I conti della Sicilia non tornano mai


Riceviamo e pubblichiamo.

CATANIA – “La Sicilia rischia di annegare nel brodo delle sue metafore, avvilita com’è da una autonomia che continua a sublimare sprechi e privilegi. Nella terra dove niente è come appare, l’ isola che non c’è è quella delle frasi fatte, della visione romantica dei sicilianuzzi che la descrivono ancora climaticamente felix e gastronomicamente sexy; l’isola che c’è è quella che incontri nei numeri del suo disastro , sia essi amministrativi che economici, sia politici che sociali. L’isola che non c’è ci incanta nelle sue promesse mancate e nei suoi meschini luoghi comuni, che iniziano con il sole e finiscono con l’immancabile ” potremmo vivere di turismo”. L’isola che c’è è nel costo di 160 milioni del suo parlamento, l’ArS, un acronimo che costa ai siciliani lacrime e sangue e che nel tempo si è specializzata nella creazione di bisogni fittizzi al solo scopo di creare clientele politiche; è nei 9 miliardi di euro di spesa per una sanità che funziona male…anzi non funziona affatto; è negli oltre 20.000 dipendenti ( esclusi i 30.000 forestali) che costano 722 milioni , oltre al costo di 600 milioni per i 16 mila pensionati. E’ uno show la Sicilia, con 4 degli ultimi 6 presidenti che si sono assisi sul trono di Palazzo d’Orleans che hanno subito inchieste giudiziarie, con un PIL fermo da quasi 40 anni e con la tristezza di 20 milioni di perdita per assenteismo. E’ una impostura la Sicilia, con i suoi 274 dirigenti del Dipartimento dei beni culturali che costano 15 milioni l’anno per gestire un patrimonio d’arte che stacca biglietti per 13 milioni; che conta 352 mila disoccupati e paga al segretario generale dell’ArS 500 mila di stipendio l’anno, lo liquida con 1.770 mila euro e lo manda in pensione con la modica cifra di 12.000 € al mese ; che vive con un buco, tendente all’allargamento, di 6 miliardi € , che spende 200 milioni € per il Fondo per il precariato , 12 milioni € per rimborsi dei gruppi all’Ars, 925 mila la bouvette sempre all‘Ars, 360 mila le divise dei commessi, 240 mila per lo stipendio di un dirigente, 340 mila per il Direttore Servizio lavori all’aula ArS, 340 mila per il direttore servizio di bilancio, 338 mila per il direttore servizio biblioteca ed archivio storico . Che permette lo sproposito di 1223 nomine di sottogoverno in soli 16 mesi, e che permette la lievitazione del numero dei dipendenti, dal 2001 al 2008, di 5000 unità, assunti senza concorso pubblico, perlopiù precari, che in Sicilia vengono reclutati grazie alle speciali prerogative riconosciute allo Statuto, tutto perfettamente organico al disegno e al bisogno clientelari . E’ un dramma la Sicilia , non più accerchiata da invasori provenienti dal mare , ma dagli stessi siciliani , tutti in fila a succhiare privilegi e denaro dalle mammelle avvizzite e vuote della Regione. L’autonomia , che doveva riscattare un popolo da sempre sottomesso ai voleri e ai valori degli altri, si è rivelata un recipiente di provvidenze per boiardi e callidi di ogni risma, e che mai è stato strumento per risolvere i tanti guai dell’isola e degli isolani. Ci sono date e passaggi che hanno determinato la catastrofe Sicilia. Il 26-11-1948 , l’ArS attribuì il primo trattamento economico ai dipendenti commisurato a quello del dipendenti del Senato; con una legge del 30-12-1958 , furono i parlamentari in salsa sicula a equiparare le loro indennità a quelle dei senatori; nel 1957 una sentenza della Corte Costituzionale rese inefficaci alcuni articoli dello statuto afferenti all’Alta Corte. In sostanza, si neutralizzava l’Alta Corte e si istituiva il commissariamento permanente. Nel 1960 , inoltre, la stessa Corte Costituzionale sottolineò che le “potestà legislativa e amministrativa dovevano restare sempre inquadrati nella unità dello Stato e ad esse subordinate. Se togli la polpa al ficodindia ne rimangono le spine. Ed è quello che è successo con lo Statuto, mutilato dalla cesoiate della Corte Costituzionale è rimasto un orripilante frutto ad uso e consumo di una casta di sicilianuzzi dallo sguardo sciroccato e dall’anima famelica, una carta che permette alla Regione Siciliana di agire come uno Stato nello Stato, in totale autonomia e libertà di fare e disfare. E così divenne ineluttabile il danno creato con le imprese gestite dalla Regione, quando essa iniziò ad indossare gli abiti dell’impresa, uno spreco di 841.000.000.000 delle vecchie lire in soli 4 anni (la vicenda della Resais SpA è una succosa sintesi); per non parlare del costo di 267.000.000.000 per la costruzione di 4 alberghi a Sciacca attraverso la Sitas, con il codicillo tragicomico dell’acquisto di due orche, che costarono 400.000.000 di cui metà garantita da un finanziamento ad hoc della Regione, regolarmente votato e approvato. . E’ stata questa la Regione imprenditrice , una perfetta macchina che ha garantito il consenso attraverso il controllo di assunzioni e la distribuzione di incarichi di sottogoverno. Per non parlare delle partecipate, che in Sicilia sono uno sciorinare di sigle dal curioso suono onomatopeico: EMS, ESPI, AZASI, rubinetti dalle perdite permanenti. Numeri che portano i superficie una realtà di disastri e perdite, di clientele e baronaggi, un acquerello dalle tinte fosche alla cui realizzazione hanno partecipato tutti : i sicilianianuzzi, che sperano sempre di entrare a far parte di quella élite, di quella specie protetta ingorda di ricchezze e privilegi; i politici siciliani, che stanno ben attenti ad attaccare i privilegi che derivano dallo statuto; i burocrati e i boiardi siciliani, attaccati a maneggiamenti permessi da articoli dello statuto che li arricchiscono ; i fannulloni di professione e di ogni età ,coloro che questuano e trovano l’assunzione grazie alle clientele politiche o amicizie altolocate; gli ex indipendentisti attaccati allo statuto come Linus alla coperta, perché li fa sentire meno sconfitti e sempre in groppa alla retorica sicilianista. E’ una follia a cielo aperto la Sicilia, dalle tette avvizzite e il corpo lacerato , ma con il sole e il mare, la pasta con le sarde e la pasta alla norma, gli arancini e la granita, e .bla bla bla bla…”.

Giovanni Coppola, fondatore del circolo Hobbit

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