di Katya Maugeri
Si continua a morire in carcere. Nel silenzio che avvolge l’indifferenza e nel dolore dei familiari che ricercano, invano, la verità.
Nei giorni scorsi un ragazzo si è tolto la vita nel carcere di Piazza Lanza: tre suicidi nelle carceri siciliane nei primi tre mesi dell’anno. La situazione è precipitata, i continui appelli dell’associazione Antigone vengono ignorati. L’associazione non smette di denunciare situazioni che sembrano non voler cambiare. Ragazzi fragili tra i 25 e i 45 anni che vedono nel suicidio l’unica via d’uscita: sono 18 i suicidi, infatti, in tutta Italia 4 in Sicilia. È un dato allarmante, che dovrebbe porre degli interrogativi e che invece sembra non scuotere le coscienze.
“La politica attiva è una grande assente per i problemi legati ai detenuti e nei confronti dei soggetti fragili”, spiega Pino Apprendi. Non c’è alcuna distinzione di trattamento tra un detenuto in salute e uno con problemi psichiatrici”.
C’è un reale problema legato alla fragilità psichica e psichiatrica. Queste patologie, accertate prima dell’ingresso in carcere o sviluppatesi durante la detenzione, non trovano adeguate risposte, malgrado l’impegno delle poche risorse umane che se ne occupano. Medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi, mediatori culturali e funzionari dell’area trattamentale fanno il possibile, ma sono insufficienti e spesso alcune figure mancano del tutto. Non sono presenti sufficienti mediatori culturali, indispensabili per l’ascolto degli immigrati presenti nelle carceri con oltre il 18% complessivo ai quali manca, quasi sempre, il legame con la famiglia.
Abbiamo affrontato varie volte queste tematiche raccontando anche la storia del giovane Samuele Bua, morto suicida al carcere Pagliarelli di Palermo. Morte avvolta tutt’ora dal mistero.
A suicidarsi, infatti, sono spesso giovani tossicodipendenti, ragazzi con disturbi psichici che dovrebbero ritrovarsi in delle strutture adeguate alla loro patologia, seguire un percorso personalizzato con lo scopo di reinserirli nella società. Questo non avviene, nonostante i dati che aumentano in maniera esponenziale. Cosa fare, quindi? Andrebbero certamente rivalutate e ottimizzate le linee guida contro il suicidio in carcere affinché non diventi un luogo di morte.