Giovanni Lo Porto
CATANIA – Nel mondo del fumetto quest’anno, tra i tanti anniversari importanti (i settant’anni di Tex, gli ottantacinque di Paperino) Etnacomics ha dedicato grande spazio agli ottant’anni di Batman, creatura inizialmente accreditata a Bob Kane (salvo poi riconoscere i meriti non indifferenti di Bill Finger e di Jerry Robinson). Nel giorno di apertura della nona edizione della kermesse catanese non sono mancati gli spazi dedicati al Cavaliere Oscuro: In particolare, la sala Galatea ha ospitato una serie di incontri attorno alla figura dell’uomo pipistrello di Gotham City. Un gradito ritorno, quello di Peter Milligan, autore seminale della cosiddetta British Invasion, l’ondata di autori britannici che ha rivoluzionato il fumetto statunitense, ha regalato ad una platea di appassionati la sua visione dell’icona fumettistica. Uno sguardo che pone al centro il ruolo della città, intesa come vero e proprio personaggio, imprescindibile elemento per la caratterizzazione dell’eroe DC. Se Superman, a detta dell’autore britannico, può esistere al di là della troppo generica Metropolis, cosa ne sarebbe di Bruce Wayne senza i vicoli bui di Crime Alley, la via dove persero la vita i suoi genitori, costringendolo a scegliere, giorno per giorno, di diventare l’eroe che tutti conosciamo? È questo ciò che contraddistingue Batman da qualsiasi altro eroe mascherato: nessun morso di ragno radioattivo, nessun incidente con i raggi gamma. Solo un evento catalizzatore, improvviso, traumatico, che ne segna il destino non abbandonandolo mai. Un voto, una promessa a se stesso sui corpi ancora caldi dei genitori, rinnovata negli anni con sacrificio e abnegazione. “Sì, padre, sarò un pipistrello” sussurra Bruce Wayne nel seminale Anno Uno di Frank Miller.
Ma prima dell’interpretazione di Miller, che ha condizionato in maniera ineluttabile il nostro sguardo sul personaggio, un altro autore ha sottratto il pipistrello alla palude del Camp nella quale il paladino di Gotham City si era impantanato negli anni ’60: anni screziati da colori fluo e battute naive, personaggi grotteschi quanto buffi, bat-gadget ridicoli, il tutto livellato su un target piuttosto infantile. Una declinazione per certi versi molto interessante che ha tuttora i suoi estimatori, tra cui chi scrive, ma molto distante dall’impronta della sacra triade di padri sopracitata. Per tornare al Batman delle origini fu necessario quindi uno svezzamento ad opera di un autore, una leggenda vivente, quel Neal Adams che Etnacomics quest’anno può con giusto orgoglio annoverare tra i propri ospiti.
Neal Adams si presenta come un John Goodman dalla battuta sempre pronta, ricco di aneddoti di un’epoca in cui il futuro del medium era tutt’altro che roseo: la pubblicazione di Seduction of Innocent ad opera dello psicologo Fredric Wertham, pubblicato nel 1954, aveva fortemente scosso l’industria statunitense generando una seconda caccia alle streghe. “Dopo il comunismo, il nuovo nemico d’America erano diventati i Comics. Quasi come se il governo pescasse il prossimo spauracchio sfogliando svogliatamente il dizionario” scherza Adams. L’opera di Wertham verteva sulla controversa tesi dell’effetto nefasto dei fumetti sulle impressionabili menti dei suoi giovani lettori, tesi costantemente aggiornata da schiere di bacchettoni di decade in decade, vedendo traviamento per i virgulti della società ora nelle tendenze musicali meno rassicuranti, ora nei videogiochi.
L’industria all’epoca giocò in difesa istituendo il Comics Code, un sistema di autovigilanza che la tutelasse in anticipo da eventuali critiche. Il bollino era garanzia di contenuti adatti ai più piccoli: gli eroi non avrebbero usato armi da fuoco, non sarebbero state mostrate morti violente, le tavole sarebbero state prive di qualsiasi tema che potesse turbare minimamente i lettori di primo pelo e sarebbero state prive di qualsivoglia ambiguità fino a rasentare (o prendere in pieno, decidete voi) il ridicolo: no alla parola “flick”, perché scritta in stampatello maiuscolo, com’è costume letterare gli albi tanto amati da noi debosciati, può essere erroneamente letta come “fuck”, anatema impronunciabile da lavarsi la bocca col sapone.
In questa industria sofferente e offesa molti editori fallirono, molti titoli si estinsero. “So, I destroyed the Code.” sorride orgoglioso la leggenda, facendo riferimento ad una sua famosa copertina di Green Arrow dove Speedy, storica spalla del personaggio, si inietta eroina.
È questo un atteggiamento che caratterizzerà tutta la vivace conversazione con gli appassionati presenti, prontezza di spirito, frasi ad effetto e non poco, giustificatissima, ci mancherebbe, boria. “So, I destroyed the Code” sì, lui distrusse il Codice, se ne infischiò, perché i grandissimi possono fare questo ed altro grazie al supporto di migliaia di appassionati che ne riconoscono il genio, ma questo anni dopo l’istituzione del Codice, quando Neal Adams era già il rivoluzionario che conosciamo adesso. Quando la leggenda muove i suoi primi passi, in piena caccia alle streghe, trova solo editori che lo scoraggiano: “Mi piacciono i tuoi lavori ma non voglio rovinarti la vita. Fai altro, il mondo del fumetto è finito, destinato all’estinzione”. Queste sono le risposte che riceve da Joe Simon e da tutti coloro a cui sottopone le proprie tavole. “Intanto in Europa stavate stampando un sacco di fumetti, lo stesso in Giappone. Ma in America il mercato era in crisi e i tipi di Archie Comics erano così dispiaciuti per me che mi chiesero se potevo fare delle vignette umoristiche. Dissi di sì e ricopiai le battute dai junior scholastic. Se sei un giovane artista: ruba. È un’ottima cosa da fare.”
Uno dei nostri anfitrioni chiede a tal proposito l’opinione del maestro su un recente fatto di cronaca che ha scosso il fumetto europeo, il disegnatore Pascal Somon pesantemente condannato per aver riprodotto senza autorizzazione Tintin, dell’autore Belga Hergé. “Screw him” risponde senza tentennare il maestro “We don’t steal from one to another”. Non ci rubiamo il lavoro a vicenda. Se sei giovane ruba, se sei affermato abbi rispetto per il lavoro dei tuoi colleghi? O forse puoi rubare solo se sei il giovane Neal Adams? Non indaghiamo ulteriormente, parla la leggenda.
La platea è ristretta ma rapita, qualcuno gli chiede cosa pensasse Bob Kane del suo lavoro. Apprezzava la sua interpretazione dell’uomo pipistrello? “No, because he was an asshole”, no perché era uno stronzo. “Lo incontrai ad una convention, lo ringraziai per aver creato Batman, gli spiegai ciò che facevo e lui rispose: ‘dovresti fare più attenzione, concentrarti di più sul mio lavoro perché lo fai male, dovresti riprendere esattamente quello che facevo io’”
Parole al vetriolo anche per gli editori, che sono persone che non hanno mai scritto una storia, mai disegnato una vignetta, inventato un personaggio o letto né tantomeno compreso le storie che pubblicano. “Ricevevamo lettere di protesta per una battuta sul vicepresidente, venivo convocato e mi dicevano di non farlo più. ‘Ma quella battuta è nella storia del mese scorso!’ Non sapevano nemmeno ciò che pubblicavano. Mi contestarono anche la mia versione di Batman, ‘Perché dovrebbe essere il tuo l’unico Batman possibile?’ Agitai un mucchio di lettere e dissi: ‘Julie, [Schwartz, editor DC] non sono io, è ogni ragazzo al mondo a dirlo. Gli unici a non saperlo lavorano alla DC.” La platea è entusiasta del suo mattatore “Se guardo un film tratto da un fumetto DC poi vado a vederne uno Marvel per divertirmi. È questa la principale differenza. Gli sceneggiatori Marvel leggono le storie che vogliono trasporre sullo schermo”. Siamo stravolti dall’esuberanza e dalla meravigliosa arroganza di quest’artista enorme. Ci saluta invitandoci al suo stand, tristemente disertato dai fan in questo primo giorno di Etnacomics. Una foto con Neal trenta euro, un autografo quaranta. Pochi per la leggenda vivente.