La Casa dei dirigibili ad Augusta


 
 
 
 
| Giuseppe Mazzaglia[1] |

AUGUSTA – Siamo ormai giunti nel cuore delle celebrazioni del Centenario dello scoppio della Grande Guerra 1915 – 1918. Un evento che ci tocca anche direttamente in quanto molti di noi hanno avuto nonni o zii coinvolti in quell’immane carneficina. La nostra isola fu partecipe in maniera totale alle vicende della Guerra, con la sola particolarità di non essere zona di operazioni militari tranne che per lo Stretto di Messina (i forti umbertini[2] del messinese ebbero come “ospite” particolare Giacomo Matteotti, arruolato come militare semplice, goniometrista-artigliere nella fortezza denominata Campo Inglese dove tra l’altro insegnò a leggere e scrivere a molti commilitoni[3]).

La Sicilia fu detentrice di alcuni primati, quali il maggior numero di chiamati alle armi, di morti in combattimento, di profughi ospitati provenienti dal Veneto e dal Friuli [4] e dai territori del Carso e dell’ Isontino abitati prevalentemente da Sloveni, di renitenti alla leva e di disertori (pare oltre 30.000, principalmente nelle province di Palermo, Agrigento e Trapani). Queste ultime per contro accolsero tantissimi profughi. La Sicilia infine “ospitò” quasi 10.000 prigionieri austro-ungarici.. Pare fossero 8.897 i soldati e gli ufficiali dell’Impero asburgico a essere detenuti nell’Isola, secondo le fonti dell’Ufficio Storico dell’Esercito alla data del 1° gennaio 1917, così suddivisi: 433 ufficiali, 26 allievi ufficiale e 8.438 tra sottufficiali e militari di truppa).

La provincia di Siracusa che negli della Prima guerra mondiale comprendeva anche i dodici comuni dell’attuale provincia di Ragusa e all’interno del suo distretto militare era compreso anche il Circondario di Caltagirone. Ebbe un ruolo di primo piano, non solo per il copioso contributo di sangue, ma anche con l’aver “ospitato” un numero congruo di profughi veneti e friulani, per un totale di 2613 di cui 126 dalla sola provincia di Udine di allora. Ebbe l’onore di dare il nome ad una “Brigata” (245° e 246° battaglioni) istituita nel gennaio del 1917 e sciolta a novembre dello stesso anno, che si distinse sull’Altipiano di Asiago, sul Carso sino al ripiegamento al Piave, subendo 3.958 morti, di cui 2.698 dispersi. Il 26 agosto 1917 nei pressi di Castagnevizza un reparto del 245° battaglione occupa una dolina a cui viene dato il nome di “Siracusa”. Il suo territorio ebbe come “ospiti” oltre 5.000 prigionieri austro-ungarici dislocati la gran parte nel campo di Vittoria, a Noto, Noto – Palazzolo e a Pozzallo. Qui furono fatte delle lezioni di italiano per i prigionieri.

Ad Augusta, nella primavera del 1917 le autorità militari, decisero di costruire un hangar in cemento armato, in grado di ospitare un dirigibile di 12.000 m3, in un terreno di proprietà Omodei, a 32 metri sul livello del mare, tra le contrade Pastandrea e Costa dei Conti. I motivi per cui si decise di costruire un Hangar per dirigibili proprio sulla costa orientale della Sicilia erano principalmente strategici, in quanto la costa della Sicilia orientale si trovava a metà strada della rotta Suez – Marsiglia, rotta che permetteva alle navi dell’Intesa di rifornire l’intero fronte occidentale dove si fronteggiavano Gran Bretagna e Francia contro la Germania. Da questa rotta giungevano in Francia uomini (australiani, neozelandesi, sudafricani, ecc.) del Commowealth e soprattutto rifornimenti di materie prima dall’immenso Impero Britannico. Tant’è che alla costruzione dell’Hangar di Augusta (tuttora il più grande d’Europa e il quinto del mondo ancora in piedi) contribuirono i francesi e per la costruzione furono utilizzati oltre a maestranze locali anche circa 300 prigionieri austro-ungarici di stanza nel siracusano, alcuni dei quali erano ingegneri e conoscevano l’uso del cemento armato e del ferro nelle costruzioni d’avanguardia come l’Hangar.

