Dall'agenda rossa, al falso pentito, al ruolo di La Barbera. La strage di via D'Amelio, ventisei anni dopo

Katya Maugeri

«Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri». 

Era già successo, cinquantasette giorni prima a Capaci, accadeva di nuovo in via D’Amelio, Cosa nostra con una autobomba uccideva il procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino, e gli agenti della polizia di Stato Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli, unico sopravvissuto Antonino Vullo. L’uomo, quel giorno era in servizio come autista: il giorno della strage, alle 16, nell’attimo in cui Borsellino e i cinque colleghi della scorta scendevano dall’auto per andare a citofonare alla madre del giudice – prima di saltare in aria con una Fiat 126 imbottita di tritolo-, lui è tornato indietro a parcheggiare meglio la blindata.

19. Nell’anno in cui la sentenza dei giudici della Corte d’assise di Caltanisetta relativa al processo Borsellino quater  ha confermato che dietro quella pagina di storia c’è “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, sono tanti i quesiti rimasti irrisolti e in una lettera scritta da Fiammetta Borsellino pubblicata sul quotidiano La Repubblica, la figlia del magistrato elenca una serie di domande relative alle indagini su quell’attentato citando i nomi dei magistrati che ne furono responsabili e chiede risposte sulle maggiori incongruità di quell’inchiesta.

“Ci sono domande – le domande che io e miei fratelli Manfredi e Lucia non smetteremo di ripetere – che non possono essere rimosse dall’indifferenza o da colpevoli disattenzioni. Domande su un depistaggio iniziato nel 1992, ordito da vertici investigativi ed accettato da schiere di giudici”.

È compito della politica, adesso, approfondire e far emergere le risposte. Chi ha fatto sparire l’agenda rossa di Borsellino? Chi ha suggerito le dichiarazioni ai falsi pentiti spostando così la prospettiva delle indagini su un gruppo di persone innocenti?

E proprio alla vigilia del 19 luglio, Claudio Fava, presidente della Commissione regionale Antimafia decide di ascoltare Fiammetta Borsellino,”ritenevamo fosse il modo più efficace per essere presenti in modo non simbolico e rituale, spiega Fava. La Borsellino ci ha chiesto di aiutarla a fare arrivare molte domande inevase a chi ha possibilità di rispondere. Noi pensiamo che anche questo debba essere il compito di questa commissione antimafia. Resta sempre una traccia di quello che è successo. Ed è successo che tra il ’92 e il ’94 si è assistito al più clamoroso depistaggio che la storia della Repubblica ricordi. Per questo chiederemo agli attuali responsabili dell’intelligence cosa è accaduto tra il ’92 e il ’94″.
Fava sottolinea che non vuole certo sostituirsi alla magistratura,  ma “la Commissione farà un’indagine politica su questa vicenda e da settembre avvieremo un percorso di audizioni. Chi audiremo? I nomi citati dalla dottoressa Borsellino e anche nomi non citati che ci aiutino a ricostruire i fatti. Parliamo di Governo, magistratura e servizi: da questi contesti pensiamo di dover ricevere risposte”.

Sono tantissime le iniziative organizzate per commemorare e tenere viva la memoria di coloro che hanno perso la vita quel giorno e a ribadire quanto sia importante il confronto con la società civile è Salvatore Iuculano, dirigente sindacale del S.I.A.P., il sindacato della Polizia di Stato, responsabile del reparto scorte: “Siamo qui come ogni anno, ogni giorno per fare memoria dei nostri fratelli caduti, che hanno pagato con la vita la lotta al crimine, che ai tempi era molto più impegnativa. Ci uniamo per gridare ad alta voce – dichiara durante la nostra intervista – a quello stato con s minuscola che in gran segreto trama contro lo Stato con la S maiuscola ,che è necessario ricercare verità e giustizia. Noi lo facciamo da anni, e quest’anno qualcosa in realtà sembra essere cambiata. C’è una sentenza nella quale si è certificato che ci fu un depistaggio. Da queste sentenze, però, ci aspettiamo qualcosa di più. Ci vorrebbe un pentito di Stato perché la parte criminale è stata condannata, ma la parte politico-massonica è rimasta illesa da queste sentenze.

C’è uno Stato che si impegna costantemente, i magistrati  grazie alle attività investigative realizzate dalla Polizia giudiziaria sono riusciti ad arrivare a delle sentenze importantissime. Andrebbero ringraziate tutte quelle associazioni che informano quotidianamente la società civile rendendola consapevole di quanto sia importante la lotta contro ogni criminalità. E serve, inoltre, ricostruire un rapporto erroneamente leso tra i poliziotti e i cittadini, vogliamo condividere con loro quei luoghi in cui i nostri fratelli hanno vissuto. Noi lo ricordiamo il nostro compito, alimentato da una profonda passione: ogni giorno, prima di prendere servizio i ragazzi passano dalla lapide, ricordandoci che in fondo il pericolo è in agguato. Vorrei ricordare che  la scorta non è un servizio di taxi, non è l’auto blu. È inaccettabile essere indicati, troppo spesso, come chofer: gli uomini della scorta sono dei poliziotti  che frequentano corsi di aggiornamento periodici. Chi si impegna alla lotta contro il crimine deve essere protetto, la protezione è la condizione ottimale per indebolire la criminalità. “La mafia uccide i servitori dello Stato che questo non è riuscito a proteggere” affermava Falcone, la nostra è una storia dove uomini abbandonati vengono uccisi. E da questo, noi dobbiamo imparare e trarre le energie per continuare a lottare. In via D’Amelio non ci saranno passarelle, nessuna commemorazione di circostanza – conclude Iuculano – quello è un luogo sacro, lì – sotto quell’albero –  riesci a sentire quel sentimento vero e autentico che contraddistingue l’antimafia. Quella vera”.

La memoria, non quella “da calendario”, ci ricorda quanto valga la pena lottare per debellare il marcio dalla nostra Terra, la mafia sanguinaria che si serviva del tritolo per dettare legge è stata sconfitta. Rimangono le ombre e gli interrogativi che i processi non hanno chiarito nonostante l’impegno della magistratura. Ventisei anni dagli attentati che hanno scosso e turbato le nostre coscienze, anni in cui le commemorazioni e le sfilate politiche dovrebbero lasciare spazio alla verità.

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