Dall'emorragia cerebrale alla vita. Claudio Saita: "Interessa il coinvolgimento responsabile che porta al vero cambiamento"

Dall'emorragia cerebrale alla vita. Claudio Saita: "Interessa il coinvolgimento responsabile che porta al vero cambiamento"

di Katya Maugeri

(Storie in prossimità, inchiesta realizzata in collaborazione con la Fondazione Ebbene diretta da Edoardo Barbarossa)

CATANIA – «L’emorragia cerebrale che mi ha colpito il 12 settembre del 2016 poteva condurmi alla morte perché grave e inoperabile. Invece il Nazareno ha voluto che io vivessi». La vita a volte è più prepotente della morte, diventa un gancio al quale aggrapparsi, nonostante i gravi deficit motori e problemi logopedici e i nuovi percorsi da intraprendere: terapie riabilitative alle quali affidarsi per non perdere la speranza. La testimonianza di Claudio Saita, docente universitario è una storia di prossimità preziosa che ci insegna quanto valore – paradossalmente – abbiano la sofferenza e il dolore se metabolizzati e vissuti con fede. Da quel momento, il professore Saita ha raccontato il suo viaggio verso la guarigione e le sue sfide attraverso il suo profilo social e in tantissimi hanno scelto di seguirlo e sostenerlo.

«Quando sono giunto a Messina, al Bonino Puleyo, dopo 18 giorni di coma all’ospedale Cannizzaro di Catania, ero tutto fuori asse e intubato. Per circa due mesi sono stato fra la vita e la morte. Al Bonino Puleyo sono rimasto 16 lunghi mesi ma in quel luogo sono accadute cose inimmaginabili ed in parte indicibili, alcune delle quali moriranno con me. Molte cose le ho raccontate nel mio libro #Andiamo#, libro scritto, sera per sera in ospedale e rielaborato dopo la mia degenza», libro i cui diritti sono stati devoluti all’Istituto F. Ventorino, a Catania, con il vincolo di migliorare la accoglienza ai soggetti disabili. Presentato anche in molte scuole e parrocchie è diventato uno strumento di vita per offrire la propria testimonianza e accogliere quella altrui, «mi sta servendo molto per incontrare le persone. Le persone che incontro sono animate dal desiderio di capire come l’Eterno possa cambiare in “meglio” la vita di un uomo che ha vari deficit ed ha bisogno dell’aiuto degli altri per muoversi. In ospedale, al Bonino Puleyo, ho fatto molte cose e continuo a farle».

Sia in casa che fuori: riabilita se stesso e aiuta gli altri, molti dei quali non conosce nemmeno, «tanti mi scrivono e io, con i miei tempi, rispondo. Sono “un paziente che cura” (la definizione non è mia ma del Primario della anestesia e rianimazione dell’ospedale Cannizzaro, Maria Concetta Monea), ma cura soprattutto un aspetto che riguarda tutti, sani e malati: la tristezza che deriva dalla perdita della speranza. Questo è un problema attuale, fonte di conflitti anche devastanti e di anomia sociale. Pertanto, è su questo problema che mi interessa discutere. Poi è ovvio che sono sensibile, anzi intransigente, nei confronti di varie questioni (come le barriere architettoniche), nei confronti delle quali molti sono distratti o indifferenti. Ma non mi interessa né la pietà né la carità pelosa. Mi interessa solo il coinvolgimento responsabile che porta al vero cambiamento. Poiché il Nazareno ha voluto che vivessi, ho scelto di lavorare prioritariamente nelle “periferie esistenziali”».

Claudio Saita realizza dei progetti di musicoterapia e scrittura creativa all’Ipm di Biccocca, e un corso di musicoterapia che riprenderà nelle prossime settimane con l’associazione “La stella danzante” che si occupa di disturbi del comportamento alimentare e lavora – insieme ad altri – al Convegno annuale della scuola G. La Pira di Pozzallo, sulla “Mitezza” previsto il 10 e 11 gennaio 2020, inoltre il 12 dicembre discuterà di bullismo e cyberbullismo al Cine Moderno di Mascalucia. Una vita recuperata, progetti che prendono forma e sogni realizzati, perché la forza e la speranza sono terapie dell’anima utili a ricucire cicatrici interiori.

«A marzo riprenderò il mio posto – dice orgoglioso – all’Università di Catania, sulla Cattedra di Sociologia per gli psicologi, fra cui ho molte figlie e figli genealogici». È un uomo “de coccio” come si definisce lui perché non ha mai smesso di credere alla sua riabilitazione investendo ogni energia: perché è possibile riprendersi la vita, possono farlo tutti: sani e malati. Serve ri-nascere. Come? «Affidandosi e seguendo le “Sue Orme”. In questo lavoro sto trovando molta compagnia, in particolare di giovani, desiderosi di imparare e di fare esperienza. Forse sta nascendo una scuola di pensiero e di azione per il vero cambiamento. L’unica cosa che mi interessa è che ci possa essere chi, dopo me, faccia meglio di me, ami l’uomo e non le chiacchiere».

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