Erica la geologa, dalla ricerca universitaria alla vocazione di prendersi cura dei beni culturali

Erica la geologa, dalla ricerca universitaria alla vocazione di prendersi cura dei beni culturali

di Saro Faraci “il Professorista”

Sesta puntata di #startupmystory. Questa volta raccontiamo una storia di impresa al femminile o, se volete, prevalentemente femminile. Protagonista è Erica Aquilia, 35 anni, laurea specialistica in Scienze Geologiche, promotrice di un’iniziativa imprenditoriale che è maturata come spin off all’interno dell’Università di Catania.

-Erica Aquilia, intanto si presenti velocemente.

«Nel 2008 ho conseguito la laurea specialistica presso l’Ateneo di Catania, in Scienze Geologiche e lo stesso anno ho vinto una borsa di dottorato in Petrografia e Petrologia. Dalla tesi specialistica in poi ho intrapreso un filone di ricerca poco comune rispetto a quelli da geologo classico, direi per certi versi di nicchia. Mi occupo, infatti, di diagnostica applicata ai Beni Culturali, studiando in dettaglio i materiali al fine di conservarli al meglio. Se dovessi definirmi, direi che prima ero un “topino da laboratorio”, innamorata del suono melodico delle apparecchiature  all’opera, ma una volta intravista la luce del sole ne sono rimasta abbagliata, non riuscendo più a farne a meno. Amo tutto ciò che ha una storia e mi appassiona ricercarne il significato»

– Qualche anno fa, lei e le sue colleghe avete partecipato ad una business plan competition della Fidapa e avete vinto la competizione con la vostra idea imprenditoriale. Di cosa si trattava e quanto è stata importante quella esperienza nel Vostro cammino successivo?

«Sì, un bel giorno sbirciando su Internet è saltato fuori un bando molto interessante per  “start up al femminile”. Così, con altre due colleghe ed amiche, abbiamo tirato su un gruppo e messo concretamente sul tavolo le idee che ci frullavano in testa. E’ nata così Portable Lab e aggiungerei tra sogni, deliri e paure. La nostra idea di start up è stata selezionata dal Politecnico di Torino nell’ambito della competizione nazionale per idee Start Up promossa dall’associazione Fidapa, come vincitrice per il Distretto Sicilia e per questo premiata il 23 Giugno 2015 a Milano all’interno delle manifestazioni EXPO “Women for EXPO, B To B”. Quanto è stata importante questa esperienza? Tantissimo. Per una come me, abituata ad aspettare qualche idea brillante prima di mettere sul tavolo le carte, avere una scadenza e saper di dover organizzare un business plan entro una data è stato fondamentale»

– Lei ha intrapreso un dottorato di ricerca e con altre colleghe avete promosso uno spin off dell’Università di Catania. Ci dica la verità, è un ripiego fare attività imprenditoriale dopo un dottorato oppure è un’occasione utile per provare a fare trasferimento tecnologico?

«Sinceramente credo che il momento storico in cui io e la mia socia abbiamo conseguito il dottorato non è certo stato uno dei più favorevoli. Ma per me la ricerca è vita e questa, per essere definita tale, deve essere piena ed appagante. Ecco, trasformare le mie idee in qualcosa di concreto con tenacia, stupore, determinazione e costanza, mi fa sentire fiera di me stessa. Fare spin off, per quanto potrei aprire un capitolo sui “pro e contro”, è stata un’occasione per provare a fare ciò che sembrava, dall’interno del mondo accademico, un ‘utopia, ovvero portar fuori i “trucchi” che con tanta passione si erano appresi all’interno, provando a svecchiare un mondo fatto di procedure standardizzate»

– In altri termini, c’è una contaminazione positiva fra ricerca accademica e attività imprenditoriale ad essa collegata, nel senso che l’una influenza l’altra e viceversa?

«Si, la contaminazione positiva c’è; i contenuti sono molto più interessanti. Preferisco però parlare di “ricerca” in senso lato piuttosto che di ricerca accademica, perché in tre anni di attività di impresa posso affermare con forza di aver trovato anche molti ricercatori fuori dall’ambito accademico. Questo perché, a mio modo di vedere, il nostro sistema universitario andrebbe certamente potenziato nella creazione di rapporti con le imprese che operano nel territorio. Imprese che il più delle volte hanno ospitato validi ricercatori che, per ragioni strutturali non sono stati assorbiti dal sistema universitario»

– E dunque la classica domanda che facciamo a tutti. Si ritiene imprenditrice per vocazione, per passione, per necessità o cos’altro?

«Per rispetto della mia indole mi definirei un’ imprenditrice per passione. La stessa passione che a volte mi ha spinta a vincere la paura e fare passi più grandi di me, come se qualcosa dall’interno mi manovrasse. Forse parlerei di intuizioni»

– Come si chiama la Sua start up e cosa fa?

«La mia società si chiama PortableLab Geology & Engineering s.r.l. e nasce a Catania il 4 luglio del 2016 come spin-off accademico del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, sezione Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Catania. Opera nel settore dei servizi per l’innovazione ed il trasferimento tecnologico rivolgendo particolare attenzione agli ambiti dei Beni Culturali, dell’edilizia e dell’ambiente»

– Chi la collabora più direttamente in questa attività imprenditoriale? In pratica, chi sono gli altri membri del team?

