Sciopero degli avvocati contro la Giustizia coniugata all'infinito

 

 

 

 

CATANIA – L’Unione delle Camere Penali Italiane ha indetto l’astensione dalle udienze penali per i giorni 20, 21, 22 e 23 Novembre 2018. Le ragioni nascono dalla necessità di far comprendere all’opinione pubblica il grave pericolo che corre il Processo Penale, inteso come luogo di amministrazione della Giustizia nell’interesse del Popolo Italiano, a fronte della proposta di BLOCCARE il decorso del termine della prescrizione a partire dall’emissione di una sentenza di primo grado, sia essa di assoluzione che di condanna. Nella manifestata opinione di chi ha proposto la riforma della Prescrizione c’è la volontà dichiarata, o almeno così sembra di comprendere, di giungere alla certezza della Pena e tutelare le ragioni di chi ha subito i danni dal reato commesso, e cioè le parti civili e i soggetti offesi.

Ma è così? Il nostro sistema processuale, fondato sull’obbligatorietà dell’azione penale, vede ogni anno una “montagna” di notizie di reato finire sui tavoli dei Pubblici Ministeri di tutta Italia. Non è un caso che gli studi statistici del Ministero della Giustizia indichino un numero enorme di reati prescritti entro la fase delle indagini preliminari, la fase precedente cioè al giudizio dibattimentale. Una fase in cui la possibilità d’intervento di Avvocati, anche delle persone offese, e Giudici è estremamente limitata. Ma, ripetiamo, è proprio così? Se così fosse, e il SE è maiuscolo e obbligatorio, il rimedio sarebbe peggiore del male: nel nostro ordinamento la pena alla quale un imputato è condannato è posta in esecuzione solo al passaggio in giudicato della sentenza cioè alla fine del processo e dei suoi eventuali gradi di appello e Cassazione. Ma, se entrasse in vigore una norma quale quella proposta, il momento della concreta applicazione della pena verrebbe innegabilmente a slittare avanti nel tempo, senza limiti o confini, applicandosi per fatti ormai cronologicamente lontani e in una diversa fase della vita del soggetto, processato ad libitum, consapevolmente dimenticando il principio rieducativo che questa, per chiara lettera della nostra Carta Costituzionale, deve avere. Le prassi quotidiane, conosciute da chi frequenta le aule di giustizia, sono legate al timing della prescrizione: più lontano è il tempo, più lontana si avrà la celebrazione e la conclusione del processo. Allorquando sul ruolo del Giudice, in una sola udienza, devono essere trattate 50/60 cause, è naturale che i tempi del processo si dilatino.

E il tempo, ed il suo trascorrere, condannano proprio le ragioni delle persone offese: esse, infatti potranno vedere riconosciuto il loro diritto al risarcimento del danno solo dopo la conclusione del processo penale. Il Giudice penale, infatti, condanna l’imputato al dovere di risarcire il danno, ma la concreta determinazione dell’importo del valore del danno subito potrà essere decisa dal Giudice Civile, solo dopo che il processo penale si sia concluso. Se questo non si conclude, o si blocca il tempo della prescrizione dopo la prima sentenza NON DEFINITIVA di condanna, non si potrà avere concreta soddisfazione delle ragioni delle persone offese dal reato.

E’ questo lo scopo della proposta?  Oggi, dopo la riforma Orlando, i termini di prescrizione sono stati allungati di circa tre anni: un reato grave si prescrive solo dopo 15 o più anni. Le nostre agende professionali vedono già processi con PRIME udienze fissate a gennaio del 2021! E’ proprio necessario e utile un allungamento di questo periodo? L’art. 111 della Costituzione impone al legislatore di fare norme che assicurino la “ragionevole durata” del processo: la proposta va in senso opposto. In dottrina e giurisprudenza si è elaborato l’istituto dell’abuso del processo, una patologia che determina la stasi e la regressione del procedimento, in contrasto con il suo fisiologico evolversi verso la decisione finale. Ecco, la proposta pare muoversi verso la dilatazione del processo, impedendo di seguire il suo positivo cammino verso la definizione dello stesso, verso l’esito per il quale è promosso dal Pubblico Ministero ed è guidato dal Giudice, mentre nessuno strumento fuori dalla legge è dato all’Avvocato per impedire il corretto corso del tempo del processo.

Se, infine, con la proposta, al di là di una non meditata ed approfondita scelta per sedare presunti voleri popolari, si vuole rispondere ad una esigenza attuale ed emergenziale, si abbia l’onestà intellettuale di dire che il rinvio della vigenza della norma al 2020 determinerà l’applicazione del nuovo regime solo ai fatti commessi dal 2020 in poi, con l’evidenza che il nuovo corso interverrà solo dal 2023/2024 in avanti. Gli Avvocati Penalisti sentono il bisogno di ricordare che anche il processo è una pena, per chi lo subisce e per chi spera di trovare giustizia per i danni patiti; allargare indefinitamente questa Pena, fuori da ogni principio di ragionevolezza, significa abbandonare la certezza dell’indicativo per coniugare tutto all’infinito.

Il Direttivo della Camera Penale “Serafino Famà” di Catania

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