di Katya Maugeri
È inutile negarlo: ci troviamo di fronte a un cambiamento che porterà delle ripercussioni in ognuno di noi. L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha stravolto equilibri, certezze e progetti, ma alla pandemia reale segue sempre una pandemia emotiva dagli effetti devastanti.
È quella rappresentata dall’aumento dei disturbi di salute mentale, con un probabile incremento delle morti per suicidio e overdose di droga. A indicarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Jama dal Dipartimento di psichiatria della New York University.
Crescono i sentimenti di esclusione e isolamento e il settore della fragilità psichiatrica sembra restare in penombra.
In Sicilia abbiamo una realtà importante, la Rems di Caltagirone, che si trova ad affrontare nuovamente il disagio di una emergenza sanitaria che mette in risalto una grave emergenza sociale. In che modo?
«Affrontando le giornate momento per momento, con la consapevolezza che siamo in divenire e non possiamo avere il controllo di tutto quello che succede. Spiega il dottor Salvatore Aprile, Responsabile della Rems. Lavoriamo quotidianamente insieme ai nostri residenti su dinamiche che riguardano la tolleranza dell’incertezza e sulla gestione dell’angoscia. Vogliamo cogliere l’aspetto positivo di questa emergenza vedendola come un banco di prova per convalidare il lavoro terapeutico di questi anni. Quest’emergenza ci ha messo tutti di fronte allo stato di libertà ridimensionata, al valore prezioso dell’assunzione delle proprie responsabilità per proteggere se stessi e gli altri. Si è verificata una sorta di capovolgimento delle parti in cui gli utenti riuscivano ad essere comprensivi ed accoglienti nel processo di consapevolezza della limitazione della libertà che stavamo cominciando a vivere pure noi. Abbiamo potenziato le risorse disponibili per mantenere i legami con le famiglie attraverso l’ausilio di piattaforme web dedicate. Abbiamo valorizzato il lavoro terapeutico al fine di ridurre l’isolamento affettivo, sociale e sensoriale. Per superare questo difficile momento vogliamo lasciarci permeare, ancora una volta, dalla fiducia e dalla speranza caratteristiche che ci orientano nella direzione della resilienza fortificante e della realizzazione di una recovery.
Certamente non è stato un percorso facile fino ad oggi, la paura del contagio e soprattutto la costante attenzione a preservare i nostri pazienti ci ha permesso di sviluppare nuova consapevolezza e una nuova appartenenza al gruppo di lavoro Rems. La sfida di questa pandemia è stata, e rimane, il cambiamento. “Tollerare l’incertezza” è lo slogan che più ci rappresenta in una costante ricerca di speranza, di desiderio di chance, di riacquisizione di tempi e di spazi più ricchi, di sviluppo di empowerment per i pazienti, ma anche per ciascuno di noi».
Da marzo però qualcosa è cambiato. È venuta meno la dimensione gruppale. Da quando sono entrate in vigore le nuove disposizioni in materia di sicurezza sanitaria, infatti, sono stati rimodulati i gruppi di psicoterapia, che si svolgevano due volte al giorno all’interno della Rems e a cui partecipavano tutti gli utenti e gli operatori in servizio, suddividendoli in gruppi più piccoli.
Sono stati sospesi i gruppi multifamiliari che si svolgevano la domenica, sempre all’interno della Rems e che costituivano un grande momento di incontro e confronto fra gli operatori, gli utenti e i lori familiari ed era una giornata molto costruttiva dove il senso di comunità era avvolgente per tutti.
«Siamo stati costretti a limitare e, in alcune periodi, a sospendere le uscite riabilitative con i pazienti, come anche l’uscita del sabato sera in pizzeria con operatori e utenti, continua il dottor Aprile. La metodologia del lavoro di gruppo democratico per noi è stata sempre l’aspetto fondante del nostro approccio trattamentale. Tale approccio è indispensabile affinché le persone, ospiti della Rems, possano pian piano ricostituire quei legami familiari e sociali che spesso si sono bruscamente spezzati per via della loro malattia.
Non sempre troviamo risposte alle nostre domande, ma aprire il dialogo in una dimensione democratica ci consente di accompagnarci con un impatto meno traumatico verso lo stato di emergenza sociale. Nel frattempo, però, ci siamo anche adattati e seppur con enormi difficoltà siamo riusciti a mantenere il contatto con l’esterno attraverso gli ausili informatici.
Abbiamo, ad esempio, continuato con gli approcci di Open Dialogue con i familiari e gli utenti attraverso i collegamenti online e abbiamo sostituito, soprattutto nei periodi più restrittivi, i colloqui di presenza con i familiari con le videochiamate».
Hanno, inoltre, deciso di esorcizzare il momento partecipando al concorso “menti in corto”, che li ha visti protagonisti nella realizzazione di un cortometraggio dal tema “2020: anno bisesto, anno funesto?”. «Pensavamo che stimolare il pensiero creativo costruttivo ci potesse venire in soccorso e ne abbiamo avuto le prove».
Carenze sanitarie ancora persistenti
«Il Covid sta mettendo a dura prova l’intero sistema sanitario nazionale. La medicina territoriale e i servizi ospedalieri sono certamente i settori di frontiera, ma il sistema sanitario nazionale non è solo questo. Penso alle attività di prevenzione, solo per fare un esempio, o a tutta l’area della cronicità, e per restare al nostro tema, mi riferisco anche alla psichiatria, nella sua grande articolazione dei servizi e nella domanda che la pandemia sta inducendo. Il salto politico-culturale che questa emergenza sembra stia sollecitando, da un lato, fa proprie le consuete istanze che, in questo periodo si sono acuite, di investimenti strutturali, di personale, di formazione, di gratificazione e valorizzazione degli operatori, di potenziamento della rete dei servizi volti all’inclusione sociale dei nostri pazienti… temi che ci vedono attenti osservatori e parte attiva del percorso; e, dall’altro, rilancia il tema di una “salute mentale di comunità” nella cornice della quale i nostri servizi si configurano come snodi della comunità locale, nei quali convergono e si costruiscono nuove azioni, nuovi processi di cura, nuove opportunità, nuove alleanze terapeutiche con gli utenti, le famiglie, i servizi, i territori e gli operatori».
Salute mentale e Covid, cosa occorre fare…
“Potenziare i servizi. Gli stessi che avrebbero dovuto esser già potenziati prima dell’emergenza, spiega il dottor Carmelo Florio, Responsabile del dipartimento salute mentale Asp Catania. La dimensione della salute mentale, rispetto ad altre discipline è penalizzata dal fatto che la sofferenza psichica si propaga in maniera silente ed il più delle volte emerge “quando è troppo tardi”, ma è pervasiva, non meno di altre sofferenze più visibili ad occhio nudo. L’azienda è impegnata a dare risposta nel potenziare i servizi avendo esitato il piano triennale di fabbisogno del personale. L’attenzione e la sensibilità è alta ed è in corso una forte sinergia tra il Dipartimento e l’alta Direzione Aziendale”.