Dovremo conviverci...

Dovremo conviverci...

di Erica Donzella
editor e scrittrice

“Dovremo conviverci”. Mio padre ha sempre una una frase di riserva da tirar fuori quando sente che il mio umore circumnaviga universi d’ansia infiniti. Eppure mi dice una cosa ovvia, esprime saggiamente ciò che so, che sappiamo da quando il nostro camminare è regolato da misure restrittive, dalla paura e dal divieto di vivere come facevamo mesi fa.

Eppure, nel profondo della mia incredulità, mi chiedo: “Per quanto tempo, ancora?”. Quello che succede a questa umanità afflitta dalla pandemia ha a che vedere con una scarsa rassegnazione rispetto alla realtà: non vogliamo accettare che per ancora chissà quanto tempo non avremo contatti umani veri.

La mano sul cuore ha un valore simbolico anche abbastanza significativo, ma traccia esattamente il confine di un divieto ancora più marcato.

Cosa è una persona senza il contatto con l’altro da sé?

Mi rendo conto che sin qui avevo ignorato l’importanza della fisicità, della prossemica che delimitava, in maniera naturale,  la distanza da qualcuno che non fossi io. Quante volte, nella vita di prima, in quella assediata dalla velocità tecnologica, dalla convenzione sociale superficiale, abbiamo ignorato il corpo di chi ci stava accanto?

Quante volte ci siamo girati dall’altro lato del letto per via di litigi in fondo risolvibili, quanti abbracci abbiamo mancato per virtù di conflitti mai appianati con chi amavamo davvero?

Credo che questa riflessione sia balenata in mente a ognuno di noi in questi mesi. Abbiamo messo in fila, a rigor di memoria, le occasioni sprecate e fatto ammenda degli errori commessi verso i corpi degli altri. Ci siamo resi conto che il nostro corpo da solo non basta a se stesso, che forse abbiamo davvero necessità di mescolarci silenziosamente con altre persone, in quel grande caos che è la vita nel mondo, in relazione e mai davvero solitario.

La distanza fisica mette a dura prova la mia umanità, e lo farà per molto tempo, perché sono un animale sociale, progettato geneticamente per fondermi con gli umori e gli odori molecolari di chi mi sta vicino, a prescindere dal tipo di rapporto che mi lega a qualcuno.

Ma, dobbiamo conviverci, appunto. Siamo dentro una narrazione che detta la distanza sociale come salvezza e non possiamo che sottostare alla regola. Sogno però il momento in cui i corpi torneranno a creare attrito nell’aria e spero che sia solo per amore. 

Sogno di toccare chi amo senza il timore di innescare un problema, di stringermi al viso di mio padre dicendo: “Avevi ragione”.

Send a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *