Beentouch, la start up delle emozioni che funziona anche quando Skype non funziona

Beentouch, la start up delle emozioni che funziona anche quando Skype non funziona

di Saro Faraci “il Professorista”

Un’altra puntata di #startupmystory, un’altra bella storia di nuova imprenditorialità innovativa a metà strada tra il mondo universitario e quello reale. Ce la racconta Danilo Mirabile, 25 anni, un background in ingegneria informatica («con studi in fase di completamento», tiene a precisare) come buona parte del suo team. La sua start up rappresenta a tutti gli effetti la sua prima esperienza lavorativa, ma «negli anni abbiamo diversificato e io stesso ho ricoperto e ricopro altri ruoli professionali. Ho una grande passione per lo spazio e per l’esplorazione spaziale», dichiara Danilo, una nostra vecchia conoscenza, che abbiamo incontrato a Catania.

– Ci dica la verità. Qualche anno fa avrebbe mai immaginato di essere intervistato perché promotore di un’attività d’impresa o meglio di una start up?

«No, non lo avrei mai immaginato, soprattutto perché ho scoperto cosa fosse una startup solo dopo averla lanciata. Mi spiego meglio. Nell’anno in cui con i miei soci abbiamo partorito la nostra idea d’impresa non sapevamo che forma avrebbe avuto o se sarebbe stata un’impresa. Avevamo identificato un problema e volevamo risolverlo, nulla di più. L’ingresso in un acceleratore di imprese ci ha permesso di entrare nella logica del mondo imprenditoriale e capire in che modo avremmo potuto implementare la nostra soluzione. Negli anni a seguire è diventato più comune essere intervistati considerando anche la forte componente sociale del nostro progetto; tuttavia è sempre un’emozione poter parlare della nostra impresa»

– Facciamo a tutti la stessa domanda. Si ritiene imprenditore per vocazione, per passione, per necessità o cos’altro?

«Credo che la mia vena imprenditoriale abbia più sfaccettature. Mi emoziona e affascina trovare soluzioni a problemi complessi, sviluppare strategie di vendita, raccogliere i risultati e i frutti del mio lavoro e misurarli. Da un lato credo di essere portato per il rischio d’impresa, dall’altro sento un fuoco dentro che arde ogni volta che si presenta l’opportunità di sviluppare un prodotto o un servizio utile alla società. Non possiamo negare anche che la situazione economica locale ci spinge fortemente a continuare su questa strada e a non mollare. In definitiva non saprei dare una risposta esatta, magari tra altri 25 anni, guardandomi indietro e tirando le somme»

– Ha tutte le caratteristiche dell’imprenditore, parola di Prof. Come si chiama la Sua start up e cosa fa?

«La startup si chiama Beentouch, abbiamo sviluppato l’omonima applicazione mobile e web che permette di effettuare chiamate e videochiamate attraverso internet con la peculiarità di mantenere ottime prestazioni anche in presenza di pessime condizioni di rete. Come Skype ma che funziona anche quando Skype non funziona, ci piace dire così. L’idea nasce dalla forte esigenza di restare in contatto con le persone lontane, faccenda assai risolta nei paesi sviluppati ma problema ancora importante nei paesi emergenti come molti stati dell’Africa, India e Sud America. In questi paesi è in corso una forte digitalizzazione e quasi tutti hanno uno smartphone e accesso ad internet. Tuttavia, le scarse condizioni di rete non permettono loro di utilizzare software complessi che richiedono molta banda e finiscono per non poter accedere ai servizi che noi riteniamo quotidiani. Con la consapevolezza che la nostra tecnologia avrebbe potuto risolvere questo grande problema ci siamo messi al lavoro e solo successivamente abbiamo capito che potevamo anche guadagnarci. Beentouch nasce dalla solidarietà umana. Ma non ci siamo accontentati, abbiamo deciso di fare ancora un passo avanti e di usare il nostro software per inviare voce, video ed… emozioni»

Mi faccia capire meglio. Riuscite a “trasmettere emozioni” anche attraverso la messaggistica?

«Esatto. Quando ideammo Beentouch non ci siamo accontentati di farlo semplicemente funzionare, volevamo di più. L’idea di base è che non è sufficiente connettere tecnologicamente due persone per metterle in comunicazione. Se parliamo di una chiamata lavorativa potrebbe anche andar bene, mi basta sentire e vedere il mio interlocutore, esporre i nostri punti di vista e chiudere un affare. Ma non può andar bene se parliamo di comunicazioni con i nostri cari. Quando siamo seduti a tavola con la nostra famiglia o con i nostri amici sentiamo di comunicare molto di più di quello che le semplici espressioni facciali o la nostra voce comunicano. Ci connettiamo con le nostre emozioni e anche un semplice sguardo silenzioso è sufficiente per raccontare giornate intere»

– E tutto questo che c’azzecca con la vostra applicazione, direbbe qualcuno più famoso di me?

