di Katya Maugeri
ACIREALE – Le giornate in carcere sono scandite da un tempo sospeso, alterato che amplifica la solitudine e aumenta la voglia di esprimere il proprio stato d’animo. All’Istituto penale per minorenni di Acireale, l’emergenza sanitaria è amplificata dalle dovute restrizioni e dalle nuove attività legate alla didattica a distanza. Nuove abitudini, quindi, anche nella realtà carceraria che deve confrontarsi con il Coronavirus e le sue conseguenze.
Tra le attività ancora in vigore, grazie alla passione della direttrice Carmela Leo, c’è il Laboratorio di scrittura autobiografica a cura dell’educatore Girolamo Monaco.
«Scrivere di se stessi è una conquista. Non è un punto di partenza, ma una conquista. La consapevolezza di usare uno strumento che non ha mezzi termini: o fa malissimo perché tocca nuclei di memoria dolorosi, o fa benissimo, perché cura e addolcisce le ferite, spiega Monaco. Ma l’una e l’altra cosa camminano assieme: sono i due passi dello stesso movimento. Questo è quello che abbiamo scoperto in questi pochi laboratori del mese di marzo 2020. Mese particolarissimo e straordinario, durante il quale sembra non essere successo nulla, invece tanto è cambiato. Dentro le persone soprattutto».
In questo tempo di emergenza sanitaria in carcere il vuoto ha riempito ogni cosa, La scrittura, nel frattempo, è cresciuta come uno strumento ancora più potente, durante i laboratori e soprattutto nel tempo della chiusura vera, quella dentro la stanza, diventato universale. La solitudine diventa dialogo con sé stessi in cui nascono riflessioni e poesie che poi i giovani fanno a gara a consegnare agli educatori responsabili della scuola permanente di scrittura autobiografica, anche al di fuori dei laboratori di gruppo.
“Io valgo. Io esisto perché penso e scrivo”, così Stefano sembra ripetere un assioma cartesiano, anche se lui non ha nemmeno la terza media. «Tutto questo è meraviglioso: sia perché riempie il tempo, sia perché permette alla solitudine dell’individuo di trovare il suo primo elemento di dialogo, se stesso. Un elemento di dialogo».
Durante uno degli ultimi laboratori di scrittura autobiografica, la parola protagonista è stata Emergenza. Che significa la parola emergenza?
I giovani detenuti hanno espresso il loro pensiero, poi elaborato in un unico testo:
«Emergenza è una parola nuova, una di quelle che ho usato poche volte nella mia vita. Più spesso ho usato la parola pericolo, perché tante volte sono stato in pericolo nella mia vita. In carcere questo periodo di emergenza sanitaria ha sospeso tutto. Emergenza è l’opposto della normalità. Io avevo il ritmo della scuola e delle attività, la giornata passava in fretta, e quando arrivava il sabato per il colloquio con i familiari, tutto era tranquillo, in ordine, ero sereno, ogni cosa al suo posto, secondo l’ordine del carcere, il tempo aveva il giusto movimento, la cella, il colloquio con gli operatori, l’aria, i compagni, le udienze al tribunale. Oggi è tutto diverso che non si capisce niente.
Ecco, l’emergenza è quando le cose sono confuse e non si capisce niente sulle cose giuste da fare. Finora per me in carcere una emergenza era quando un compagno all’improvviso di notte stava male e si gridava e si faceva in modo che potesse avere soccorso. L’emergenza è quando uno si taglia, oppure quando c’è una rissa oppure una rivolta. L’emergenza è una cosa che riguarda una singola persona oppure poche persone, non tutto il carcere, proprio tutto, detenuti, agenti, educatori, tutti sono dentro l’emergenza. È una cosa che coinvolge tutti, e nessuno può dire a me non interessa. Se lo dice è un pazzo pericoloso.
È una parola che si deve sempre associare alla parola pericolo. E di pericoli io ne posso raccontare tanti. Mi ricordo che un giorno io e mio padre eravamo a casa, noi due da soli. Mio papà all’improvviso è stato male e quando me ne sono accorto lui stava male, davvero male. L’ho portato subito al pronto soccorso. Aveva avuto un ictus, una cosa improvvisa che blocca il cervello e i movimenti del corpo. Una volta io ho avuto un incidente col motorino che stavo per morire. Mia figlia è stata male. Io ho avuto paura.
Sempre il pericolo per me è unito alla paura, a volte mi viene la paura per tutto. Fuori è facile vincere la paura.
Dentro il carcere se fai vedere che hai paura, hai finito di stare bene. Non devi mostrare mai di avere paura. La paura è dei vigliacchi. Oppure la paura è un segnale di allarme, un avviso di pericolo. Non lo so, io confondo ancora la paura con l’eccitazione, chi mi aiuta a capire la differenza.? La paura mi dice che una cosa non la devo fare, se la faccio sono un cretino, oppure un pazzo. L’eccitazione al contrario mi dice che quella cosa la devo fare.
Ci sono ancora tante cose da capire sulle cose che sono importanti, quelle che restano intatte anche di fronte all’emergenza più grave e catastrofica. La dignità della persona. Io sono un uomo».