Daniele Lo Porto
CATANIA – Trentacinque anni sono trascorsi dai cinque colpi di pistola alla nuca che uccisero Giuseppe Fava, svegliando di soprassalto una sonnacchiosa Catania. La mafia non era solo un male circoscritto a Palermo, con l’omicidio del giornalista-scrittore di Palazzolo Acreide si apriva il registro delle vittime eccellenti anche all’ombra dell’Etna. Sabato pomeriggio la commemorazione sotto la lapida in via fava, prima via dello stadio, a pochi metri dal Teatro Stabile, dove quella sera si stava recando il direttore de I Siciliani. Prima il solito corteo da piazza Roma alla lapide, questa volta inasprito dal rifiuto degli organizzatori di “accogliere” un rappresentante delle istituzioni, l’assessore del Comune, Fabio Cantarella, perché leghista, insultato e costretto alla scorta della Digos. “Il nostro è un corteo politico, Cantarella lo sapeva bene” si è giustificato Matteo Iannitti, rappresentante de I Siciliani giovani. “Si è persa una buona occasione per ricordare Pippo Fava al meglio”, ha commentato Cantarella dopo aver raccontato quanto successo a Claudio Fava che ha preso le distanze dall’accaduto. Infine, dibattito nella Sala Verga sul tema “Antimafia 35 anni dopo: dire, fare o sembrare”, moderato dal giornalista Mario Barresi, con il magistrato Armando Spataro, don Luigi Ciotti, Claudio Fava, che l’anno prossimo potrebbe non essere presente alla commemorazione, ha annunciato a sorpresa, e Giovanni Maria Bellu, vincitore del premio nazionale di giornalismo.
Dal Giornale di Sicilia