benvenuto al dottor Giuseppe Antoci, già Presidente del Parco dei Nebrodi. Ricorda che, ai sensi dell’articolo 12, comma 5, del Regolamento interno, l’audito ha la possibilità di richiedere la secretazione della seduta o di parte di essa qualora ritenga di riferire alla Commissione fatti o circostanze che non possano essere divulgate. Il dottor Antoci espone sinteticamente, e deposita in forma integrale agli atti della Commissione, una relazione in replica alle risultanze dei lavori della Commissione antimafia dell’Assemblea regionale siciliana in merito all’attentato del quale è stato vittima il 18 maggio 2016, quando era presidente del Parco dei Nebrodi. Intervengono, per porre quesiti e svolgere considerazioni e commenti, i senatori Mirabelli (PD) ed Endrizzi (M5S) nonché i deputati Piera Aiello (M5S), Ascari (M5S) e Davide Aiello (M5S). Il dottor Antoci fornisce i chiarimenti richiesti»

Dunque, Giuseppe Antoci, in commissione nazionale antimafia, si è difeso strenuamente dal sospetto avanzato dall’antimafia regionale che l’attentato sia stato un atto dimostrativo o, addirittura, una messa in scena. In un’ora piena, ha raccontato la sua verità, che corrisponde anche a quella processuale. Il video integrale dell’audizione è disponibile su Facebook.

L’intervento integrale di Antoci

“Questi sono stati anni difficili – ha esordito l’ex presidente del Parco dei Nebrodi – per me, per la mia famiglia costretta a vivere una situazione di sicurezza complicata, a vedere la propria casa presidiata dall’esercito; anni difficili, ma anche anni di soddisfazione perchè le Procure hanno iniziato ad attivare i controlli in base ai protocolli di legalità, tentando di riportare, facendo delle buone operazioni di servizio, alla legalità tanti territori nei quali i fondi europei per l’agricoltura invece di andare alle persone perbene andavano ad importanti nomi delle famiglie mafiose. Se tutto questo ha assicurato alla giustizia decine di mafiosi consentito di sequestrare milioni e milioni di euro di beni, dall’altro lato è chiaro ha sovraesposto la mia sicurezza e quella della mia famiglia.”

Per anni famiglie mafiose si accaparravano i fondi europei per l’agricoltura – ammonisce subito Giuseppe Antoci. Quando io nella mia qualità di Presidente del Parco mi sono accorto di questo, ho tentato insieme al Prefetto di allora Stefano Trotta di porre rimedio a questa sequela di autocertificazioni sotto soglia che venivano autocertificati da importanti esponenti di famiglie mafiose. Abbiamo attivato questo protocollo di legalità che ha abbassato la soglia a zero, prima firmato dai Sindaci del Parco, poi da tutti i Prefetti della Sicilia per poi essere inglobato nel nuovo codice antimafia. Avevo capito ad un certo punto che era rischioso, ma per dovere sono andato fino in fondo. Ho avuto al mio fianco tutte le istituzioni e pensavo onestamente che il dolore e la sofferenza di quella notte, dell’attentato, non avesse mai potuto avere pari. E invece mi sbagliavo. Mi sbagliavo perché sono rimasto molto turbato dai lavori della commissione regionale che ha messo sistematicamente in discussione magistrature, forze dell’ordine, cercando incredibilmente di togliere dall’attentato la matrice mafiosa. Ciò aveva sollevato la mafia dalle sue responsabilità, comprese il lucroso affare sui terreni. Ricordo essere milioni e milioni di euro già certificato da tante operazioni di servizio”.

