Fotografia aerea: Fabrizio Villa: "In volo respiro ogni mio scatto"

Fotografia aerea: Fabrizio Villa: "In volo respiro ogni mio scatto"

di Katya Maugeri

CATANIA – «Da trent’anni fotografo in volo. È una condizione che mi rassicura, come fosse in realtà il mio habitat naturale», il fotogiornalista siciliano Fabrizio Villa che non smette mai di incantare la gente con sue opere d’arte ci racconta la sua più grande passione: la fotografia aerea. «È iniziato tutto dal volo: quando durante il militare –  nel Terzo Gruppo Elicotteri alla base Maristaeli di Catania – ho realizzato che volare è il sogno insito in ogni uomo. Da lì è stata una conseguenza. Se io dovessi scegliere, fotograferei solo dall’alto e forse se non avessi provato l’emozione dell’alta quota non avrei avuto la passione per la fotografia. Da quell’altezza è affascinante ammirare i luoghi, l’architettura, il mare da una prospettiva inedita che offre al lettore, o al visitatore una visione completamente diversa perché il nostro occhio non è abituato ad ammirare le cose da quell’altezza».

La fotografia aerea, oggi, è decisamente più semplice con l’uso dei droni: li mandi a fotografare e attraverso un joystick realizzi il tuo lavoro. «A fare la differenza non è la qualità dello scatto, ma l’empatia che instauri con la fotografia. Io ho una visione della fotografia aerea molto tradizionale e resto affezionato all’elicottero: è versatile può volare ad alta o bassisima velocità, sale e scende in poco tempo e si ha la possibilità di restare sospesi, in hovering, e lasciarsi avvolgere dal vento. Durante gli scatti, con il portellone aperto (in completa sicurezza), sento le vibrazioni che rendono instabile l’elicottero, ma non rinuncio a questa splendida esperienza. Sublime in ogni sfaccettatura che mi permette di respirare la fotografia».

Fabrizio Villa è un professionista che con estrema umiltà ama il proprio lavoro e la sua città che ha tante volte sorvolato regalando ai propri cittadini una prospettiva nuova e magica, una Catania ricca di arte, di magia e di colori. «Aver avuto la possibilità di sorvolare Catania è un grandissimo privilegio che porto sempre con me, volare a tremila metri su un vulcano, l’Etna, è sensazionale». I suoi voli hanno immortalato tanta bellezza e non solo, «nella mia carriera ho costruito un percorso anche nella fotografia militare aerea, ho seguito le forze militari nelle missioni operative anche all’estero: il terremoto in Turchia il 17 agosto 1999 dove ho avuto la possibilità di catturare una visione incredibile. Una devastazione che non ho mai dimenticato. O quella volta in Afghanistan quando abbiamo attraversato i territori disabitati, a volte trovavamo le capanne di nomadi, scene incredibili, tutti voli che fanno parte di missioni operative rischiose, ovviamente. Durante la missione con la nave della Marina, Mare nostrum, gli elicotteri si alzavano in volo per andare a intercettare le segnalazioni a bordo delle imbarcazioni. Con l’elicottero raggiungevamo i migranti: dall’alto mi ricordo che la prima cosa che facevano, gli scafisti, era quella di coprirsi la testa per non farsi riconoscere e poi la felicità della gente che ci salutava. Uomini, donne, bambini felici perché noi eravamo la loro speranza. Sono queste due scene che ricordo molto bene, le due facce dei salvataggi in mare». Uno dei voli che ricorda con affetto è legato alla sua città, «oltre vent’anni fa una copia della Madonna di Fatima faceva il giro in tutta la Sicilia, arrivata a Catania ho proposto all’arcivescovo Luigi Bommarito di fare un giro in elicottero. Arrivati sopra piazza Duomo e aperto il portellone, ammirava la sua città: ricordo con molta emozione la sua benedizione dall’alto».

Il drone ha conquistato il cielo, ma c’è chi dalle foto vuole ricavare qualcosa in più di una semplice prospettiva inedita: il respiro, il movimento, l’emozione che solo un occhio attento e umano può cogliere. «Per me è il volo è libertà. La fotografia aerea mi permette di esserci. Lì, sopra i luoghi che fotografo, quella visione è nei miei occhi. Vivo la fotografia ad alta quota tra le vibrazioni che diventano poi l’anima dello scatto».

 

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