E per favore non chiamiamolo muro: è una piazza!


 
 
 
Domenico Amoroso

SAN MICHELE DI GANZARIA – Nel piccolo ma vivace comune di San Michele di Ganzaria, si sta in questi giorni consumando una vicenda forse comune a tanti altri luoghi di Sicilia e d’Italia e perciò paradigmatica di un modo di affrontare i problemi, e la crescita, di un abitato e della comunità che lo anima, tra scelte, magari non troppo ponderate, tardive considerazioni, nascita di un dibattito apparentemente democratico, in realtà tirato qua e là da sentimenti emotivi e magari non del tutto disinteressati, decisioni salomoniche che anziché mediare, o premiare l’una e l’altra parte in gioco, “uccidono” il neonato e via al prossimo “incidente di percorso”. E’ stata data recentemente notizia dalla stampa del nulla osta concesso dalla Soprintendenza di Catania all’abbattimento di una parte notevole della recente sistemazione urbanistico-architettonica della piazza Antonino Gravina di San Michele di Ganzaria sulla base di considerazioni estetiche e di una “non accettazione” del manufatto da parte della cittadinanza. L’antefatto è uno spazio non definito posto alle spalle delle Scuole pubbliche – progettate da un valido architetto dell’eclettismo novecentesco – che si aprono su di esso con una facciata assolutamente priva di particolari caratteristiche, evidentemente destinata a non essere vista; uno spazio circondato da edifici anonimi ed esso stesso più simile ad area di risulta che spazio urbano. Avulso dai percorsi principali che pure gli sono tangenti e dalla stessa percezione di chi percorresse le vicine strade, forse per taluni è rimasto nella memoria come uno scampolo agreste, luogo di giochi in libertà e di presenze famigliari. Anni fa, per iniziativa dell’Amministrazione comunale del tempo, questo spazio viene riprogettato, risolvendo dei grossi problemi di viabilità, morfologia, vivibilità, qualificazione, attraverso un linguaggio architettonico del nostro tempo ma che nello stesso tempo dialoga con le preesistenze, certo non in maniera banalmente mimetica, ma forte e autorevole. Per successive ed immediate conseguenze legate al mutare delle vicende cittadine,alla realizzazione dell’opera, vengono però a mancare quelle azioni successive atte e necessarie ad un corretto inserimento di questa parte al resto della città. La piazza che si veniva a creare infatti, una volta terminata con le pietre, avrebbe dovuto essere “riempita” di significati, di sentimenti e di azioni che rendono i luoghi vivi e memorabili. Cioè della presenza di bambini, ragazzi, adulti, anziani che, usandola per come essa permette, avrebbero potuto e dovuto arricchirla di quel calore che sembra mancare. Il “luogo”, intitolata intanto piazza Antonino Gravina, diventa invece capro espiatorio, oggetto/parafulmine di tutte le insoddisfazioni, del malcontento, delle strategie del consenso, e del dissenso, attivate negli anni nel centro del Calatino, che pure avrebbe bisogno di un dibattito e di interventi ben più urgenti ed importanti, atti a valorizzare il suo patrimonio, compreso quello immobiliare e naturalistico. Si arriva infine alla decisione di demolire quanto si è costruito, privare quanto verrà risparmiato dalle ruspe della sua logica e del suo linguaggio, per di più vanificando un investimento economicamente non da poco. In verità, senza che ci se ne renda conto, a San Michele di Ganzaria, sta accadendo qualcosa che fuoriesce dalla cronaca paesana e assume un valore emblematico ed esemplare che pone questo caso all’attenzione di una platea giudicante molto più ampia e qualificata. Ci si domanda, non senza apprensione, se sia lecito e non invece molto pericoloso affidare il giudizio “estetico” su un’intervento architettonico come questo, opera di un progettista tra i più rilevanti nel panorama italiano ed oltre, a gusti personali o di una non meglio definita “cittadinanza”; soprattutto quando il manufatto non è stato valorizzato, utilizzato e mantenuto. In questo quadro stupisce, ma non sorprende, il Nulla Osta della Soprintendenza, a volte così vigile su casi assai meno eclatanti. Anche lo smontaggio e la riutilizzazione dei “pezzi”, sembrano un escamotage privo di senso e avvilente. Ed infine: non è uno spreco, doppio, di denaro e di forze che potrebbero essere assai meglio incanalate? Amaro sarebbe, come peraltro spesso accade a chi visita o si informa su luogo, leggere su un futuro testo di storia cittadina e, perchè no, di architettura: “ in San Michele di Ganzaria, a Piazza Antonino Gravina, sorgeva fino all’anno …. una pregevole opera di architettura contemporanea…..”

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