Droga e detenzione, dal carcere alla comunità di recupero

Droga e detenzione, dal carcere alla comunità di recupero

di Katya Maugeri

COSENZA – La realtà carceraria racchiude molteplici storie. Alcune caratterizzate da disagi, abbandoni, traumi, altre da scelte volontarie, strade sbagliate intraprese consapevoli del rischio. Gesti che raccontano una rivalsa sociale o semplicemente il disinteresse nel voler trovare strade alternative.

Una percentuale, quella che raggiunge quasi il cinquanta per cento è quella dei detenuti tossicodipendenti, una realtà a sé stante all’interno dell’universo penitenziario del nostro Paese.  La pena detentiva per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza, dovrebbe essere scontata in “istituti idonei per lo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi”.

Le comunità terapeutiche nelle quali vengono accolti con misure alternative al carcere detenuti tossicodipendenti puntano sulla rieducazione fuori dalle sbarre, umanizzando la pena, migliorando così, le condizioni di persone che si trovano in difficoltà proponendo una alternativa alla cella, offrendo la miglior cura possibile con la prospettiva di un reale inserimento socio lavorativo.

“Dal 1990 la nostra comunità accoglie anche detenuti tossicodipendenti, per rispondere alle richieste di persone che venivano arrestate e soffrivano di dipendenza da stupefacenti – spiega Salvatore Monaco, responsabile della Comunità il Delfino – centro Eden di Cosenza – la nostra comunità nasce dalla volontà dell’allora vescovo di Cosenza e di un gruppo di volontari che credevano fortemente nelle risorse dell’uomo, spostando così l’attenzione dalla droga all’uomo. Nel corso degli anni il gruppo di valorosi volontari si è trasformato in una nutrita squadra  di professionisti: psichiatri, educatori, psicologi, assistenti sociali. oggi è una cooperativa sociale di tipo A e opera oltre che nella tossicodipendenza anche negli ambiti dell’immigrazione, disagio psichico e dipendenze in genere”.

L’uso e l’abuso di droghe porta spesso a delinquere, ricavare in maniera facile e immediata il denaro per potersi garantire la dose quotidiana spinge moltissimi giovani verso un tunnel più grande di loro: lo spaccio, le rapine, la violenza, annebbiati dagli effetti di sostanze che giorno dopo giorno divorano la loro vita.

“Tramite i loro legali – continua Monaco – ottengono la possibilità di intraprendere una detenzione alternativa da effettuare in comunità, in collaborazione con l’Uepe – ufficio esecuzione pene esterne – che stabilisce il percorso riabilitativo alla dipendenza e l’aspetto legale”.

Storie – che racconteremo nei prossimi giorni – legate a una profonda solitudine, all’incapacità di affrontare una realtà difficile, disagiata, quella vissuta nei quartieri del centro storico di Cosenza, in cui la sopravvivenza è data dalla capacità di vivere secondo le leggi della strada, quella che secondo il loro punto di vista garantisce la libertà e il rispetto. Famiglie assenti che non trasmettono alcun valore umano, carenze affettive, abusi fisici e sessuali – che alimentano un sentimento di odio nei confronti della società e che proiettano nel mondo esterno con la ribellione – e portano i giovani a manifestare un tratto di personalità antisociale, quindi manipolazione, aggressività, ovvero la caratteristica di ottenere le cose alzando la voce.

“Il percorso è basato sui loro bisogni, meno rigido – spiega Monaco – strutturato a dimensione della persona: un uso accurato del telefono solo in alcune fasi della giornata, lavoriamo, inoltre, in stretto contatto con il Serd, il servizio per le dipendenze patologiche, attenendoci a dei protocolli di intervento, alle terapie sostitutive come ad esempio la somministrazione del metadone che va a sostituire l’oppiaceo, necessario per attuare uno scalaggio graduale fino ad arrivare a un momento di astinenza, la più leggera possibile e svincolare, così, la persona dalla dipendenza”.

Una detenzione alternativa per realizzare un nuovo contenitore, ovvero costruire giorno dopo giorno una vita con delle regole, con dei margini da rispettare. “Loro provengono da vite senza regole – continua Monaco – senza confini, e tendono molto spesso a delegare i loro bisogni, invece durante il nostro percorso si insegna il concetto di responsabilità, la cura di se stessi, e lavorare su nuove relazioni.

Sono persone molto resistenti al cambiamento, tendono a trovare i difetti negli altri e mai in se stessi, attribuiscono colpe solo alla società, all’operatore che secondo loro non li aiuta abbastanza, al loro avvocato, le responsabilità, insomma non sono mai le loro. Il nostro compito è quello di far comprendere che devono mettersi in gioco in prima persona per cambiare le altre cose, un percorso difficile da attuare, lo so, ma è necessario ed è quello che farà la differenza”.

Il loro piano giornaliero prevede attività culturali, terapie di gruppo, attività sanitarie, pulizie dell’ambiente in cui vivono, tutto quello che caratterizza una quotidianità serena, una rieducazione umana nel rispetto dei luoghi da condividere con gli altri compagni: il giardino da coltivare, un forno da utilizzare per preparare delle pizze, quell’aria di libertà che serve per ossigenare la loro anima e depurarla dal marcio.

“Le personalità che riescono ad ottenere un reale beneficio dal percorso intrapreso, sono quelle che alla base hanno degli stimoli importanti, forti: dei legami affettivi, dei figli, un lavoro che li aspetta. In loro chiaramente vive una motivazione che li spinge verso il cambiamento radicale e definitivo tanto da diventare persino operatori nei servizi delle comunità. Altri, purtroppo, non riescono e sono quelli a cui vivacchiare non dispiace, e una volta fuori torneranno nuovamente a delinquere perché non riusciranno a superare il muro dei pregiudizi, la precarietà lavorativa e ritorneranno a percorrere la strada più facile, non quella giusta”.

C’è l’uomo su tutto, la persona, l’umanità sopra ogni cosa: è questo l’elemento cardine di ogni percorso. Chiaramente il recupero del tossicodipendente autore di reati è proposto come alternativa alla classica detenzione, ma rimane pur sempre una sanzione da vivere come tale, con impegno e con la consapevolezza dei propri sbagli. Ma la speranza è intrisa di umanità, “accogliamo i detenuti umanamente – conclude Monaco – e lavoriamo con obiettivi per avvicinarci sempre di più alla condizione di persona”.

Send a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *