Requiem di Mozart per l'apertura del "Massimo"

 

 

Antonio Licursi

CATANIA – Sembrava d’essere a Milano, al Teatro alla Scala: non fosse altro per il gran freddo, anomalo da queste parti; invece siamo al concerto che inaugura la stagione del Massimo Bellini. Il pubblico è quello delle occasioni importanti; magari meno ammantato di sacralità meneghina, più disinvolto negli atteggiamenti e nell’abbigliamento un po’ variopinto, dissacrante, a volte persino frivolo. La temperatura, tutt’altro che mite, ci costringe a rimanere all’interno dei locali del Teatro, facendo venir meno quella piccola folla che, ferma davanti ai cancelli d’ingresso, scambia saluti; a volte timidi accenni alla programmazione presente e futura; più spesso ricordi degli eventi passati.

Il programma è di quelli che attirano le platee: la messa di Requiem k 626 di W.A. Mozart. Nella vita di un melomane accade spesso d’ascoltarlo dal vivo; ogni volta cercando di valutarlo da diverse prospettive d’ascolto; analizzandone le mille sfumature, sperando che qualcuna emerga dalle altre; e ogni volta ci sorprendiamo a scoprirne nuove identità. L’identità, stavolta, è quella del direttore d’orchestra, Gianluigi Gelmetti, non uno qualunque: uno con una carriera internazionale di tutto rispetto; basti solo citare che fu allievo di Sergiu Celibidache, Franco Ferrara e Hans Swarowskydi. Bisogna aggiungere altro?

Grande conoscitore del repertorio lirico italiano, si è sempre impegnato nella ricerca di partiture poco frequentate, in una costante ansia di ricerca; cercando linguaggi musicali nuovi, spingendosi oltre la tradizione, alla ricerca di espressioni artistiche non convenzionali. Si è suonato Mozart troppo spesso e troppo male. Questo Requiem, eseguito senza eccessi, si è rivelato di grande profondità, con ancora un certo retaggio romantico, ma privo di quegli artifici retorici che l’opera si porta dietro da secoli; restituendola invece a un fatto liturgico. Esemplare è l’avvio, che mette in evidenza il disegno lamentoso dei corni sulla trama esile degli archi. Fra i momenti migliori di questa esecuzione il “Dies Irae”, per la violenza dei contrasti e lo slancio ritmico.

Nel quartetto dei solisti spicca la bella voce e la purezza stilistica del soprano Elena Galitskaya. Cresciuta alla scuola di canto corale nella russa Dimitrovgrad, spesso l’abbiamo ascoltata in altre opere mozartiane con l’Opera di Lione. In questa interpretazione dimostra la sua gran classe, riuscendo sempre molto espressiva. La risentiremo giorno 20 gennaio nel ruolo di Pamina nel Flauto Magico. Veta Pilipenko, mezzosoprano, è una vera specialista di opere mozartiane. Mi piace ricordare la sua interpretazione della terza dama sempre nel “Flauto Magico” al Maggio musicale fiorentino. Karl Huml, formatosi a Melbourne, al Victorian College of Arts, con Rosamund Illing e Ruth Falcon, riesce, con naturale disinvoltura, a fornire consistenza al registro grave nel momento terribile del “Tuba Mirum” con un impeccabile stile. Giovanni Sala è anche lui un veterano d’interpretazioni mozartiane: ha vinto il concorso internazionale dell’Accademia di alto perfezionamento della Scala di Milano, dove ha ricoperto il ruolo di Tamino nel Flauto Magico. La sua Timbrica molto bella, la sua interpretazione elegante e molto espressiva ha degnamente completato il quartetto dei solisti.

Le due sezioni corali, dirette dal maestro Luigi Petrozziello, sono parte decisiva dell’alto valore dell’interpretazione di questo Requiem. Più che in altre opere, qui è fondamentale la ricerca dell’equilibrio. Tutta la musica composta da Mozart vive d’equilibrio. Nel Requiem di stasera, l’abbiamo intravisto, con precisione, nei rapporti tra uno strumento e l’altro; tra le voci soliste e l’orchestra; nella spasmodica ricerca di una perfetta coloritura timbrica. Il pubblico, inizialmente titubante, credo abbia capito questo sforzo e, alla fine, si è sciolto in un prolungato applauso.  Certo, in queste gelide serate, non si può pretendere di meglio.

2 Comments

  1. Son d’accordo con l’autore del pezzo circa l’importanza che Mozart diede nelle sue composizioni alla ricerca di un senso d’equilibrio.
    Ho assistito all’esecuzione nella giornata di sabato: non mi è sembrata una grande esecuzione. Un po’ “svogliata” e priva di coordinamento tra coro, orchestra e solisti. Mi pare comunque che, leggendo le note di chiusura dell’articolo, qualcosa non abbia funzionato nemmeno durante la prima esecuzione.

  2. Anche io ho notato una certa superficialità nell’esecuzione.Inoltre mi sono accorta che all’inizio il primo violino ha depositato, con fare un po’ scocciato,la partitura del Direttore d’orchestra sul leggio. Non devono essere state prove facili….

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