“Grandi” a Taormina


 
 

 | Salvo Reitano |

Mentre scrivo questa nota, alcune migliaia di giornalisti, centinaia di sociologi, economisti, teologi e letterati stanno elaborando in ogni parte del mondo le loro valutazioni sul G7 che si è tenuto a Taormina.
Non è difficile immaginare il contenuto. Ciascuno con un titolo quasi identico ad altri titoli e con un autore quasi identico a un altro autore.
La cronaca politica è scarna. Sovrastata dal gossip. Sul tema dei cambiamenti climatici, per la cancelliera tedesca Merkel si è trattato di un vertice “molto insoddisfacente”.  Gli Stati Uniti cedono sull’aumento delle sanzioni alla Russia, se non rispetterà gli accordi di Minsk, e la linea di Trump prevale sul tema migranti. Per il premier italiano Gentiloni: “L’impegno contro il terrorismo è il successo più grande”. Tutto qui. Gli esperti nei prossimi giorni ci diranno di più. Ma par di capire che oltre agli abiti “fioriti” di Melania, gli incontri in via Etnea e l’arancino di riso con ragù di triglia e finocchietto selvatico non si va.
Per il resto guardando in Tv le passerelle dei “potenti” e delle loro “first lady” non vi nascondo che mi sono chiesto: ma davvero questi sono i “grandi” della Terra? La risposta la trovo precisa e puntuale in uno dei classici della letteratura  che più di ogni altro, in alcuni passaggi, ci dice chi veramente sono i grandi e i potenti.
Ricordo, lo ricorderanno i lettori che lo hanno letto, che in un capitolo di Guerra e Pace, Nikolaj Rostov passeggia, confuso, in mezzo alla folla in una piazza di Tilsit. Aspetta l’incontro tra Napoleone e Alessandro di Russia. La sua attesa non dura a lungo. Napoleone arriva al galoppo montando un grigio cavallo arabo. Indossa la classica uniforme di stoffa turchina aperta sul panciotto bianco. Scende dal suo destriero. E’ piccolo: cosce grasse e gambe corte, petto e ventre sporgenti. La voce tagliente scandisce le sillabe. Ad un tratto si toglie un guanto e dopo averlo quasi strappato lo getta a terra. Con la stessa mano prende una decorazione di nastro rosso e senza nemmeno guardare la attacca “sul petto del soldato Làzarev, come se Napoleone sapesse che bastava, perché quel soldato fosse sempre felice, ricompensato e segnalato tra tutti gli altri uomini, che la mano di Napoleone si degnasse di toccare il suo petto”.
Nikolaj Rostov, e noi che da centinaia di anni rileggiamo e immaginiamo questa scena, ci domandiamo se quell’uomo basso, tarchiato e vanitoso fosse veramente il signore del mondo, il padrone della Storia, il simbolo sognato da generazioni di giovani.
Ma davvero un potente è così poca e misera cosa? Niente affatto. Basta andare avanti di qualche capitolo e Tolstoj ci fornisce la risposta. Quando centinaia di ulani polacchi si gettano a cavallo in un fiume, per dimostrare il loro sconfinato amore a Napoleone. La corrente è talmente forte che “decine di ulani affogano insieme ai loro cavalli, fieri e felici di nuotare e affogare”. Tutto questo accade sotto lo sguardo distratto dell’uomo che li guarda morire seduto sopra un tronco d’albero. Ecco la cosa misteriosa che si annida nelle cellule del grande condottiero: il Potere.
Mille volte nella storia del mondo, da Plutarco a Tacito, da Shakespeare a Tolstoj la letteratura si è posta le stesse domande che a Tilsit agitarono la mente di Nikolaj Rostov. Chi è veramente un potente? E cosa è il potere? Domande senza risposte.
Glamour a parte e passerelle come a Taormina, i “grandi” della terra non esistono più. Scomparsi come i dinosauri travolti dai dissesti climatici provocati dalle eruzioni vulcaniche. Forse l’ultimo dei potenti del pianeta fu Stalin, l’uomo che mentre amava Shakespeare e il balletto trovava il tempo di inventare i Gulag e sterminare milioni di contadini. Ma questa è un’altra storia. E speriamo non abbia a ripetersi.
Oggi coloro che ci governano, molti come Trump guidano nazioni immense e ricchissime, vere monarchie universali, hanno poteri incontrollabili. Poteri mai posseduti dai sovrani nella storia del mondo. Eppure nessuno di loro è veramente un potente. Nessuno di loro incarna quelle qualità che trasformano un uomo politico in un simbolo che agita i pensieri e le fantasie degli altri uomini e spingono fino all’emulazione.
Fateci caso: quando capita di incontrarli per strada o li vediamo alla televisione, abbiamo la strana impressione che non esistano affatto. Certo, di agire agiscono ma solo con una disinvoltura apparente; parlano ma sembrano senza voce; sorridono con un ghigno e noi non ci rendiamo conto di cosa e di che. Quelli di Taormina a me sono sembrati dei fantasmi, infelici e patetici, dai modi grossolani, che si sforzano di imitare, senza riuscirci, le gesta dei potenti di un tempo. Nessuno tra loro potrebbe ripetere le parole di Cesare: “Io sono fermo e immutabile come la Stella Polare, né movimento alcuno può scuotermi”.
I potenti di questo millennio conservano i desideri di quelli antichi ma sminuiti nella loro forza. Così la cupidigia del dominio si fa nevrosi. Tutti possono ambire al potere ma nessuno riesce veramente ad afferrarlo. Resta un potere amorfo, gelatinoso e anonimo che ha bisogno del gossip per sopravvivere. A Taormina, tra i “grandi” della terra, mancavano Vladimir Putin e Xi Jinping ma non se n’è accorto nessuno. Come non ha fatto notizia che i porti siciliani sono rimasti off-limits per una settimana. Niente sbarchi di migranti sull’Isola e niente morti, segno che quando si vuole si può.
Di questo G7 resteranno la bellezza statuaria di Melania Trump e il suo vestitino “fiorito”, la delicatezza di un arancino di riso con ragù di triglia e finocchietto selvatico, la dolcezza corroborante della cornucopia di cialda di cannolo con ricotta e arancia, un classico dello chef Cuttaia, e le evoluzioni della nostra Pattuglia Acrobatica nel cielo siciliano. Nient’altro da segnalare per un vertice davvero ”molto insoddisfacente”.

 

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