Concetto Ferrarotto
CATANIA – Luci, colori, folla di gente. L’odore del torrone. Bracieri di carne arrosto. Il cedro con il sale, la dolcezza degli sciroppi di mandarino. Fuochi sparati in cielo e fiamme di migliaia di candele. Le candelore che si annacano, la moltitudine vestita di bianco che urla di fede ma pure scherza e gioca. Le prove di resistenza dei portatori. Il cordone. Il prete e i suoi anelli. La bellezza angelica del volto di Agata. I cannoli di ricotta offerti nei salotti delle case. I balconi presi a ruba dagli ospiti per vedere la Santa. I concerti e le mostre. La Festa di una città.
Catania ci ha provato anche quest’anno a vestirsi di grandiosità e c’era quasi riuscita. I suoi cittadini avrebbero rimosso per tre giorni e poi ancora per un bel po’ di tempo i guai di un dissesto mai seriamente preso di petto. Una mancanza di consapevolezza che avrebbe trovato refrigerio e giustificazione nei giorni della processione. E invece no. Una pioggia ostinata ha azzerato tutto.
Non ci si ricorda di una festa così’ da molti anni, anzi la festa è scomparsa. O almeno è scomparsa quella che sforava fino ad un improbabile canto di mezzogiorno delle suore di via Crociferi. E’ come se magicamente quel materno che vive nel culto della Santuzza abbia ammonito i catanesi che è vietato rimuovere i problemi. Non più da che sono enormi. E resteremo tutti col desiderio bambino dello zucchero filato, negato dalla mamma.
Foto di Fabrizio Villa.