Due scenari di ripresa economica per la Sicilia nel 2021, ma per quest'anno è crisi profonda

Due scenari di ripresa economica per la Sicilia nel 2021, ma per quest'anno è crisi profonda

di Saro Faraci

Sicilia. Gli scenari economici possibili per il 2021 sono due. Entrambi ipotizzano una inversione di tendenza a partire dalla primavera, quando la pandemia comincerà a declinare.

Il primo scenario è quello più favorevole. Il prodotto interno lordo (PIL) della Sicilia è stimato crescere del 4,2% che, dal punto di vista monetario, equivale ad una ripresa di 3,5 miliardi di euro. Il PIL pro capite risalirebbe a 16.549 euro, in pratica 800 euro in più rispetto all’annus horribilis del 2020.

Anche i consumi delle famiglie sarebbero destinati a crescere del 4,9% lievitando così di circa 3 miliardi di euro rispetto a quelli attuali. L’ammontare della spesa per abitante ammonterebbe a 13.158 euro recuperando 690 euro sul 2020.

Sul fronte degli investimenti, il segmento delle costruzioni crescerebbe del 6,7%. Sul versante produttivo, l’industria crescerebbe del +5,2% con un guadagno di 350 milioni di euro. Nei servizi si dovrebbe vedere un po’ di più luce con un incremento del 4,1% e un recupero di € 2,5 miliardi.

Il secondo scenario è quello meno positivo. Il recupero del PIL è previsto aggirarsi intorno al 2,9%. Il PIL pro capite sarebbe così di 16.355 euro, mantenendo un divario rispetto al 2019 di 1.664 euro, contro i 1.499 euro dello scenario precedente.

Sulla stima al ribasso del prodotto interno lordo, concorrerebbero in misura diversa tutti gli indicatori della domanda e della produzione. Ad esempio, i consumi famigliari aumenterebbero del 3,5%, con un gap monetario di 6,1 miliardi di euro rispetto al 2019. In una situazione del genere, l’occupazione scenderebbe a 1.210.000 unità.

La disoccupazione arriverebbe al 22,6%.

In pratica, il differenziale negativo fra il 2021 e il 2019 sarebbe dell’8,8% assumendo il primo scenario, mentre sarebbe prossimo al 10% nello scenario meno favorevole.

Se non ora quando?

Sono questi i principali indicatori di sintesi del 52° Rapporto Analisi Previsionale sull’economia siciliana elaborato dal DISTE – Dipartimento Studi Territoriali, di cui è Presidente del comitato scientifico il prof. Pietro Busetta dell’Università degli Studi di Palermo. Il titolo del report è “Se non ora quando”, evocativo della necessità di far subito e presto per evitare che i danni all’economia siciliana, di per sé molto fragile, siano irreversibili.

Il report è stato discusso anche in occasione di un seminario organizzato l’altro ieri dall’Ordine dei giornalisti di Sicilia in cui si è affrontato il tema delle fake news di tipo economico in tempi di Covid-19. Ad esempio, i dati vengono snocciolati praticamente a cadenza ormai settimanale, alimentando talora ottimismo talaltra pessimismo. Non mancano le bufale e spesso si fa confusione.

Come, ad esempio, quando non si tiene conto della distinzione fra struttura e congiuntura, ha precisato il prof. Busetta. Una cosa è la lettura dei dati inerenti il momento storico che si sta attraversando; altra cosa è la ricognizione dei dati inerenti lo stato di salute complessiva dell’economia, anche prima del Covid-19.

In questo senso, la Sicilia era già strutturalmente debole, ancora prima della pandemia. “Già  prima dell’invasione del Covid19 l’economia era adagiata sul fondo di un ciclo recessivo durato quasi ininterrottamente dal 2008”, puntualizza il DISTE nell’introduzione al rapporto.

Il “conto salato” del 2020

Quanto si perderà in questo annus horribilis della pandemia? Le stime del DISTE sono anche più pessimistiche delle valutazioni finora esitate da altri istituti di ricerca nazionali. La Regione Siciliana, nel recente Piano Regionale per la Ripresa e la Resilienza, ha previsto una contrazione del PIL del 7,8%. Il gruppo di ricerca coordinato dal prof. Busetta si spinge oltre.

Quelle del DISTE sono infatti proiezioni di consuntivo, non previsioni. Per il 2020 si stima un crollo del PIL del 12,5%. Considerato che il prodotto interno lordo della Sicilia valeva poco più di 86 miliardi di euro nel 2019, questa perdita sarebbe di 11,7 miliardi di euro. Il PIL pro capite scenderebbe così a 15.749 euro, ben 2.250 euro a testa in meno rispetto all’anno precedente.

Bisogna attendere a fine anno, e dunque a consuntivo, per conoscere di quanto il PIL si sarà effettivamente ridotto. Tuttavia, per avere un ordine di grandezza della gravità del momento, basti ricordare che nel periodo 2008-2019, per la Sicilia  la più prolungata recessione del dopoguerra, la perdita in termini monetari è stata di 650 milioni di euro. Questa volta sarebbe di 18 volte superiore e soltanto in un solo anno!

Un’altra dura botta per l’economia regionale è data dal crollo dei consumi. In volume, questi arretrerebbero di 11,8% rispetto al 2019, registrando una perdita che vale 8,3 miliardi di euro. L’ammontare dei consumi per abitante scenderebbe così a 12.467 euro, cioè a 1.588 euro meno dell’anno prima. Le misure di sostegno all’occupazione e al reddito, varate dal governo a più riprese, hanno arginato la caduta dei consumi, ma non hanno impedito la povertà.

E qui una altra voce del “conto salato” del 2020 per l’economia. Secondo valutazioni del DISTE, l’area della povertà in Sicilia si sarebbe ingrandita a circa il 25% dei due milioni di famiglie residenti nell’isola.

Poi c’è la contrazione degli investimenti: del 18,7% per i beni strumentali, pari a 1,1 miliardi di euro; del 7,8% per le costruzioni, con un calo della spesa di 530 milioni.

Il macrosettore dei servizi ha perso il 13,6% del valore aggiunto. Nella voragine sono cadute tutte le attività legate a turismo, ristorazione, commercio, attività artistiche e spettacoli. Il solo comparto degli alberghi e della ristorazione ha perso il 46,7%, pari a 1,5 miliardi di euro. Il commercio ha risentito della crisi da pandemia per 4,1 miliardi di euro con un crollo del valore aggiunto del 41,4%. Nei restanti servizi, per lo più esentati dalle norme di chiusura, la flessione sarebbe del 6,7% con una perdita di 4 miliardi di euro.

E’ andata male pure al settore manifatturiero. La flessione attesa è dell’11,4% con una perdita di 550 milioni di euro. Perdita per 100 milioni, pari al 4,5% in meno del valore aggiunto, per le altre attività industriali. Tutto il ramo dell’industria avrà una flessione dell’8,9%.

L’agricoltura, insieme a zootecnia e pesca, dovrebbe chiudere l’anno con una perdita del 2,1% e un passivo nel complesso più modesto rispetto agli altri settori, cioè 30 milioni di euro.

Il mercato del lavoro

Il problema economico più grosso in Sicilia rimane l‘occupazione. Lo era anche prima del Covid-19, lo è da sempre potremmo aggiungere. Si tratta di un problema strutturale.

Per quest’anno, ci sarà una flessione dell’occupazione del 3,2%. Avrebbe potuto essere superiore, se il governo nazionale non avesse varato il provvedimento di blocco dei licenziamenti. Sul mercato del lavoro regionale, si è registrata pure una riduzione dei tassi di partecipazione e ciò ha fatto scendere il tasso di disoccupazione dal 20% al 17%.

Una volta cessati gli effetti dello stop ai licenziamenti, nel 2021 – assumendo lo scenario favorevole fra i due prospettati dal DISTE – la consistenza degli occupati in Sicilia potrebbe scendere ulteriormente del 6,6%, cioè a 1.233.000 persone rispetto alle 1.330.000 attuali. Nel frattempo, la disoccupazione dovrebbe risalire al 21,9%. Un’ecatombe.

Queste le principali conclusioni del report del DISTE che in ciascuna sezione del documento approfondisce ad uno ad uno gli argomenti prima accennati.

Povertà e consumi

Ad esempio, a chi fosse interessato a capire quanto pesa la povertà in Sicilia il DISTE comunica di aver stimato una crescita della povertà assoluta seguendo le metodologie adottate per calcolarla su scala nazionale.

Nel 2019, le famiglie siciliane ricadenti in stato di bisogno erano oltre 200 mila, il 10% del totale contro il 10,9% dell’anno prima, mentre i componenti in precarie condizioni economiche superavano le 580.000 unità pari all’11,8% dei residenti. La leggera riduzione dell’area di povertà è da ricondurre alle famiglie meno abbienti che hanno beneficiato del reddito e della pensione di cittadinanza.

Secondo le stime del DISTE, risulterebbe allo stato attuale una copertura del reddito e della pensione di cittadinanza all’85% delle famiglie in povertà assoluta e al 71% delle persone povere. Il Covid-19 ha fatto deteriorare le condizioni economiche delle famiglie. Adesso la povertà assoluta si è allargata a 500.000 famiglie

Chi avesse invece interesse a capire come è avvenuto e quali implicazioni ha avuto il crollo dei consumi in Sicilia trova risposta in altre pagine del report. In generale nel comportamento delle famiglie siciliane c’è stato un atteggiamento di massima prudenza per la spesa, seppur in modo asimmetrico nelle varie voci del paniere. La richiesta di servizi, ad esempio, ha avuto un tracollo che non ha precedenti nel dopoguerra. Alberghi, ristorazione, trasporti aerei, servizi ricreativi e culturali; ma anche la domanda di beni e servizi per la casa e la cura della persona hanno registrato una marcata contrazione degli acquisti.

La spesa alimentare ha avuto una discesa molto più lenta, anzi all’inizio della pandemia ha registrato un aumento, un po’ per la corsa alle scorte, un po’ perché l’acquisto di generi alimentari sostituiva la spesa per ristoranti. Come effetto del crollo dei consumi, ma anche per l’incertezza sul reddito futuro, la propensione al risparmio ha raggiunto livelli senza precedenti. C’è stato un incremento dei depositi del 6,2% secondo Banca d’Italia, come avevamo scritto in un precedente nostro articolo di presentazione dell’ultimo andamento congiunturale per l’isola.

Un ritorno indietro agli anni novanta

Per chi si appassiona di più sull’andamento del mercato del lavoro, il report del DISTE dedica un interessante approfondimento.

Aiuta a rendersi conto che il problema del lavoro rimane in Sicilia di tipo strutturale. Già prima della comparsa del coronavirus, l’occupazione era tornata ai livelli degli anni ’90, quindi a quella di trent’anni fa. Il livello massimo di occupazione si era registrato nel 2006 con 1.494.000 occupati; quello minimo nel 2014 con 1.322.000. In mezzo c’era stata la crisi finanziaria del 2007/2008 che ha causato molte ferite all’economia mondiale e ovviamente non ha risparmiato nemmeno la Sicilia.

Soltanto in quest’anno, la perdita netta di posti lavoro dovrebbe assestarsi intorno a 45.000 unità. In particolare la flessione sarebbe dovuta in prevalenza alle lavoratrici impiegate a tempo parziale e determinato nelle strutture alberghiere, nei ristoranti e nelle attività commerciali.

Le imprese, motore di sviluppo dell’economia

Quelli del DISTE sono dati generali relativi all’economia regionale nel suo complesso. Per interpretarli ulteriormente andrebbero “farciti” con i dati sulle imprese private, il motore dello sviluppo di qualsiasi economia.

In Sicilia, secondo gli ultimi dati di Movimprese al terzo trimestre del 2020, le imprese sono 373.941. Addirittura nei primi nove mesi dell’anno, il numero delle nuove iscrizioni (5.202) ha superato quelle delle cessazioni (2.810). Sono dinamiche abbastanza fisiologiche nell’ambito dell’imprenditorialità che, per quanto positive, mal celano quello che sta accadendo a molte imprese, specialmente le piccole e piccolissime.

Molte di loro sono a corto di liquidità, nonostante si siano indebitate per oltre 3 miliardi di euro di prestiti garantiti col sistema bancario. Per tantissime imprese, la chiusura forzata per diversi mesi ha ridotto i ricavi di vendita, ma non ha impedito di arrestare la crescita di alcune voci di costo aziendale.

A conti fatti, per queste imprese il conto del 2021 potrebbe essere ancor più salato di quello dell’annus horribilis. Basteranno le risorse del Recovery Fund, e il modo in cui saranno impiegate per la ripresa economica, per evitare ulteriori perdite aziendali oltre a quelle del 2020?

Photo credits: La Sicilia

Send a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *