Saro Faraci
FLERI – Fa freddo e nevica questa mattina a Fleri, la frazione di Zafferana Etnea colpita dal terremoto di Santo Stefano, ma le sciocchezze della disinformazione sono fioccate giù anche prima, nei giorni scorsi quando c’è stato il sole. Il ritorno alla normalità è una attività difficile per tutti, figuriamoci per quelli che – come i residenti di Fleri, ma anche di Pennisi, Fiandaca e delle altre zone interessante dall’evento sismico – la normalità dovranno trovarla per il momento in un contesto diverso da quello in cui fino alla sera di Natale l’avevano coltivata come sempre in famiglia, con i parenti e gli amici. Perchè in questi luoghi si è sempre vissuto in modo assolutamente normale e si è sempre trovato il giusto modo per convivere in maniera altrettanto normale con i rischi naturali legati ai terremoti e alle eruzioni. Vivendo ai piedi dell’Etna ci si comporta così, allo stesso modo in cui ci sono altre aree critiche in altre parti del mondo dove la situazione è la medesima. E’ inutile fare “retorica del nulla” affermando disinvoltamente che bisognerebbe andare a stare da qualche altra parte. E dove, precisamente?
Fleri, dunque, riprova a riprendere la normalità. Non è facile, non lo sarà. Il terremoto di Santo Stefano è stata una combinazione deleteria di magnitudo, intensità e superficialità della scossa delle 3.19; l’energia che si è liberata, apparentemente modesta, però è come se si fosse moltiplicata, tant’è che l’accelerazione della scossa l’hanno sentita in modo chiaro tutti; l’impatto è stato ovviamente diverso, a seconda delle tipologie costruttive e delle zone in cui case ed edifici sono ubicati. Finiamola con la storiella dell’anti-sismicità non rispettata. Lo sanno tutti, geologi, vulcanologi, ingegneri, tecnici del Genio Civile, e così via che, mediamente, nelle zone etnee le case sono state costruite e ricostruite a norma, adeguandole ai criteri di anti-sismicità. Qui ci sono stati due terremoti, nel 1984 e nel 2002, e sempre per fortuna senza vittime. Lo sanno bene anche le imprese edili, piccole o grandi, che si tramandano di generazione in generazione, quasi fosse una conoscenza tacita, la prassi di “ittari chiù cimentu” a sostegno di travi e pilastri. Il terremoto è stato di impatto, mettiamola così. E per fortuna che l’impatto non è stato letale per via di quella energia poi moltiplicatasi. Se si parla con i tecnici incaricati dei sopralluoghi nei vari edifici in questi giorni, raccontano che sono crollati tramezzi e pareti divisorie nella maggior parte dei casi; è saltata qualche tubatura; si sono inclinate alcune scale interne ed esterne; i tetti di alcune case si sono lesionati. Ma gli edifici hanno retto, non ci sono macerie. Perchè dunque continuare a spettacolarizzare l’informazione, senza fondamenta di scientificità, come se tutta la gente dovesse abbandonare in massa nel 2019 un intero versante della Sicilia Orientale, solo perchè vive nelle vicinanze di un vulcano attivo?
In alcune trasmissioni salottiere delle tv nazionali, invece, ospiti e presunti esperti vengono reclutati per spettacolarizzare l’informazione, che poi non diventa più informazione, ma propaganda quando si fanno passare messaggi come quelli che la gente dei luoghi etnei spende i propri soldi per rifarsi la cucina o la stanza da letto, senza invece consolidare pareti, tetti e tramezzi delle proprie case. Gli autori di queste trasmissioni televisive, prima ancora dei loro disinvolti conduttori, si rileggano bene e approfondiscano adeguatamente note tecniche e pareri scientifici autorevoli, come ad esempio quello del prof. Marco Viccaro, dell’Università degli Studi di Catania e dell’Osservatorio etneo dell’INGV, riportato qualche giorno fa in una testata locale. Ma ce ne sono tanti altri pareri, ugualmente autorevoli e soprattutto scientifici.
Non è facile spiegare a quelli dei salotti buoni delle televisioni nazionali che ciò che è successo, in pochi secondi, la notte di Santo Stefano, nella sua anomalia, è stato grosso modo questo: “tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tutututu-tutututu-tutututu-tutututu-tututututututu-tututututututu-buuuuum”. Solo chi l’ha vissuto sa che non c’entra nulla l’antisismicità delle case; è proprio l’impatto della scossa che è risultato molto forte per quella combinazione deleteria di magnitudo, intensità e bassa profondità.
Far vedere in tv sempre le stesse scene è facile, sbrigativo, e soprattutto costa poco. Le immagini più ricorrenti di Fleri in tv sono state quelle del quadrivio, dove si intersecano la strada provinciale 8/IV che da Catania porta a Zafferana e fino alla “Muntagna” e l’antica strada regia, la provinciale 41, che partendo da Fleri passando per Pisano, Santa Venerina arriva fino a Giarre e dunque al mare. Immagini di macerie, ma quali macerie? Un paio di vecchie abitazioni, disabitate da tempo, alcune già abbandonate dopo il sisma del 1984, ed evidentemente le prime a venire giù con la scossa di Santo Stefano. Catapecchie. Oppure il campanile della vecchia Chiesa, quella fortemente danneggiata dal terremoto del 1984, ricostruita per volere della Sopraintendenza che decise di mantenerne facciata e proprio quel campanile, ma non più luogo di culto. La Chiesa nuova, costruita con i più moderni criteri di antisismicità e progettata dall’architetto Ugo Cantone, inaugurata nel 1990, non ha subito grossi danni. E via di seguito.
Il grosso sta altrove, ma non sono macerie. In giro per le vie e le viuzze della frazione di Zafferana Etnea, dove ci sono danni diffusi, non crolli e dove occorre quantificare subito entità e tipologia delle rotture per ripartire e per ricostruire. Non sarà facile, ma la macchina della Protezione Civile si è già messa in moto. La gente del luogo che ama la normalità, e rifugge da certa spettacolarizzazione mediatica, ha desiderio di rientrare nelle proprie case e sicuramente di fortificarle ancor di più. Così a Fleri, ma anche a Pennisi, a Fiandaca e negli altri luoghi in cui non si dimenticherà facilmente quello che è successo la notte di Santo Stefano.
Corre su due binari la voglia di ricostruire. In primis, le case che sono edifici sicuramente ma rappresentano anche i forzieri più sicuri di valori, principi, tradizioni che, in queste zone, trovano ancora nella famiglia il proprio caposaldo e inequivocabile punto di riferimento. E poi c’è la ricostruzione della verità. Anche in questo caso, ci vorrà un po’ di tempo, e non esistono provvidenze della Protezione Civile per rimarginare queste ferite. Un minuto di informazione spettacolarizzata sui media nazionali è come una scossa che passa in superficie, perchè superficiali sono spesso le affrettate conclusioni di alcuni pseudo-ragionamenti, e fa tremare vene e polsi.