Serena Pierini
avvocato
Il nostro sistema penale, con l’art. 604 ter c.p. (che riprende il previgente art.3 D.L. 26.04.1993 n.122) tutela qualsivoglia forma di discriminazione per motivi religiosi, razziali, sessuali, etnici o legati ad una disabilità, che connoti la commissione di un reato, con importanti ripercussioni in tema di procedibilità, pena e competenza. L’art.604 ter c.p. , infatti, così recita: “Per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà”. E’ pertanto previsto un cospicuo aumento di pena per chi commette un qualsiasi reato aggravato dalla finalità di discriminazione. L’uso, infatti, dell’avversativo “o” e degli aggettivi “etnico, nazionale, razziale o religioso” – che nella forma singolare ed al genere maschile si riferiscono evidentemente ed esclusivamente al termine “odio” – porta con sé l’inevitabile conseguenza che la finalità di discriminazione è richiamata dal legislatore in modo indifferenziato, ben potendosi configurare anche nell’ipotesi in cui un reato sia finalizzato a discriminare qualcuno in ragione ad esempio del proprio orientamento sessuale o di una disabilità (vds. al riguardo: ordinanza del Tribunale di Trieste del 02 dicembre 2011).
E ciò non è di poco conto, comportando svariate ed importanti conseguenze processuali. Tutti quei reati (lesioni, minacce, violenza privata, danneggiamenti, stalking, estorsioni, etc.) che vengano quindi commessi per “finalità di disciriminazione” – con lo scopo dunque di differenziare qualcuno anche in ragione del proprio orientamento sessuale o dell’appartenenza ad un genere o della propria disabilità, in spregio ai fondamentali principi di uguaglianza – non solo saranno soggetti ad un aumento della pena fino alla metà ma saranno altresì procedibili d’ufficio e di competenza del Tribunale in composizione collegiale (così art.6 D.L. 26.04.1993 n.122). Sarà inoltre possibile l’applicazione, ai sensi dell’art.1 D.L. 26.04.1993 n.122, delle seguenti pene accessorie: obbligo di prestare un’attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità, obbligo di rientrare nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora entro un’ora determinata e di non uscirne prima di altra ora prefissata, sospensione della patente di guida, del passaporto e di documenti di identificazione validi per l’espatrio, nonché divieto di detenzione di armi proprie di ogni genere e divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative successive alla condanna. Le conseguenze di una condotta discriminatoria sono pertanto evidenti. Una persona che, ad esempio, scrive su un social frasi offensive e discriminatorie nei confronti di un’altra non solo potrà andare incontro a conseguenze sanzionatorie importanti, anche sotto il profilo delle pene accessorie, ma nessuna conciliazione o remissione di querela potrà fare estinguere il procedimento penale che, essendo reato procedibile d’ufficio,seguirà comunque il suo corso. A ciò si aggiunga come le persone offese dei reati aggravati ai sensi dell’art.604 ter c.p. risultino peraltro destinatari di una serie innumerevoli di tutele e diritti, primi fra tutti ad esempio quelli in tema di audizione protetta. Ai sensi dell’art.90 quater c.p.p. “agli effetti delle disposizioni del presente codice, la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato”.
Il fatto che anche in tale disposizione la parola “discriminazione” non sia connotata da alcun aggettivo ma sia invece tutelata nel senso più ampio è la conferma dell’intenzione del nostro legislatore di tutelare le vittime di qualsivoglia tipo di discriminazione. La legge n.119 del 2013, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, ha poi ampliato e rafforzato le tutele ed i diritti delle persone offese dei reati commessi con violenza alla persona, prevedendo ad esempio l’obbligo di notifica dell’avviso della richiesta di archiviazione da parte della Procura, indipendentemente da una richiesta in tal senso della persona offesa od imponendo alla parte indagata o imputata che richiede la modifica dello stato cautelare l’onere di notificare la richiesta alla persona offesa, a pena di inammissibilità dell’istanza, anche al fine di consentire a questa di presentare memoria, offrendo così ulteriori elementi di valutazione all’autorità giudiziaria che dovrà decidere sulla stessa. La più accreditata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione , a partire dalle Sezioni Unite con la sentenza del 29.01.2016 n.10959, ha infatti chiarito cosa debba intendersi per “reati commessi con violenza alla persona” prendendo le mosse dalla direttiva europea n.29 del 2012 ove per vittime vulnerabili si fa riferimento alle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata , della tratta di esseri umani, della violenza di genere, della violenza nelle relazioni strette, della violenza o dello sfruttamento sessuale o dei reati basati sull’odio e le vittime con disabilità. Si conclude pertanto ritenendo che la nozione di violenza adottata in ambito internazionale e comunitario sia più ampia di quella disciplinata dal nostro codice penale e sicuramente comprensiva di ogni forma di violenza di genere, sia o meno attuata con violenza fisica o morale. Tutte le vittime di violenza alla persona, pertanto, sia fisica che morale, hanno diritti rafforzati, come quello di essere avvisati di una richiesta di archiviazione (al fine di presentare opposizione) o di modifica di misura cautelare (al fine di presentare memorie). Campo privilegiato d’azione della suddetta normativa è il cd. fenomeno dello Hate Speech, vale a dire quell’insieme di comportamenti, verbali e non, che incitino alla violenza o risultino discriminatori nei confronti di un gruppo (o di un singolo appartenente a un gruppo) sulla base di motivazioni di carattere religioso, etnico-razziale, legate all’orientamento sessuale o alla presenza di una disabilità, etc. e che ha assunto preoccupanti risvolti da quando ha preso il sopravvento nel mondo del web e dei social network.
Questi comportamenti, nel nostro sistema penale, possono integrare una ben precisa fattispecie di reato, l’art.604 bis c.p., oltre che l’aggravante di cui all’art.604 ter c.p., allorquando siano commessi per motivi razziali, etnici , nazionali o religiosi. Allorquando invece abbiano una finalità diversa, come quella di discriminare ed emarginare qualcuno per motivi legati all’identità sessuale o alla presenza di una disabilità, ed integrino una ben precisa fattispecie di reato, questa risulterà aggravata dall’art.604 ter c.p. con tutte le conseguenze processuali sopra indicate. In conclusione, ampi sono i diritti delle persone offese dai reati di odio e di discriminazione, anche sessuale, che pertanto possono e debbono presentare una denuncia specifica che ravvisi l’aggravante di cui all’art.604 ter c.p., con inevitabili conseguenze, come su scritto, in termini di diritti delle persone offese, di procedibilità dell’azione, di competenza e sanzioni.