Catania in dissesto, i contributi straordinari non risolvono il problema

Catania in dissesto, i contributi straordinari non risolvono il problema

La relazione della Corte dei Conti, nel rilevare un deficit strutturale di un miliardo e seicento milioni di euro, ha fatto emergere nel contempo azioni “da brivido” messe in atto da chi ha gestito le finanze nel Municipio di Catania, tant’è che le stesse sono al vaglio delle Magistrature. Oggi, pertanto, non si deve essere esterrefatti se le aliquote di tutti i tributi saranno portate al massimo e oltre, come già avvenuto per la TARI. Trattasi di un obbligo di legge per coprire in toto i costi dei servizi. Ormai “o ti mangi sta minestra o ti butti dalla finestra”, per cui si farebbe solo demagogia aizzare la gente, facendo perno su tali aumenti che gli attuali Amministratori, ereditieri di una “res publica lapidata”, sono costretti ad applicare. Occorre, invece, trasmettere ai Cittadini, già disorientati per il KO subito, solo certezze senza creare “prulazzi”, cioè polverone.

Non si può, però, fare a meno di chiederci come mai nel passato chi aveva il dovere di vigilare dall’esterno non si sia minimamente accorto di tanta mala gestio? Dove si era quando al dilapidare del denaro per feste patronali e carnascialesche, facevano riscontro gli scioperi di chi pretendeva giustamente il denaro per pagare le retribuzioni ai vari operatori gestori dei servizi pubblici essenziali? “Rebus sic stantibus”, tutti i Catanesi sappino che per alleviare i pesi su di loro gravanti per diversi anni, alle maggiori tassazioni deve corrispondere la totale eliminazione delle spese non dirette ai bisogni primari cioè al c.d. “pane quotidiano” … senza companatico.

A ciò si aggiunge la rigorosa osservanza delle altre disposizioni di legge riportate negli artt. 90 e 259, Dec. Leg. 267/2000, alla cui lettura si rimanda. “Abimo pectore” non dal Legislatore proviene anche il dovere di eliminare i gettoni di presenza e quanto meno ridurre le indennità di carica e simili. Tale gesto in ogni caso servirebbe a far capire ai Cittadini di non essere solo loro a sopportare sacrifici personali. Per un istante, però, al fine di sdrammatizzare, richiamiamo un racconto, per il quale non essendo certi sulla sua veridicità, useremo il “si dice”. In quel tempo “della faciloneria” “si dice” essere divenuta uso l’invocazione: “Sant’Aituzza facci a ‘razia di riscattare Catania e noi aumenteremo luminarie, spari e addobbi” a costo di assumere, non essendoci “cash”, anticipazioni di cassa, o mutui a “gogo” (definiti così da un autorevole giornalista). Ma “si dice”, anche, che la Santa, nei sogni degli invocatori, esternava la Sua contrarietà alla proposta e disponeva, invece, che le somme fossero destinate interamente ai poveri. Volendo, però, egualmente essere festeggiata, suggeriva loro, essendo squattrinati, di delegare l’organizzazione alla Chiesa. Alla Stessa avrebbe successivamente consigliato, l’apertura di un conto corrente “a sira du tri”, dove far confluire volontari oboli dai milioni di devoti sparsi nel mondo; così facendo, assicurava che si sarebbe raccolto denaro “a tinchité”, la cui parte esorbitante poteva essere destinata ad altre più importanti esigenze in un Ente in cui, sin d’allora, sussistevano i presupposti (tenuti celati non si sa per quali arcani motivi) per dichiararne il dissesto, anticipando la via del risanamento. Non essendo stata accontentata, “si dice” che la “‘’razia”, purtroppo, non è stata data e il Comune è fallito…anche per tale motivo.

Peccato!! Perché molti pensano che, nel caso inverso, la Patrona si sarebbe ritagliato in modo stabile un posticino nella pianta organica come suggeritrice di idee illuminanti. Così, a mo’ d’esempio, il rintracciare veri esperti di finanza comunale tramite un pubblico bando a livello nazionale. Non quelli predestinati in quanto agganciati ai partiti, bensì, quelli che agli inizi dell’autonomia dei Comuni, quando il legislatore attribuì loro il diritto-dovere di autogestirsi e finanziarsi, anticipando la graduale fine dell’era del saprofitismo (vivere con le questue dello Stato), adottarono, rendendoli permanentemente virtuosi, espedienti generatori di linfa continua a miglioramento dei servizi pubblici esistenti ed a crearne nuovi.

Se ne citano alcuni: PIT, BOC, PRUSST, GLOBAL SERVICE, BIC, OUTSOURCING ed altri di Finanza Derivata con operazioni di pooling to risk anche a copertura di fluttuazione dei tassi d’interessi, sfruttando i vantaggi del mercato e con la collaborazione delle banche. Acronimi senza senso per qualcuno ma non per chi ha avuto la fortuna di assistere de visu alla loro applicazione; trattasi semplici strumenti finanziari, sì di elevata alea ma, ben gestiti, hanno dato enormi benefici. Fra l’altro “chi non risica, non rosica”.

Oggi alcuni di essi sono obsoleti, ma, giunge all’orecchio, che quei veri “esperti” ne hanno inventato di nuovi e forse migliori. Certamente, per un Comune in dissesto le richieste di contributi ad adiuvandum, di moratorie, di rinegoziazione d’interessi, etc., sono anche necessarie ma è inopportuno far credere alla gente (tipo scaricabarile con lo Stato già in brutte acque ed oggi ancor più per le sopravvenute pubbliche esigenze), che queste siano le uniche vie risolutive. Trattasi di mezzucci, senza alcunché di strutturale, che servono solo ad affrontare le contingenze del mese … e poi? Occorre altro per diventare virtuosi.

Preziosissimi gli appelli rivolti alla popolazione dal Vescovo e da S.E. il Prefetto, rispettivamente “Voi restate in città” e “Nessuno deve essere lasciato solo”. Non bisogna estraniarsi in questo particolare momento, Lasciando da parte l’egoismo individuale e stando al principio “simul stabunt aut simul cadentes” rendiamoci conto che il fallimento non riguarda solo chi oggi lo gestisce dentro il Palazzo ma “ognuno di noi”, per cui rimbocchiamoci le maniche collaborando fattivamente per uscire dal tunnel nell’esclusivo interesse delle nostre future generazioni.

Gr. Uff. Dr. Luigi Albino Lucifora, già Segretario Generale in Comuni e Province

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