Il commissario Mancuso pronto a passare dal libro alla tv

Il commissario Mancuso pronto a passare dal libro alla tv

Carlo Barbieri, nato a Palermo nel 1946, risiede a Roma dopo avere vissuto a Palermo, Catania, Teheran e il Cairo. Pubblica romanzi e racconti dal 2011, e collabora da anni con testate giornalistiche web e cartacee.

Carlo Barbieri, un palermitano giramondo che è rimasto profondamente legato alla sua terra. Lei ha scritto una serie di thriller ambientati a Palermo il cui protagonista è Mancuso, un commissario della Omicidi. Subito una domanda scomoda: un altro Montalbano?

“Domanda niente affatto scomoda. Mancuso è innanzitutto un commissario di Polizia, e come molti di loro è ostinato e adorato dai suoi collaboratori con i quali ha un rapporto un po’ paternalistico, ma anche di protezione sia sul campo che in ufficio. In questo è certamente simile a Montalbano; ma solo perché sia lui che Montalbano somigliano a commissari veri. Per esempio il compianto Ninni Cassarà, che ho conosciuto in quanto amico di famiglia di mia moglie da prima che entrasse in Polizia, era così. Le analogie con il commissario del grande Camilleri finiscono qui. Mancuso con le donne è imbranato, e senza una presenza femminile nella sua vita intristisce, cena a fast food in un angolo del tavolo della cucina per sporcare il meno possibile; ha un rapporto maniacale col caffè, che deve essere di una certa miscela e prende solo in bar selezionati, come il Marocco vicino alla Questura Centrale dove lavora – e lo beve dopo averne spalmato qualche goccia sul bordo della tazzina “perché così le labbra incontrano il caffè e non la porcellana”; non va al lavoro in ufficio se prima, piantato sulla soglia del bar Marocco con la tazzina in mano, non trova un particolare della immensa cattedrale palermitana che non aveva mai notato prima; non va in ferie ad agosto “perché ad agosto vanno in ferie tutti, anche i delinquenti, e lui lavora di meno e può godersi la città come un turista”; crede in Dio ma non è praticante, stima i sacerdoti che girano in panda ma non sopporta i prelati in mercedes. Insomma Mancuso è Mancuso; un personaggio unico come lo sono quelli di contorno: Mimmo proprietario del bar, marito di Zahra, una simpatica marocchina che dice di avere sposato “perché faceva pandàn col bar”; Yussuf, il ragazzo del bar fratello di Zahra, che da quando si è saputo che Yussuf significa Giuseppe, tutta la Questura chiama Pinussùf; padre Fiasconaro, cappuccino intelligente, sornione e filosofo che, insieme ai confratelli, non si sottrae a quello che chiama “il pio servizio” – la periodica spolveratura delle ottomila mummie del famoso cimitero sotterraneo; il tenente dei carabinieri Trevisan, amico di Mancuso, quasi naturalizzato palermitano – salvo che nell’accento; e così via”.

E inoltre Vigata non è Palermo…

“Giustissimo. In tutti i miei gialli Palermo è più che uno splendido palcoscenico: è una vera coprotagonista con i suoi monumenti, la gente, il fast food, i dolci. Anche per sottolineare questo, i nomi delle strade, dei bar, dei ristoranti sono quasi sempre quelli veri”.

Quanto spazio ha la mafia nelle sue storie?

“È talvolta presente, ma mai protagonista”.

Vedremo i suoi romanzi in versione per lo schermo?

“Non so ancora, ma qualche segnale c’è. Sono stato contattato da un noto regista e un altrettanto noto produttore esecutivo, ambedue molto disponibili… se troveranno i capitali. Più di recente, uno dei due editori è stato avvicinato da un agente interessato a fare da tramite con produttori “con i capitali”. Vedremo”.

Secondo lei un giorno ci saranno persone che visiteranno Palermo alla ricerca dei “luoghi di Mancuso”?

“Qualcuna c’è già. Il proprietario del bar Marocco è abituato a sentirsi chiedere “questo è il bar del commissario Mancuso, vero?”. E tanti lettori mi hanno scritto che hanno programmato un viaggio a Palermo perché i miei thriller gli hanno fatto venire voglia di visitarla. Da palermitano che ama la sua città e crede nelle sue enormi potenzialità turistiche, la cosa mi fa molto piacere”.

“La pietra al collo” e “Il morto con la zebiba” (Todaro Editore, Lugano); “Il marchio sulle labbra”, “Assassinio alla Targa Florio”, “La difesa del bufalo” (Dario Flaccovio Editore, Palermo): sono molto più di gialli belli e intriganti. In quasi tutti c’è infatti sullo sfondo un argomento di grande attualità, dalla pedofilia alle migrazioni e al terrorismo islamista. Pensa che questa “attualità” abbia avuto un ruolo nel suo successo?

“Penso di sì. La situazione cambia però nel prossimo giallo, praticamente finito ma che non ho ancora proposto agli editori, in cui il commissario Mancuso affronterà, insieme al tenente dei carabinieri Trevisan (primo esempio letterario, credo, di grande amicizia fra un poliziotto e un carabiniere) un caso in cui emerge una Sicilia esoterica, regno dell’occulto. Quindi stavolta non ci sarà alcun riferimento all’attualità… o perlomeno, non a quella “attualità visibile” che conosciamo tutti. Magari a un’altra attualità sotterranea. Vediamo cosa ne penseranno i lettori. Intanto le dico che, come tutti i miei romanzi, anche questo si basa su riferimenti autentici, anche se poco o pochissimo noti”.

Lei ha preso alla sprovvista i suoi lettori con il suo ultimo libro “Dieci piccoli gialli” (Einaudi Ragazzi) dedicato a lettori fra 8 e 11 anni. Cosa l’ha spinto a scrivere gialli per bambini?

“Me lo sono chiesto anch’io. In primo luogo credo si sia trattato di un attacco di nonnite giustificato dall’età; d’altra parte devo avere nel DNA qualcosa di mio nonno, grandissimo inventore e narratore di favole. Inoltre ho pensato che un genere “da grandi” come il romanzo poliziesco, declinato in versione per ragazzi, potesse avvicinare alla narrativa i più giovani – cosa che ritengo importante”.

Dieci piccoli gialli è una serie… qualche possibilità di vedere Ciccio, il piccolo protagonista, in una serie TV?

“Secondo me potrebbe venirne fuori qualcosa di carino ma all’orizzonte non c’è ancora niente, il libro è uscito da troppo poco. Incrociamo le dita”.

F.L.P.

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