I Magi siamo noi


Salvo Reitano

Mi piace proseguire assorto, sciarpa al collo e cappellino in testa, per strade e stradine di un paese dell’Etna catanese.
Sono preso in carico e quasi sostenuto dalla spinta unanime che preme, monta, sorride e gode l’insieme. Si guadagna a passi svelti il centro della piazza. Vogliamo esserci tutti, in tenerezza d’animi, finché appaia memorabile dar luogo a un grande affresco di facce. Siamo presepe di sguardi in un punto della Terra dove il vivere invernale resta dolce e mite.
Rintoccano, per quanto è largo l’orizzonte, note argentine dai campanili barocchi, gli addobbi lucenti delle strade disegnano fremiti a intermittenza. C’è un tenero schiudersi di cerchi infantili che gli altoparlanti ripropongono a girotondo.
Volge il Natale verso l’Epifania. San Silvestro ammaina le vele del vecchio anno e subito il nuovo si propone mollando deciso gli ormeggi.
Questo tempo ha voci innocenti di bimbi. E noi stiamo andando a vedere i Magi vivi che sfilano per le vie. Così accade che tre figuranti, due di pelle bianca e uno scuro per nascita, accolgono i visitatori con gesti regali di benvenuto nell’aria temperata del pomeriggio e si facciano guardare e toccare consegnandosi allo stupore di chi per età è ancora innocente.
Sorridono gioiosi sopra le barbe posticce, reggono composti il peso dorato delle corone, sfoggiano vestiti di scena traboccanti di gemme e il più prestante dei tre – sopraffatto dalla calura inusuale di questo dicembre siciliano – va sorbendo una bibita a bollicine. È il Re nero che tracanna felice dalla bottiglietta con goloso piacere.
Sento i bambini in tenera età incantarsi nelle espressioni tipicamente nostrane che sono melodie in parole semplici.
Gaspare, Melchiorre e Baldassarre dalle movenze danno ad intendere di essere prossimi alla partenza al seguito di una stella cometa. E tutto lascia supporre che stanotte stessa, con un seguito cammellato, prenderanno le mosse per quella che si rivelerà una povera grotta dove un Bambino, scaldato da un bue e un asinello, li abbaglierà.
Dalla Sicilia di pascoli generosi, di ulivi ritorti, di vigneti allineati, di aranceti a distesa, inciteranno i cammelli perché tutto venga confermato e quel che doveva accadere è accaduto.
È nato sulla paglia di una mangiatoia il Figlio di Dio per spiegarsi, poi, con parole, miracoli, morte e resurrezione.
Baldassarre si liscia la barba ammiccante, con cautela per evitare che si stacchi. Gasparre, poco più in là, tiene le gambe accavallate sotto il manto ricamato. Gli si intravedono i calzini rossi d’ordinanza.
Vedo dal vivo quei Magi che nel presepe di casa mia sono di argilla lavorata e custodiscono i simboli di quanto crediamo. Ora si alza una musichetta allegra e vivace. I bambini intonano Astro del Ciel e i Magi riprendono vigore.
I Magi piacciono sempre. Sono i forestieri che videro, toccarono con mano e patirono il viaggio che ognuno di noi deve compiere alla luce di una qualche stella.
Perché, amiche, amici e lettori affezionati, ci sono per tutti lungo il cammino dell’esistenza astri fulgenti, pallide costellazioni e comete sofferte. Ognuno segue la propria e, in più, soffre quell’andar di cammello che fa dondolare, quando non affligge e rende così remoto e quasi irraggiungibile il punto di arrivo. Essere Magi è il privilegio di chiunque lo voglia. I Magi siamo noi. Basterà sapere cosa si vuole portare in dono e perché.
In un angolo della piazza c’è quanto i tre re porteranno. Tra selle, finimenti e corone con diademi, sono radunate le anfore che contengono quello che so fin da piccolissimo davanti al presepe di una casa della periferia catanese: oro, incenso e mirra.
Fu qualche anno dopo che Lanfranco, il mio maestro dei Fratelli delle scuole cristiane, mi spiego il significato: l’oro perché è il dono riservato ai re e Gesù è il Re dei re; l’incenso perché arda davanti al pargolo regale come testimonianza di adorazione alla sua divinità, perché Gesù è Dio; la mirra, usata nel culto dei morti per chi dovrà soffrire in vista di una sepoltura tetra e poi inondata dalla luce della resurrezione.
Le tre anfore contengono, anticipano e concludono la storia del Figlio di Dio che è poi, a pensarci bene, la storia che riguarda ciascuno di noi.
In una piazza gremita di gente, i Magi vivi, non posso non considerare che il Bambinello, che crescerà e andrà pronunciando le cose più grandi mai sentite sulla faccia della Terra, è ancora sul mio sentiero di uomo.
Ogni giorno i segni si moltiplicano e a ogni nuovo Natale so di non essere un naufrago. Lui è di nuovo nato e si ripropone a noi.
Anche qui, ora, in una sera di larghi orizzonti di cielo all’imbrunire tra uomini e donne che non conosco, mi domando cosa mai io possa portare in dono. I veri Magi pensarono all’oro, all’incenso e alla mirra. E io? Io che non sono Re ma l’ultimo degli uomini cosa posso tenere tra queste mani ormai stanche che hanno tanto filato la vita?
Non ho che la mia storia di uomo, i miei tentativi, il mio cercare, il tentare di essere il cristiano che non riesco per quanto mi sforzi, l’inadeguatezza, la stanchezza e comunque lo sforzo di spingere verso il meglio possibile.
Offro questo mio povero nulla a mani vuote mentre le voci della piazza salgono e a Oriente si propone una stella grande e luminosa. Provo a seguirla, da qualche parte mi porterà.

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