I Matti di Mauro Vallinotto, dall’emarginazione all’integrazione

Katya Maugeri

COSENZA – Immagini che lasciarono un segno indelebile: l’orrore di una realtà finalmente svelata. Sono le foto di Mauro Vallinotto, scattate nel 1970 a Villa Azzurra il manicomio per bambini che sorgeva a Grugliasco, a indignare e a scuotere l’anima. Un inferno all’interno del quale quelle piccole creature erano fermate ai lettini da cinghie di cuoio ai polsi, alle caviglie. Il personale all’interno credeva di lavorare su delle cose non sulle delle persone. Ottantaquattro scatti, una inchiesta, in un rigoroso bianco e nero che raccontano il dolore di quei giorni e di quegli edifici: “Matti. dall’emarginazione all’integrazione a 40 anni dalla Legge Basaglia”, una mostra necessaria che racconta un passato non tanto lontano.

A quarant’anni dalla Legge Basaglia, che segnò la fine dell’era degli ospedali psichiatrici in Italia, il comune di Cosenza inaugura oggi al BoCs Art Museum la mostra di Vallinotto nel Complesso di San Domenico, grazie all’amministrazione comunale e al Centro di Solidarietà il Delfino, che la inaugureranno alla presenza del sindaco Mario Occhiuto, del vicesindaco, con delega alla cultura, Jole Santelli, del presidente de Il Delfino, Renato Caforio.

La mostra sarà visitabile fino al 12 dicembre, tutti i giorni, gratuitamente, dalle 9 alle 13 e dalle 15.30 alle 19.30.

“Per ricordare i 40 anni di una rivoluzione di umanità questa è stata la legge Basaglia – dichiara Renato Caforio – il Delfino e il comune di Cosenza hanno voluto far conoscere l’orrore e la crudeltà dei manicomi. Mostrare attraverso le foto di Mauro Vallinotto l’atrocità di quei luoghi. Rendere, però, anche visibile la vita delle persone dopo i manicomi, mediante gli scatti di una travolgente quotidianità fatta di libertà, dignità, progetti di vita. Questa è la rivoluzione che vogliamo mostrare”.

“Erano bambini poveri, abbandonati, difficili – ci racconta Vallinotto – ricordo di un bambino cerebroleso e cieco, la sua diagnosi fu: cattivo e aggressivo. Impensabile tutto questo. Erano solo dei bambini cresciuti in ambienti difficili, abbandonati a se stessi. Erano semplicemente vivaci, lasciati e buttati lì, fino ai loro 14 anni. Poi, il passaggio successivo era il manicomio di collegio, nel quale accadeva di tutto. Sono un giornalista che ha sempre creduto nella denuncia senza censura”. Vallinotto ha tirato fuori dal suo archivio, inoltre, gli scatti al manicomio di Collegno e al manicomio femminile di via Giulio: anni in cui, nonostante le continue denunce di soprusi e violenze dell’associazione per la lotta contro le malattie mentali, i cancelli rimanevano chiusi.

A Villa Azzurra – chiamata così per il colore delle pareti – gli internati venivano spesso denudati, come rivela la foto di una bimba di 10 anni, legata al proprio letto, nuda e con gli occhi rassegnati pubblicata dall’Espresso il 26 luglio 1970 che aveva fatto scoppiare lo scandalo al manicomio diretto dal professor Giorgio Coda (poi processato e condannato per maltrattamenti). In quel momento, un caos. L’atroce verità era lì, rappresentata da quella foto.

Scatti realizzati di nascosto, fingendosi un parente degli internati o uno studente di medicina, Vallinotto ha voluto fortemente documentare quello squallore e portarlo alla luce del sole. Là dove dinanzi all’evidenza tirarsi indietro era da vigliacchi. Erano bambini che venivano internati perché ‘ineducabili’ e ‘pericolosi a sé e agli altri’, avevano anche tra i 3 ai 4 anni e venivano legati ai cancelli del giardino o ai termosifoni bollenti, al letto e fuori al freddo se mostravano troppa vivacità o essere lagnosi. “Matti” è un salto nel passato. La mostra è divisa in due sezioni: le foto scattate cinquant’anni e quelle relative ai matti di oggi. “Dove sono finiti i matti? mi sono chiesto” – spiega Vallinotto-.

È un viaggio che dal passato arriva ai giorni nostri, raccontando le realtà terapeutiche che hanno sostituito i manicomi, dalla comunità alla vita in mezzo agli altri. “Ho seguito situazioni di singoli malati che vivono la loro malattia in mezzo a noi – continua – in modo sereno. Oggi sono seguiti in quelle piccole e accoglienti strutture nelle quali vengono considerate delle persone, circondati da operatori con i quali hanno rapporti quotidiani. Quel contatto umano che mancava all’interno dei manicomi: 4600 malati e poco più di un centinaio di medici che non li visitavano mai, forse una volta l’anno, venivano parcheggiati lì dentro. Persino un detenuto in carcere sentita viva la speranza di uscire. Loro no. Uscivano solo da morti. Erano questi i manicomi, dove anche i giovani erano curvi e invecchiavano in fretta a causa dei farmaci, adesso all’interno di queste comunità ho ritrovato tantissimi giovani con percorsi di droga e disoccupazione: senza una famiglia, senza un lavoro quindi avvolti dalla disperazione. Ma ho h visto persone ridotte larve che dopo due anni sembrano trasformate, dopo il loro percorso terapeutico escono dalle strutture e vanno a lavorare, inserendosi nuovamente nella società, con le dovute terapie, le attenzioni di cui hanno bisogno, chiaramente. Ma adesso non li considerano dei malati mentali. L’approccio alla malattia mentale è cambiato, è diversa. E in questo caso riemerge la speranza.

Effettuando, provocatoriamente, una ricerca in archivio Vallinotto ha riscontrato il comportamento dei giornalisti della stampa di Torino sullo scandalo di Villa Azzurra: un quadro desolante. “Si scriveva del caso parlando di presunte violenze, articoli spudoratamente in difesa della struttura, degli infermieri, dei medici ingiustamente accusati. Si investe sempre meno sulla salute mentale perché i sedativi e palliativi usati bastano per tamponare le emergenze. Scontiamo anche questo tipo di silenzio. Ho voluto raccontare attraverso i miei scatti – soprattutto ai giovani – come si viveva all’interno dei manicomi, quale realtà orribile rappresentavano quei luoghi, con la speranza che non si torni indietro. Il mio timore – conclude – è che con quest’aria di odio, questa atmosfera incattivita, di disinformazione generalizzata, con questi stereotipi in cui gli uomini vengono venduti come “diversi”, si possa degenerare nuovamente”.

Dobbiamo andare avanti, abbiamo bisogno di strutture valide, di fondi e investimenti dedicati ai dipartimenti di salute mentale sul territorio.

Si sono aperte le porte dei manicomi, svelando il macabro stato in cui vivevano persone denudate della propria dignità, servirebbe aprire le porte del cuore lasciando entrare quell’umanità necessaria per evitare di ripetere gli stessi errori. La loro è stata certamente una infanzia rubata, con segni indelebili sulla mente, sul corpo e nella loro anima- violenze, orrori, urla e silenzi che lo Stato conosceva bene e sui quali, per troppo tempo, ha preferito tacere.

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