“Ma andiamo a quanto accaduto in questi mesi – prosegue Antoci. Dopo quasi quattro anni la commissione regionale si occupa delle vicende che mi sono accadute nella qualità di Presidente del Parco, ma non scaturenti da questi affari di milioni di euro all’interno dei quali la Regione Sicilia aveva una sua attività, dunque nelle sue precipue attività della commissione per verificare chi all’interno della macchina regionale aveva quanto meno fatto finta di non vedere nulla, ma in base ad alcune attività giornalistiche, poche per la verità. In queste attività giornalistiche vengono immediatamente subito attivati due soggetti, intervistati. Il primo è un tale Foti Belligambi Giuseppe. Chi è Foti Belligambi Giuseppe? Badate bene non è un testimone di giustizia, un collaboratore di giustizia. Egli ha un chiaro pedigree. Foti Belligambi Giuseppe è stato arrestato dalla DDA per la mafia dei terreni, per il protocollo, coinvolto anche nell’ultima operazione di servizio ulteriore della DDA, indagato per l’attentato che ha colpito me e gli uomini della scorta; ma è anche quel signore che nel 2014, con una cimice nella macchina, la DDA scopre insieme ai suoi sodali parlare nei miei confronti con attività rancorose e dicendo per esempio «a stu porcu di Presidente deficiente, è lui che studia tutto (parlando del protocollo)». E ancora «gli sparavo nel cervello a questo cornuto». Tutto questo nel 2014. Ciò portò la DDA di Caltanissetta di interessarsi immediatamente con gli organi competenti per mettermi sotto scorta. Ecco, io grazie a questo signore, da sei anni non sono più un uomo libero

“Andiamo al secondo soggetto intervistato che poi diventa il mantra della commissione – incalza l’ex Presidente del Parco dei Nebrodi. Signor Mario Ceraolo, un ex poliziotto in pensione. Egli afferma che, poiché era stato delegato informalmente (cosa smentita da tutti i magistrati e dal procuratore La Forte), le sue fonti dicevano che l’attentato è stato una babbarìa. In Sicilia babbarià significa fesseria. Del Ceraolo ho ascoltato l’audizione l’altra volta e ha parlato il senatore Giarrusso, parlando anche di una sentenza di prescrizione. Io mi limito solamente a leggere a Voi uno dei capi di imputazione per il quale è stata dichiarata la prescrizione e per il quale atti sono stati distrutti perché falsi. Ceraolo Arcurio Mario, Galati Giordano Orlando, capo C, per i reati art.110 e 476 comma I e II, perchè Ceraolo, nella qualità di ispettore della polizia di stato cui era conferita delega per il compimento di atti del procedimento penale n. 606793 della Procura della Repubblica di Messina, e quindi quale pubblico ufficiale in concorso con Galati Giordano Orlando, collaboratore di giustizia, formava un falso processo verbale di sommarie informazioni testimoniali apparentemente rese dal medesimo Galati Giordano Orlando, datate 19 giugno 93, relative al procedimento penale cosiddetto Mare Nostrum, verbale costituente duplicato di quello di pari data indicato alle precedenti lettere a) e b) del quale riproduceva solo parzialmente il contenuto ed in calce al quale Ceraolo apponeva contraffacendola la firma apocrifa dei magistrati della Procura di Patti Gambino Giuseppe e Salamone Maurizio, con l’aggravante di aver commesso il fatto relativamente ad atti pubblici fidefacenti fino a querela di falso”

“E ancora un articolo di certo Viviano – prosegue Antoci – ripreso da un quotidiano locale a firma di Enzo Basso (tale Enzo Basso oggi risulta a processo, rinviato a giudizio a processo dalla Procura di Catania, per diffamazione aggravata proprio per l’articolo scritto sull’attentato. In questo articolo, si parla di due mafiosi che prendevano le distanze dall’attentato. La DDA di Messina scrive a tutte le DDA della Sicilia, chiedendo se esistevano queste intercettazioni. La risposta: non esistono queste intercettazioni. Altro articolo, l’ultimo penso che non ce ne siano altri, di un giornale La Sicilia del signor Barresi. In questo articolo, prendendo spunto dalle dichiarazioni dei due soggetti che ho prima raccontato, il giornalista titola a caratteri cubitali che un’inchiesta era stata aperta dalla Procura di Patti sull’attentato al Presidente del Parco dei Nebrodi. Peccato che dopo cinque giorni, in un’ulteriore intervista, il Procuratore della Repubblica di non solo smentisce che nessuna inchiesta ci sia (addirittura erano stati citati pure i modelli in quell’articolo), ma parla delle tante fake dette sull’attentato e si chiede: ma come è possibile che ciò possa avvenire. Chi manda queste notizie false? Allora io mi chiedo e chiedo a Voi: ma chi ha propinato questa falsa notizia al signor Barresi? Certo ciò è abbastanza inquietante”

“Si vede subito dall’inizio che depistaggi e mascariamenti sono cominciati come nella migliore tradizione siciliana e non solo – va avanti l’ex Presidente del Parco. Pensate che il 23 luglio del 2016, mentre ci stavamo vestendo, arrivò uno tsunami di telefonate che mi avvisava che un blog di Messina, subito seguito stranamente da un blog di Agrigento, titolava che mia moglie, che di cognome fa Rampulla, fosse la nipote dei fratelli Rampulla, artificieri della strage di Capaci. Immediatamente dopo il blog di Agrigento titolò «E’ Antoci il nipote dei fratelli Rampulla. Come fa a fare la lotta alla mafia?». Ovviamente nessuna parentela nell’albero genealogico. Solamente che mia moglie finì in ospedale, piena di bolle rosse e i battiti impazziti per il grave attacco e l’umiliazione subita”

“Vedete la DDA di Messina – prosegue Antoci, vi dico queste cose per farvi rendere conto del clima che abbiamo vissuto, la DDA di Messina affida alla polizia scientifica una perizia che poi ha depositato in 3D, utilizzando una tecnica innovativa, mai usata in Italia, ed usata per la prima volta per studiare i due attentati, uno di quello di via D’Amelio del povero giudice Paolo Borsellino, e quello nostro sui Nebrodi. Comparazioni tridimensionali, addirittura una telecamera che segue la velocità del proiettile. Hanno ripreso le auto e hanno fatto il tragitto quella notte e hanno risparato all’auto. E dice la perizia «tutto ciò è perfettamente compatibile con quanto ha dichiarato chi è stato coinvolto nell’attentato». Così scrive la Scientifica. I tre colpi non dovevano servire per uccidere, secondo la ricostruzione della Scientifica di Roma, in quanto il fuoco era infatto finalizzato a colpire la ruota posteriore sinistra e a provocare l’arresto dell’auto, per poi poter lanciare le due bottiglie molotov che sono state ritrovate, incendiare la vettura e indurre così coloro che erano dentro a uscire dall’auto per poi finirli. Insomma, un attentato studiato scientificamente e approfonditamente. Un ottimo lavoro degli inquirenti e dei magistrati, ma per qualcuno non basta. Bisognava morire. E dunque, l’archiviazione del primo GIP, il dottore Eugenio Fiorentino, che ha accolto la richiesta di archiviazione di alcuni indagati, all’interno della quale veniva minuziosamente ricostruita la dinamica dell’attentato. Fiorentino da giudice terzo dice: «Innegabile che tale gravissimo attentato era stato commesso con modalità tipicamente mafiose, con la complicità di ulteriori soggetti che si erano occupati di monitorare tutti gli spostamenti dell’Antoci e di segnalarne la partenza dal Comune di Cesarò. Un vero e proprio agguato meticolosamente pianificato e finalizzato non a compiere un semplice atto intimidatorio e/o dimostrativo, ma al deliberato scopo di uccidere. Le descritte modalità delittuose inducevano a collegare tale attentato alle penetranti azioni di controllo e di repressione delle frodi comunitarie nel settore agricolo-pastorale da tempo avviate da Antoci nella qualità di Presidente dell’Ente Parco dei Nebrodi »

fine prima parte – prosegue     

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