Giordana Di Stefano: a sei anni dall'omicidio, attivo da oggi il primo sportello ascolto del progetto “La casa di Giordy”

Giordana Di Stefano: a sei anni dall'omicidio, attivo da oggi il primo sportello ascolto del progetto “La casa di Giordy”

di Katya Maugeri

Non sono di certo gli anni trascorsi ad alleviare il dolore che logora Vera Squatrito, madre della giovanissima Giordana uccisa barbaramente, nella notte tra il 6 il 7 ottobre di sei anni fa con 48 coltellate dal suo ex compagno.

Durante questi anni di dolore, la madre non ha mai smesso di lottare sul campo contro ogni violenza, sensibilizzando i giovani, combattendo contro l’indifferenza e costruendo sulle macerie, qualcosa di concreto che potesse realmente ricordare la sua Giordana.

È attivo da oggi, infatti, il primo sportello ascolto, riservato a donne vittime di violenza, previsto all’interno del progetto “La casa di Giordy”, nato dalla collaborazione tra la Onlus vEyes e l’associazione di volontariato “Io sono Giordana”.

Chiunque necessiti del servizio, da oggi dunque, potrà chiamare il numero telefonico 095 29 38000, attivo tutti i giorni, e parlare con gli operatori.

Sarà un luogo dove si metterà in atto l’inserimento di donne vittime di violenza, sul piano umano, sociale e lavorativo, oltre che familiare, agendo soprattutto in contesti che vedono i figli subire violenza assistita. All’interno verrà creato un ambiente accogliente e protettivo per garantire un miglioramento della qualità della vita attraverso formazione e inserimento lavorativo, dove staff qualificati si prenderanno carico di mamme e figli con percorsi terapeutici che possano aiutare a metabolizzare i traumi subiti.

La casa di Giordy non sarà solo un luogo, ma una rete di sportelli e iniziative mirate a prevenire il fenomeno, sensibilizzare gli adulti di domani partendo delle scuole, ma anche ascoltare, gestire e recuperare i violenti.

“La casa di Giordy realizza il sogno di mia figlia – spiega Vera – nel sesto anniversario dalla sua morte, che in un suo post anni fa scriveva, rivolgendosi alle donne vittime di violenza, di avere il coraggio di difendersi, di chiedere aiuto tutte le volte in cui ci si sente in pericolo, di aiutare chi ha bisogno, di crederci e agire sempre perché solo così, forse, non si sentirà più parlare di violenza sulle donne”.

Giusy Milone, vicepresidente della onlus vEyes, ha espresso gratitudine a quanti hanno contribuito alla realizzazione del sogno di Giordana, “quel sogno nato durante un incontro tra me e Vera, 6 anni fa, e che oggi diventa realtà anche grazie a quanti hanno donato anche pochi euro, attraverso la campagna di crowdfunding ancora attiva”. E per chi lo desideri, è ancora possibile contribuire anche con una piccola donazione, attraverso il link https://www.veyes.it/lacasadigiordy/

Sei anni dall’omicidio

Giordana Di Stefano è stata trovata nella sua auto in una strada tra le campagne della periferia di Nicolosi: sul suo corpo molte coltellate alla gola, al torace e alla pancia. Luca Priolo fu fermato dai carabinieri a Milano, dopo una lunga corsa in auto dalla Sicilia in Lombardia, mentre alla stazione cercava di prendere un treno per fuggire all’estero. Era il 7 ottobre 2015. Dopo poche ore Priolo confessa di aver ucciso Giordana “in un raptus di follia”, dovrà scontare una pena di trent’anni per aver ucciso la madre di sua figlia.

La denuncia per stalking

Giordana Di Stefano è stata uccisa il giorno prima dell’udienza preliminare per la richiesta di rinvio a giudizio riguardante la denuncia per stalking. Il procedimento era stato avviato dopo che Priolo era entrato da una finestra a casa della ragazza. Lui si era difeso dall’accusa sostenendo di essere entrato perché aveva visto un’auto sospetta fuori e voleva garantire la loro sicurezza.

“Sono molto arrabbiata – conclude Vera Squatrito – perché Priolo doveva essere condannato da subito prima dell’omicidio, dopo aver ascoltato tutti i testimoni che mia figlia aveva citato nella denuncia e invece dopo otto anni, ci ritroviamo a dover attendere ancora il 16 dicembre. Questa lentezza, purtroppo, non tutela le donne che denunciano e che vengono uccise in attesa del processo”.

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