«L’attuale compagine sociale è composta da quattro soci, due donne e due uomini. Di me vi ho già parlato. Al mio fianco c’è la dottoressa Cecilia Spampinato, professionista affidabile ed instancabile lavoratrice, mia socia storica, con cui ho iniziato questa avventura e con cui condivido, nonostante il filone di ricerca sia diverso, il percorso formativo. Cecilia è laureata in Scienze Geologiche presso l’Università degli Studi di Catania nel Dicembre del 2007 ed è dottore di Ricerca in Geodinamica e Sismotettonica dal 2012; all’interno di PortableLab si occupa specificatamente della sezione di diagnostica ad immagine, geomatica e GIS. Poi c’è il dottor Aldo Missale, laureato in Economia e Commercio, coordinatore dell’area di trasferimento tecnologico dell’ Università, esperto di pianificazione e programmazione di politiche per lo sviluppo e l’occupazione, conoscitore di tecniche di valutazione economica di impatto delle nuove tecnologie nei vari settori di interesse. Da sempre parte attiva nella PortableLab, fin dall’inizio nostro “coach” nel percorso da seguire per diventare imprenditrici, entra a far parte della società, come socio effettivo, a luglio del 2017, esattamente un anno dopo la sua costituzione. Io lo definisco un “business developer”. Infine, c’è il dottor Giuseppe di Dio, laureato in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Catania e dottore di Ricerca in Economia Aziendale. Si occupa principalmente dell’area dedicata allo sviluppo di progetti di innovazione attraverso la partecipazione a bandi comunitari e pianificazione strategica per progetti complessi di innovazione. E’ il nostro punto di riferimento per tutto ciò che concerne quest’ambito»

– Avete usufruito di programmi di mentoring e supporto, ad esempio quelli di incubatori ed acceleratori?

«No, nessun programma di mentoring riconosciuto, se non quello validissimo del dottor Missale svoltò però sul campo»

– Avete fatto tutto con risorse finanziarie vostre oppure avete potuto contare anche sull’apporto di investitori? E le banche? Vengono incontro alle start up oppure no?

«L’unico apporto finanziario esterno è stato quello proveniente dal premio Fidapa, interamente impiegato nella costituzione della società, poi nessun altro finanziamento. A dire il vero è stata una scelta quella di non ricercare investitori né di chiedere finanziamenti alle banche. L’unica cosa su cui abbiamo fatto affidamento sono state le nostre energie, la nostra faccia tosta (e ce ne vuole tanta), la professionalità ma soprattutto la tenacia e la costanza. Come qualcuno continua a ripetermi sempre “bisogna cercare nuovi clienti” e per fare questo è necessario agire, mettersi in movimento»

– E’ un team il Vostro fatto prevalentemente da donne. Ci si chiede spesso qual è il valore aggiunto della cosiddetta “imprenditorialità rosa” al femminile rispetto ad analoghe esperienze avviate in prevalenza da uomini. Cosa ci dice?

«Ormai sono veramente tante le donne che si mettono in gioco, per cui non amo parlare di “imprenditoria rosa” e preferisco risponderle che sia donne che uomini apportano nell’imprenditoria le proprie conoscenze. Che poi le reinterpretino in modo diverso, quella è la natura»

– Avete concorrenti nel Vostro mercato?

«Pochissimi, soprattutto nel territorio siciliano. È ancora un servizio di élite fatto e richiesto da pochi. Però posso dirle, dall’interno, che le cose stanno cambiando e la gente è sempre più aperta all’innovazione»

– Un consiglio che si sentirebbe di dare ad un aspirante imprenditore…

« Beh, potrei darne più di uno. Gli consiglierei di essere versatile, adattandosi a tutte le situazioni che si presentano, anche quando sembrano volerlo allontanare dall’idea di partenza. Gli direi di essere umile per poter imparare, come fanno i bambini, da tutto ciò che è nuovo, perché i migliori spunti provengono proprio da dove meno te l’aspetti. Gli consiglierei, infine, di scegliere in maniera oculata i suoi compagni di avventura perché la cosa più importante di tutte è circondarsi di persone che credono che i sogni possano realizzarsi, capaci di trovare le motivazioni per un “sì proviamoci” dove gli altri avrebbero detto  “no, è troppo difficile, lasciamo stare!”. Ecco quella è la squadra giusta! Credo che per diventare un imprenditore, in questo momento storico, bisogna armarsi di follia, animo positivo e tanta creatività»

– Ultima domanda. Ma secondo Voi Catania è un ecosistema per le start up oppure ne ha solo le potenzialità?

«Catania è una città che potenzialmente potrebbe dare molto, ma purtroppo bisognerebbe svecchiare la classe dirigenziale delle principali istituzioni amministrative, parlo della Regione Siciliana, dei principali comuni siciliani ed anche delle Università presenti nella nostra regione, per dare spazio davvero alle start up. Non le nascondo che a volte ho avuto l’impressione, confermata in parecchi casi,  che dietro nuovi prodotti o servizi si nascondessero sempre le stesse facce che provano ad usare bandi o competizioni solo per accrescere il loro patrimonio a danno di chi crede nel merito e nella libera concorrenza. Per cui ancora l’ecosistema può migliorare, ma è importante eliminare le incrostazioni che derivano dal passato»

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