Catania, una mostra per raccontare i settant'anni di Tex Willer

di Giovanni Lo Porto

Nel 1948, Aurelio Galleppini viene chiamato da un’intraprendente editrice milanese, Tea Bonelli, per occuparsi di un progetto che nelle intenzioni dei committenti avrebbe dovuto essere il personaggio di punta delle Edizioni Audace. Occhio Cupo, questo il nome del personaggio, è uno spadaccino mascherato, scritto dall’ex-marito di Tea, Gianluigi. Esteticamente le storie dell’eroe mascherato sono un compendio dei cicli di cappa e spada che hanno come icona indiscussa Erroll Flynn. Il segno richiesto è elegante e dinamico, pensato per un pubblico educato: il formato, grande, ad albo, garantisce a Galleppini il rispetto che gli è dovuto per il lavoro, affatto fuori scala per l’epoca, che riversa in quelle pagine. Dal tramonto fino a notte inoltrata, invece, Galep si occupa di un altro personaggio, un piccolo gregario per quella stessa casa editrice. È un western. Il formato è quello della striscia: è un personaggio di poco conto. Il segno è agile e privo dei dettagli che abbondano nelle tavole del figlio diurno dei Bonelli. Tra una vignetta e l’altra, sotto una didascalia, zona franca dove la mano dello sceneggiatore non può nulla contro l’estro dell’artista, Galep riempie gli spazi bianchi con ciò che in quelle ore desidera di più: così caffettiere e tazze di tè spuntano tra cavalli graffiati rapidi di china e pistole e onomatopee di spari, urla di Navajos, Apaches, Mescaleros e sbraiti di banditi e grida di rabbia. Quelle notti insonni si seccano sulla carta nell’alba di Tex. Occhio Cupo chiude dopo sei uscite. Di quel gregario, se volete, potete prendere una copia all’edicola sotto casa. È una delle centinaia di migliaia di copie che da settant’anni, ogni mese, vengono stampate dalla casa editrice di via Buonarroti.

A questo straordinario personaggio dal successo inferiore solo al proprio mito, Catania rende omaggio con la mostra Tex Willer, 70 anni sotto il vulcano, allestita all’interno del GAM, a cura di Matteo Belfiore, con più di 40 opere, tra cui molti pezzi unici, divise in diverse aree tematiche. Ospite dell’inaugurazione, avvenuta oggi 11 gennaio, anche lo sceneggiatore Pasquale Ruju, appartenente alla nouvelle vague di sceneggiatori che negli ultimi anni è stata chiamata a rinverdire le storie con nuovi stili, rimanendo comunque fedele a quello spirito originario così difficile da imitare che gli ha garantito una così lunga vita editoriale.

 Si dice che Tex funzioni così tanto perché porta con sé dei valori universali di un mondo in bianco e nero. Tex risolve i problemi dando fiato ai clarini (le colt, come le chiama affettuosamente il pard Kit Carson) o a ceffoni. Non credo sia così semplice. Tex ha un superpotere, di cui si è già parlato in passato e qui conviene ricordare. Il ranger del texas riesce a distinguere i vigliacchi dai timidi, gli opportunisti dagli avventati, i folli dai santi, in poche parole i pravi dai puri, al di là di qualunque pregiudizio razziale o sociale: tra le sue pagine possiamo trovare miti Navajos e rinnegati, poliziotti corrotti e ispettori integerrimi. Se appare ovvio anche a noi lettori distinguerli con facilità è perché il superpotere di Tex travalica la diegesi e raggiunge il medium, srotolandosi in tavole graffiate da chine sempre rapide ma non più notturne.

La mostra Tex Willer, 70 anni sotto il vulcano organizzata dall’Associazione Culturale Leaf, è visitabile da oggi 11 gennaio fino al 9 febbraio, presso i locali del Gam, galleria d’arte moderna di Catania in via Castello Ursino, 26.

L’ingresso è gratuito.

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