«Abbiamo voluto raggiungere questo livello di comunicazione usando Beentouch. Dopo averlo lanciato a livello internazionale ci siamo gettati a capofitto nello studio di una comunicazione di livello superiore, unendo la tecnologia all’esperienza umana. Ciò che ne è nato lo abbiamo battezzato “Emotion Connect”. Emotion Connect è un insieme di funzioni aggiuntive che rendono la comunicazione di Beentouch unica e distruggono la barriera della distanza. Ad esempio, la nostra funzione più famosa, “Emotion Touch”, permette a due interlocutori di sentire il battito del cuore dell’altro se viene toccato lo stesso punto dello schermo. Se non ci crede, guardi il nostro video promozionale di Emotion Connect: https://www.youtube.com/watch?v=8KAU9Nixn3M »

– Incredibile tutto quello che ho appena visto. Ho però una domanda impegnativa. Rivolgendosi la vostra app al Sud del Mondo, in pratica siete stati anticipatori della logica di sostenibilità globale tanto cara alle Nazioni Unite con l’Agenda 2030 nella logica dell’inclusività dei Paesi meno sviluppati. Si rende conto dove siete arrivati? Ne eravate consapevoli all’inizio?

«Abbiamo risposto ad un’esigenza forte della società e siamo orgogliosi di contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030. Quando abbiamo iniziato non avevamo idea di tutto ciò, lottavamo dallo stesso lato delle Nazioni Unite e delle centinaia di aziende e attivisti che vogliono rendere migliore il nostro mondo. Successivamente abbiamo anche unito le forze collaborando fianco a fianco. Beentouch oggi fa parte di importanti network dedicati al raggiungimento degli SDGs ed è stata invitata ad un percorso di approfondimento con le Nazioni Unite (UNIDO) che si è tenuto a Torino dedicato agli imprenditori sociali. È stato un importante momento di confronto che ci ha allineato maggiormente alle altre imprese sociali. Ad oggi la nostra impresa dedica parte dei suoi sforzi alla sensibilizzazione verso questa tematica. Recentemente abbiamo contribuito localmente ad organizzare ImpactNow, un evento internazionale dedicato alle imprese sociali che ha visto una grande risposta dal territorio catanese e palermitano»

– Chi la collabora più direttamente in questa attività imprenditoriale? In pratica, chi sono gli altri membri del team?

«Il team fondatore è composto da 4 persone: Alberto Longo, Emanuele Salvatore Accardo, Federica Munzone e me. Altre persone eccezionali hanno lavorato e lavorano per Beentouch, in primis credendo allo scopo sociale della nostra impresa. I nostri processi di selezione si basano sulla rigida convinzione che per far parte del team devi essere fortemente allineato ai nostri princìpi, il che ci rende uniti e felici di lavorare insieme»

– Avete usufruito di programmi di mentoring e supporto dell’acceleratore TIM #Wcap. Cosa Vi ha dato quell’esperienza?

«Il TIM #Wcap è stato fondamentale per la nostra impresa. Il programma di mentoring ci ha permesso di trasformare le nostre convinzioni tecniche in strumenti imprenditoriali e di conoscere questo ampio e altalenante mondo delle startup. Ci ha accompagnato in molte fasi critiche rendendoci indipendenti. Ancora oggi abbiamo un rapporto straordinario con il TIM #Wcap e se siamo dove siamo oggi è anche merito loro, di Dario Maccarrone, Danila Zammitti, Luca Naso, Luca Addesso e Loredana Tomasello. Abbiamo avuto il piacere di conoscere anche Nicola Mondello, nuovo responsabile del TIM #Wcap, consapevoli che le nuove startup riceveranno la stessa formazione e calore che abbiamo ricevuto noi»

– Altre esperienze simili a quella di TIM #Wcap?

«Non posso non menzionare il più recente percorso che abbiamo seguito, quello del MITA a Malta. Un’esperienza straordinaria che ci accompagna nella nostra fase “adulta” d’impresa. Grazie a loro abbiamo anche partecipato poche settimane fa al Delta Summit, conferenza all’avanguardia sui temi Blockchain e Intelligenza Artificiale»

– Avete fatto tutto con risorse finanziarie Vostre oppure avete potuto contare anche sull’apporto di investitori? E le banche? Vengono incontro alle start up oppure no?

«Tutto da noi con alcuni supporti dagli acceleratori. Il nostro rapporto con gli investitori non è stato felice (e facile). Tempi troppo lunghi per il mondo startup e cifre non adeguate ad un reale sviluppo o internazionalizzazione dei nostri prodotti e servizi. Non abbiamo mai avuto rapporti con le banche fino ad oggi, non in modo tradizionale, ma abbiamo sentito parlare bene dei loro percorsi di accelerazione e finanziamento dedicati alle startup. Sono tutti strumenti validi ma piuttosto vincolanti. Se si ha la forza di riuscire da soli, in molti casi, è meglio »

– Quanto è stato determinante l’apporto del mondo universitario nell’ideazione della Vostra start up o magari in qualche altra fase?

«Quando abbiamo ideato Beentouch eravamo ai primissimi anni di Università e, ad essere sinceri, è stata l’insoddisfazione iniziale verso alcuni insegnamenti a portarci ad avere il tempo di lavorare a Beentouch. Direi che un maggiore supporto lo abbiamo ricevuto negli anni successivi quando abbiamo collaborato maggiormente con alcuni professori, anche semplicemente portando la nostra testimonianza in aula. Abbiamo scovato tanti talenti nelle aule universitarie e risposte positive e inclusive da professori come Lei e il professore Sebastiano Battiato»

– Classica domanda che si fa ad uno startupper. Avete concorrenti nel Vostro mercato?

«Sì, certo. L’esigenza di una comunicazione migliore nei mercati emergenti porta tante imprese a ricercare soluzioni e opportunità di business. A differenza della risposta che ci si aspetta non annoveriamo Skype tra i nostri concorrenti. Nei mercati emergenti la situazione è differente, i software che vengono utilizzati sono specifici per quelle zone e con caratteristiche peculiari che sfruttano la situazione. Tanti concorrenti ma molto spazio per tutti, sono i primi anni di “conquista” della digitalizzazione e c’è spazio di manovra, nel nostro e in altri settori dedicati all’innovazione»

– Ultima domanda. Oltre ad essere uno startupper, Lei opera a fianco di team imprenditoriali e delle nascenti start up. Ma secondo Lei Catania è un ecosistema per le start up oppure al momento ne ha solo le potenzialità?

«Domanda che meriterebbe una conferenza di tre giorni per accennare ad una risposta. Proverò a comunicare il mio punto di vista in modo conciso. Sono convinto che Catania abbia tutte le carte in regola per ospitare vera innovazione e diventare culla per startup in grado di creare un impatto di proporzioni internazionali sul mercato. Il famoso sogno di una EtnaValley non è così lontano»

– Però c’è un però, vero?

«Ci mancano alcuni pilastri fondamentali senza i quali non sbloccheremo quel meccanismo che sta rendendo Malta inarrestabile. Tra quelli che mi vengono in mente, e che a mio avviso premono di più, troviamo una risposta più rapida e strutturata da parte delle istituzioni, servizi maggiormente connessi e la conoscenza della lingua inglese da parte dei più. Creando un ambiente favorevole alle imprese e all’innovazione diventeremo attrattivi per l’estero, porteremo nuovi talenti, nuove metodologie e punti di vista sul nostro territorio. Impareremo a sfruttare meglio ciò che abbiamo, a beneficio di tutti. È un percorso lungo e tortuoso ma ce la faremo, ne sono certo »

– Questa domanda non l’abbiamo mai fatto a nessuno prima di Lei. Se dovesse darsi un voto da 1 a 10 per quanto finora fatto nel mondo delle start up, che valutazione si darebbe?

«Valutarmi da solo non è semplice. Ci sono ambiti in cui avrei potuto fare certamente di più e altri in cui sono convinto di aver fatto tanto e bene. Se dovessi assegnarmi una medaglia lo farei per la disponibilità e l’apertura verso l’ecosistema. Ma questo lo devo agli insegnamenti di Dario Maccarrone, il primo ad accoglierci al TIM #Wcap, che ha saputo trasmetterci la voglia di essere di aiuto, di supporto, la voglia di condividere e di non chiudersi nella propria azienda ma più di ogni altra cosa ci ha insegnato a prendere 5 dall’ecosistema e a restituire 10. Per me è un mantra»

– Non tergiversi, si dia il voto!

«Non so il mio voto ma so che l’anno scolastico da imprenditore è appena iniziato e c’è tempo per ambire ad un 10 pieno. Sperando di non rivederci al prossimo Settembre con i debiti formativi»

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