La costruzione ebbe inizio nel novembre dello stesso anno su progetto dell’ingegner Garboli di Brindisi, fu dato l’avvio ai lavori con quelle scarse maestranze, capaci di affrontare l’innovativa tecnica di costruzione, che durante quel periodo bellico era possibile rastrellare, affiancate, però, da decine di prigionieri austriaci, di cui alcuni già esperti in costruzioni in cemento armato, provenienti da campi di prigionia di Noto dove erano ospitati 374 prigionieri e da Pozzallo dove vi erano 437 prigionieri. Per le sue dimensioni e per l’impiego di manodopera necessaria per la sua edificazione non poté ultimarsi entro la fine delle ostilità, ma fu egualmente ultimato nonostante il suo futile impiego. Fu oggetto di numerosi attacchi di sommergibili tedeschi e austro-ungarici. Il più famoso quello effettuato da un sommergibile tedesco comandato dall’allora tenente Donitz, futuro capo della Marina Militare tedesca e successore di Hitler nell’aprile 1945. Nel 1920 fu inaugurato l’intero complesso militare che comprendeva non solo l’hangar, ma anche caserme, cucine, officine, abitazioni e lavatoi.

La funzionalità dell’hangar andò però perduta con il disimpiego del dirigibile come mezzo bellico. Per potenziare l’azione difensiva, negli anni successivi, furono iniziati i lavori di costruzione di un idroscalo, collocato nel pianoro sottostante l’hangar e nello specchio d’acqua antistante. In tale occasione furono edificati capannoni, officine e magazzini, adibiti all’assistenza della squadra di ricognitori e aerosiluranti. Nel frattempo, la stessa area era destinata all’impianto di una base d’idrovolanti della Regia Aeronautica, costituitasi nel marzo 1926, come aeroporto militare, denominato “Luigi Spagnolo”, e come deposito materiali e autoparco. L’imponente struttura (ml. 105,60×45,20×37) ha le dimensioni pari a 81000 m3 circa. La zona su cui sorge si trova su un’area di circa 32 ettari.

La struttura militare è unica in Europa e forse al mondo, sia per le sue dimensioni (può contenere dirigibili da 12.000 m3), sia per la tecnica usata per costruire la struttura portante, costituita da 15 telai in cemento armato con tamponamenti in laterizio, su travi di collegamento orizzontali. Altro elemento spettacolare per l’epoca, e ancora oggi se fosse stato mantenuto in efficienza, è il gigantesco sistema di chiusura, costituito da un dispositivo a soffietto formato da 14 elementi alti 31 metri, mossi da potenti motori elettrici in due elementi. Sulle storia dell’Hangar di Augusta è uscito il film “La Casa dei Dirigibili. L’Hangar di Augusta tra passato e presente”. Regia di Lorenzo Daniele, realizzato con il sostegno della Regione Siciliana – Assessorato Turismo sport e spettacolo e Siciliafilmcommission.

[1] Dottore in Scienze Politiche all’Università di Catania e in Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia – Nicolosi (Catania).

[2] I Forti Umbertini sono un complesso di opere fortificate create nell’area dello Stretto di Messina sul finire del diciannovesimo secolo. Lo scopo originario di tali opere era quello di prevenire una potenziale minaccia da sud (turco ottomana); successivamente sono state utilizzate per fronteggiare la minaccia aerea alleata durante la Seconda guerra mondiale. Si tratta comunque di straordinarie opere di ingegneria militare, con caratteristiche proprie particolari, come fossati sul fronte di ingresso, caponiere di gola, mimetizzazione ed interramento del fronte di attacco, che, tranne nei casi in cui l’esercito tedesco ne dispose la distruzione (come avvenne nel 1943), sono giunte praticamente intatte fino ai giorni nostri.

[3] Più in generale cfr. G. Limiti, Matteotti educatore, in “Studi polesani” IV(2012)5, pp. 9-29. Il saggio era già stato pubblicato in “Nuova Antologia”, 112(1977) giugno-luglio.

[4] Furono in totale 21.500. Un terzo di un paese del vicentino, Cismon del Grappa, circa cento persone compreso il parroco, si trasferì a Giarre nel catanese. Esse furono trattate molto bene, al punto che il corso principale di Cismon è intitolato a Giarre e viceversa una via di quest’ultima località porta il nome del paese vicentino, oltre all’intitolazione di un asilo comunale e di un parco pubblico. Oggi i due Comuni sono gemellati.

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