Coronavirus, niente panico

Coronavirus, niente panico

di Martina Pumo
(nostra inviata da Milano)

Niente panico. Lo ripetevo in continuazione. Niente panico. È la prima cosa che ho pensato quando, sotto un tiepido sole milanese, apprendevo la notizia che un uomo residente nel lodigiano era stato contagiato dal COVID 19, il coronavirus.

Il famoso virus che da gennaio aveva messo in ginocchio la Cina era arrivato, a pochi chilometri da me. Niente panico, ripetevo. Da lì a poche ore i contagi sono aumentati drasticamente. La lancetta dei numeri continuava a salire, infuocata come la febbre che contraddistingue i sintomi di chi contrae questo virus. In meno di quarantotto ore si sarebbe indetta la Corona Virus Week. Nella city delle week non mi sarei mai aspettata di poter vivere questi giorni di “non eventi”. Milano era pronta a fermarsi, incredula ma pronta a contrastare questa emergenza. Ma cosa succede quando blocchi una metropoli alla fine di un mite inverno? La prima fase è l’incredulità. Tutti si trovano spaesati mentre le autorità intimano alla calma. “Riduzione della socialità” l’hanno definita.

Ma cosa significa davvero? Meno film, meno spettacoli, meno cultura. Ogni attività ludica si ferma, bloccata ed inerme di fronte a un’emergenza che sembra imminente. Ci si aspetta che da un momento all’altro capiti qualcosa, uno tsumani, un’eruzione, una catastrofe incredibilmente grande. E invece, non succede. Anche se i supermercati vengono presi di assalto, anche se le mascherine cominciano a finire. La catastrofe arriva silenziosa, lentamente. Ed è qui che inizia la seconda fase. Tutto rimane lì, sospeso. Una quotidianità a metà mentre la città aspetta. Il coronavirus è come la neve: crea scompiglio, lascia il silenzio, blocca la città. Eppure, non c’è nessuna meraviglia. Nessuna estasi. Forse una leggera riscoperta del proprio tempo ma, in fondo, niente più. Il coronavirus no, non si scioglie al sole. La terza fase, però, è la peggiore: placare le paure. Milano, la Lombardia, il Nord Italia si sono trovati di fronte a un’emergenza ancor più grande dei contagiati: placare la psicosi. Si, perché dopo le forme restrittive, bisogna frenare la paura. E non prende solo gli altri ma è un pensiero che si fa strada, piano a piano, giorno dopo giorno. Ad oggi, La Lombardia ha registrato il numero più alto di contagiati in Italia. Si parla di zona rossa, dove non puoi né entrare né uscire. Un limbo in cui ti trovi in gabbia tra le tue stesse mura. Un limbo di paura, un limbo di attesa. E se anche sai che è la cosa migliore per la salute tua e altrui, non diventa semplice stare lontani dalla normalità. Ci si sente intrappolati e impotenti. Nelle altre zone, come Milano e paesi limitrofi, la limitazione della socialità ha portato ad ingigantire le cose. O forse no. La realtà è che molti non sanno più a quale certezza appigliarsi. Stiamo vivendo una situazione di emergenza, e le autorità sono corse ai ripari. Le metropolitane sono state disinfettare, per limitare i contagi sono state chiuse le scuole, hanno incentivato lo smart working, dando giorni di ferie a chi non può proprio farlo per cause di forza maggiore. Il coronavirus ci ha costretti a rallentare. Un’influenza, un virus ha costretto la frenetica Milano a ridimensionare i propri ritmi per proteggere i più deboli. Una settimana diversa, che ha portato i milanesi, i lombardi, i veneti a pensare un po’ di più, soppesando paure e certezze. E mentre la quarta fase si fa strada, quella di ripresa lenta, quella caratterizzata dalla voglia di reagire e di vivere, si apre una nuova settimana di freni e limitazioni. Il consiglio che ci sussuriamo resta lo stesso. Guardare meno i post, leggere di più. Affidarsi a chi ha un titolo e meno ai titoli del terrore. Perché in fondo anche questa week passerà e Milano, l’Italia si rialzerà, splendente come non mai.

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