di Katya Maugeri
CATANIA – «Si parla di quegli anni Novanta come se fossero stati un’altra vita. Una mafia divisa in due: siciliani di occidente, orgogliosi e violenti e i “catanisi”, strategici e astuti». È uscito oggi il nuovo libro del magistrato Sebastiano Ardita, il seguito di “Catania bene“, Cosa nostra S.p.A. edito da Paper First.
Il magistrato racconta di una mafia che brama il potere, assetata di denaro e che assume il ruolo di imprenditrice senza scrupoli, capace di infiltrarsi nel tessuto economico attraverso accordi con la politica, ottenendo favori e ricambiandoli di conseguenza, perché Cosa nostra “anziché sparare ha pensato di difendere i propri interessi con gli appoggi politici”. Un sistema marcio, sì, una mafia che punta in alto. Sebastiano Ardita analizza ogni dettaglio aiutando il lettore a riflettere, ad elaborare domande su argomenti tabù, per certi versi. Si parla di mafia ma anche di antimafia con il sistema Montante. Non possiamo più permetterci di non conoscere la verità, non dobbiamo voltarci dall’altra parte: dobbiamo e possiamo scegliere da che parte stare. Come abbiamo scritto nella recensione pubblicata ieri (Leggi la recensione)
Due testi che tracciano perfettamente una mappa ben chiara di cosa sia stata e continua ad essere la mafia a Catania, in ogni sua sfaccettatura. Libri necessari per accrescere una coscienza collettiva, anestetizzata da cosa?
«Direi che vi è troppo spesso una assuefazione a situazioni illegali che sono così ricorrenti da apparire normali. Se la mafia si presenta in modo violento e crea allarme, la si ritiene intollerabile; mentre se si limita a coltivare i suoi rapporti col potere, inquina la vita pubblica e si avvale di varie complicità, rischia incredibilmente di trovare sostegno»
“Una mafia assetata di denaro e di potere che si fa essa stessa imprenditrice” senza alcun colpo di pistola, nel silenzio e nell’accordo tacito di molti colletti bianchi. Cosa nostra S.p.A racconta quindi un metodo sofisticato per contaminare l’economia e la società… Qual è la reazione di questi colletti bianchi?
«Non hanno in genere nessuna reazione, ma anzi prendono posizione su questioni che riguardano la sicurezza e le legalità. Per altro verso confidano nel silenzio e nell’oblio delle evidenze che talvolta emergono nel rapporto tra mafia e potere. Con la speranza che l’antimafia si occupi solo dei reati visibili. La cosa che più spaventa di tutto questo modo di agire è l’intreccio tra poteri».
Questa evoluzione del metodo mafioso sembra essere quello vincente, perché?
«È palesemente un modello vincente, perché minimizza i rischi derivanti dalla commissione di reati visibili e va in cerca di coperture istituzionali».
Un vero romanzo criminale con dei protagonisti delineati nei loro dettagli, nelle loro caratteristiche: da Nitto Santapaola, a Riina, al confronto con Santo Mazzei, fino ad arrivare al clan Cappello. Tanto forti, protagonisti: ma qual è il loro tallone di Achille?
«I protagonisti devono essere sempre visibili e raccontati all’interno di aneddoti e storie, perché la mafia è fatta di uomini e dunque parlarne in astratto non avrebbe senso. Tutti questi uomini hanno in comune una sfrenata ambizione e un desiderio di essere i primi, i più forti, i più temuti. Cambiano le interpretazioni ed anche le alleanze criminali, ma li accomuna la loro intelligenza, il loro essere strategici anche nella gestione degli affari criminali: il metodo “catanese”».
Il concorso esterno non è una creazione interpretativa dei magistrati, perché fa paura ai potenti?
«Fa paura ai potenti perché li mette di fronte alle loro responsabilità per avere tradito i loro doveri. Oggi la nuova mafia si nutre di collusioni e dunque di quello che un tempo era definito concorso esterno. Quando sono arrivato in procura a Catania c’erano oltre cento omicidi di mafia all’anno, mentre oggi gli omicidi sono molto rari; avvengono comunque anche se di rado. Diciamo che oggi la mafia utilizza il “concorso esterno” dei killer e si avvale ordinariamente dell’opera dei colletti bianchi».
Quel “difficile equilibrio tra il rispetto delle regole antimafia e la salvaguardia dei diritti fondamentali”, in che modo si riesce a stabilirlo?
«Spiegando che le regole antimafia anche se possono apparire dure servono ad impedire che altri innocenti paghino colpe non loro. E tra di esse vanno inclusi anche tanti giovani che vivono nei quartieri a rischio».
Il libro racconta di Cosa nostra, ma anche di una Antimafia. In che direzione va oggi l’Antimafia?
«Spero vada sempre dritta sulla strada del disvelamento dei rapporti tra la criminalità e il potere. E che eviti tutto ciò che non serve a diffondere la cultura per i diritti e la libertà, che è la ragione per cui è nata».