Teatro, il dottor Di Martino è desiderato al telefono

 

 

 

 

Giuseppe Condorelli

CATANIA – Non ci sono più i maestri di una volta. E se ci sono vengono dimenticati. E’ stato questo il destino di Giuseppe Di Martino che, seppur catanese d’adozione, fu indiscusso protagonista da regista ma soprattutto come docente della Scuola d’Arte Drammatica dello stabile etneo almeno per un ventennio a partire dagli anni ‘70. Proprio a lui, sui legni dell’omonima sala, la Compagnia Fabbricateatro dedica “Il Dottor Di Martino è desiderato al telefono” per la regia di Elio Gimbo, uno spettacolo che conclude la rilettura drammaturgica dei “Dialoghi mancati” di Antonio Tabucchi intrapresa con “Il tempo stringe”. Ma l’atto unico – in una atmosfera avvolta dallo sfolgorare del bianco – non è solo l’omaggio trasversale al magister Giuseppe Di Martino, quanto una fantasmagoria sulla natura del rapporto tra maestro e allievo.

Così come nel testo originale di Tabucchi cui Gimbo si è ispirato – appunto “Il signor Pirandello è desiderato al Telefono” – anche la “scatola bianca” della scena evoca una recita in manicomio: lì dove bisogna sostenere il silenzio partecipe dei folli, impersonati, nell’incipit, da Daniele Scalia con un pigiama a righe; e più che metafora del Teatro tout-court (all’interno del quale gli spettatori sarebbero i “pazienti”) ci è sembrata invece quella di una Catania “appesa al filo del suo presente”, una città dalla memoria suicidata, ingrata nei confronti dei suoi figli migliori, incapace di testimoniarne la grandezza e di ricordarne il peso culturale, la grandezza professionale ed umana.

Anche per questo ne “Il Dottor Di Martino è desiderato al telefono”, la regia di Elio Gimbo utilizza, per sua stessa ammissione, “stili figure tecniche funzioni espressive” mutuate proprio dall’insegnamento di Di Martino, imbastendo uno spettacolo composito che pare celare una sorta di doppio chiasmo: al Pessoa del testo originale subentra l’Attore sui generis, (come categoria), al Pirandello evocato, il magister catanese; ma nello stesso tempo si modella come un “dialogo mancato”: l’incontro con Di Martino è un’ipotesi impossibile, non potrà mai accadere (così come l’incontro tra Pessoa e Pirandello) e si configura nella lettura drammaturgica di Gimbo come nostalgia, arco teso tra “origine” e “tradizione”. Ma il soggetto in scena è non meno ipotetico di quello assente: Di Martino non c’è; l’altro, l’Attore è plurimo, dunque immaginario. E’ in questa vocazione al metateatro che “Il Dottor Di Martino è desiderato al telefono” è sostenuto dalla notevolissima prova di Sabrina Tellico (nei panni dell’Attore) – “sautavancu culuratu” – e dagli inserti nostalgici e dolenti della musica e della voce di Cinzia Caminiti, accompagnata, ora con la chitarra ora col mandolino, da Salvatore Pappalardo. Sono loro a tessere una sorta di trama sonora in forma di “coro” chiamato a commentare il monologare dell’attore ma a costituire anche gli spettatori interni, a sottolineare la finzione del teatro, quasi l’abolizione della quarta parete.

Se Tabucchi immaginava l’incontro impossibile di due straordinari “fingitori” – Pessoa e Pirandello – qui il l’attenzione di Fabbricateatro è invece posta soprattutto sul “mondo dubitato” di chi sceglie il Teatro – chiarissimo oggetto del desiderio – come vita e come professione, anelando a un Maestro fantasma cui rivolgere un soffuso ultimo addio, confortato solo da voci sommesse che cadono leggere come petali di rose. Si replica fino al 25 novembre.

 

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