Fino all’ultimo piatto di spaghetti


 
 
 
 
 
 

| Salvo Reitano |

Qualche giorno addietro, giocando con i tasti del telecomando nella pigrizia di un pomeriggio, ci siamo imbattuti in un vecchio film di Totò dove il grande attore napoletano, ballando una tarantella sul tavolo, infila in bocca ma anche in tasca manciate di spaghetti.
E subito il pensiero è andato al presidente Donald Trump e al nuovo corso della  politica americana che ha pensato bene, tra le tante insensatezza, di introdurre tariffe d’importazione esorbitanti quale misura punitiva nei confronti dell’Europa che colpisce l’importazione di carne di manzo dagli Usa trattata con gli ormoni. La notizia è di qualche settimana fa e, nonostante si tratti di una vera e propria rappresaglia commerciale,  non ha avuto grande risalto sui media nazionali anche se l’approccio duro al commercio, con dazi fino al 100% su almeno 90 prodotti simbolo dell’eccellenza del vecchio continente, colpisce  molti prodotti italiani.
Tra questi l’iconico scooter, la Vespa Piaggio, e la regina delle acque minerali francesi, la Perrier, ma anche l’acqua minerale San Pellegrino, di proprietà della Nestlé, il Roquefort con altri formaggi francesi, il foie gras, e le moto leggere di fabbricazione europea come le svedesi Husqvarna e le austriache Ktm.
Noi non ci intendiamo molto di economia, lasciamo agli esperti tutte le valutazioni, però ci sembra appropriato un interrogativo paradossale ma non troppo: e se ai missili coreani, che fanno tanto imbestialire il presidente col ciuffo sbarazzino, opponessimo uno scudo di spaghetti di grano duro al ragù conditi con grana a salvaguardia, non si sa mai, del simbolo più chiaro e universale di italianità?
E se in futuro nell’elenco dei dazi posti dall’amministrazione americana ai prodotti nostrani dovessero finire la pasta, il parmigiano, il vino e l’olio d’oliva? Non osiamo immaginare quanto, questa cosa, avrebbe fatto irritare il nostro Totò e pure Sordi, Mastroianni e Tognazzi notoriamente fedeli ad ogni tipo di rigatoni, fusili, spaghetti, orecchiette, tortiglioni, grana, vini e oli pregiati. Chissà quanto se la sarebbero presa nel constatare come i dietologi americani, che da tempo hanno scoperto la salutare dieta mediterranea, non abbiamo mosso un dito intervenendo per tempo presso i vari dipartimenti a stelle e strisce per impedire una simile follia.
C’è un libro che ogni uomo di questo millennio, se uomo vi è ancora, dovrebbe tenere sempre con se: “La tentazione di esistere” di Emil Cioran. Pubblicato nel 1956, in un suo capitolo, “Su una civiltà esausta”, Cioran, che possiamo definire una delle ultime “teste pensanti” europee, scrive parole tremanti sull’Europa ma anche di grande monito ad America e Russia. E cita il poeta William Blake, che assicurò: “Se il sole si mettesse a dubitare si spegnerebbe immediatamente”. E ora l’Europa dubita e si sfalda e la sua eclissi ci sgomenta mentre dall’altra parte dell’Oceano si alzano muri di ogni tipo. Lo chiamano protezionismo. E non è da escludere, visto l’andazzo, che presto il protezionismo americano colpirà anche gli spaghetti al ragù doverosamente ricoperti con del buon parmigiano.
Intanto, indifferenti, i nostri politici discutono e dettano l’agenda politica dei giorni e degli anni a venire ma non ci risulta, in concreto, che abbiamo parlato delle conseguenze catastrofiche dei dazi imposti ai nostri prodotti di eccellenza dall’amministrazione americana. E se lo hanno fatto, hanno minimizzato.
Le guerre doganali umiliano e stordiscono. Si tratte di scarpe o di ciclomotori, di vino o di parmigiano, di arance o rigatoni, di prodotti artigianali o di alta tecnologia. Tutto ciò che entra nei dazi ne esce, quando ne esce, con un marchio d’infamia. Il grande paese americano che blatera ai quattro venti di essere il depositario e il difensore della libertà si difende dalla libertà con le barriere doganali. La loro libertà altro non è che una creatura impura e bugiarda, che scomoda Dio per poi sottomettersi ai vizi del mercato globale.
Leo Longanesi sosteneva che nel nostro tricolore sarebbe stato necessario inserire uno scritto: “Tengo Famiglia”. Potremmo invece inserire un bel piatto fumante di spaghetti, tanto per far capire agli uomini di Wall Street e di Washington che questa non è soltanto una barricata contro i dazi, ma un ideale radicato, emblema e profumo di cose genuine, filosofia e legittima cucina della sopravvivenza. E Dio solo sa come, in questo tempo corrotto e marcio del mercato globale, è difficile sopravvivere.
Penso a Salvador Dalì, che, quando sbarcò per la prima volta a New York, scese dal piroscafo tenendo sotto l’ascella una lunghissima “baguette” di pane. Potrebbe essere una buona idea e un buon esempio per nostri presidenti, ministri e rappresentanti del governo: scendere dal jet di Stato con uno spaghetto senza fine, facendoglielo ben vedere ai doganieri statunitensi. Un colpo di fantasia che potrebbe se non salvarci almeno redimerci. Ma, dubitiamo che nel cipiglio dei nostri rappresentanti possa esserci un solo accenno di fosforo fantastico. Sono facce che recitano e magari piangono, prima di un’elezione, dopo un’elezione, pero sono facce di chi non rispetta il patrio spaghetto al dente. E ci assale una tristezza infinita.
Domanda, prima di chiudere il discorso: perché non distribuire negli “States” qualche fotogramma del film  dove Totò, ballando una tarantella, infila in bocca in tasca e perfino nel taschino manciate di spaghetti, simbolo di vera fame e di auspicabile pace futura? Chi vuole intendere, intenda. Gli altri corrano pure all’hamburger, noi ci teniamo gli spaghetti.

 

Send a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *