Sant'Agata e il cordone ombelicale tagliato

 

 

Concetto Ferrarotto

CATANIA – Finalmente lo abbiamo strappato quel cordone, e a strapparlo è stata la Chiesa. Non poteva che essere così. Va bene, conosciamo le critiche a questori e prefetti, al sindaco e ai vigili urbani, ma loro non avrebbero potuto. A imporsi doveva essere una volontà irrazionalmente indiscutibile, quella che coincide con la sacralità della Santa. Così è stato. Diciamocelo francamente, non se ne poteva più di una festa rubata ai cittadini, dei fuochi del Borgo alle sei del mattino, del canto delle clarisse che da magia nella notte si fa rumore disperso tra gli altri rumori di un mezzogiorno di città. Sant’Agata deve ritornare ai catanesi. I fatti accaduti all’albegiare del 6 febbraio forse sono un inizio, resta ancora molto di più da fare. C’è da vincere la natura ferina di questa città, la sua parte animalesca. E se la festa di S. Agata è il punto di identità della cittadinanza, allora bisogna fare i conti con tutto ciò che esprime, anche con la barbarie. Per metterla in riga. Contenerla per accoglierla e trasformarla in pulsione sana e vitale. Catania non sarebbe quella che è se non avesse una truce passionalità interiore e la Festa non sarebbe quel miscuglio torbido e affascinante di rozzezza e grandiosità se pensassimo di disciplinarne ogni dettaglio. Ma il furto alla partecipazione popolare non può prevalere. Sono anni che la Santuzza è stata scippata alla città da chi vive il delirio di sentirsi per due giorni il padrone del tempo. Lo abbiamo permesso noi tutto questo, noi che abbiamo ubbidito come sempre alla legge ineluttabile della reazione impossibile. Finché non si è alzata un voce più forte della ragione pessimista ed ha urlato un no. Un rifiuto folle e risolutorio. La Festa finisce qui. Quel “no” è stato un taglio di rasoio, un coltello che ha tranciato di netto il cordone tra l’inconscio malato e la ragione sana di ciascun catanese. Tra la parte infantile, capricciosa, egoista e la parte adulta. Raccontano le cronache che in Cattedrale quelli del cordone piangevano poi di disperazione. Chissà, forse addirittura sanguinavano dentro nel centro del loro ombelico, per il cordone strappato. Le due città separate e divergenti si sono dette addio per una notte, l’immagine è plastica. E’ sconsolante osservare due linee di corda bianca che ondeggiano senza più nessuno da trasportare. L’abbandono è totale. Ma è necessario che si ricongiungano, in una nuova consapevolezza. Se tutto ciò è accaduto la complicità sta pure in quella parte che è andata via a testa alta. La stessa parte che nella quotidianità camuffa tutte le proprie debolezze e trasgressioni dietro quell’interrogativo giustificazionista ormai famoso di questi tempi: E allora gli altri ? Una domanda sempre falsa, quella giusta sarebbe chiedersi: E allora noi ? Che facciamo per rendere più sana questa città ? Catania non è e non sarà mai un’ordinata capitale teutonica, non ci piacerebbe nemmeno se lo fosse. Eppure una reazione al degrado totale ci deve pur essere. Non saranno le regole astratte e razionali della sicurezza a poter vincere nella loro freddezza e non convince nemmeno la lotta, soltanto scritta nelle ordinanze, contro i giganteschi torcioni: il rito del fuoco è uno degli aspetti più esibizionisti e volitivi ma anche più mistici e ipnotici di tutto il rituale. Non si può annientare la forza del mito che sta racchiusa in un rituale magico. Quella forza va compresa e guidata, con idee nuove: percorsi prestabiliti, luoghi di raccolta decisi prima, divieti successivi alla circolazione in moto, insomma ben altro che proclamare divieti di sicura inefficacia. Allo stesso modo non si può annientare un’intera platea di catanesi irrisoluti usando soltanto il maglio della legge che pure ci vuole. E’ più utile riunirsi e rinnamorarsi della nostra Santuzza, rispettarla e coccolarla, sia nella follia della passione che nella cura del rispetto. Come alla donna amata, che poi è la nostra città, promettere di svegliarsi dall’egoismo autodistruttivo e pronunciare un giuramento di fedeltà: Ti proteggerò.

Foto di Fabrizio Villa.

Send a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *